Venturelli, la scienziata volante

di Giulia De Maio

Anni 18 (19 fra tre mesi), centimetri d’altezza 180; da Allieva titoli nazionali su strada, pista e ciclocross; da Juniores due tricolori a cronometro e uno in linea, un bronzo Mondiale e un oro europeo a crono (più quello della team relay) e argento continentale in linea, ori europei in inseguimento a squadre, scratch, madison, velocità individuale e a squadre, oro mondiale nell’inseguimento individuale (con record del mondo) e nel­la madison (con Vittoria Grassi), ot­to vittorie nel ciclocross e bronzo ai tricolori di Ostia. Quest’anno ha inoltre vinto Tour du Gevaudan e Water­sley Challenge, arrivando seconda al Fian­dre di categoria. Enumerare con pre­cisione è il miglior omaggio che si possa fare a un’atleta che quest’estate ha pure conseguito la ma­turità scientifica con lode al liceo Aselli di Cre­mo­na. All’indomani degli Europei “Dren­the 2023” abbiamo fatto due chiacchiere con Federica Venturel­li.
A mente un po’ più fredda, che sensazioni ti lascia questo Europeo?
«Di sicuro una delle settimane più bel­le su una bici, non mi aspettavo tutti que­sti risultati in pochi giorni! La pri­ma parte di stagione è stata complicata, poi ho ripreso forma e mi sono pienamente riscattata. Dopo la delusione del quarto posto in linea a Glasgow, nella prova contro il tempo di Emmen ho trovato le soddisfazioni che cercavo».
A precederti per il podio in Scozia era stata Fleur Moors, la stessa talentuosa ragazza belga che ti ha preceduta per la vittoria sul Col du VAM: c’è qualche caratteristica di lei che “soffri” particolarmente?
«È forte e concreta, la conosco bene dal ciclocross dove ha fatto molto bene alla scorsa Coppa del Mondo: ci sta che mi abbia battuto due volte a stretto giro di posta. Al Mondiale la situazione era più particolare, Julie Bego ci aveva anticipate con la sua fuga e nell’inseguimento io collaborai di più mentre Fleur rimase a ruo­ta quindi sull’arrivo lei era più fresca. Sul Col du Vam invece ha dimostrato di avere davvero una marcia in più».
Una gara peraltro che voi azzurre avete interpretato ottimamente: sempre in testa, avete tirato a turno nei modi e tempi giusti, coronando il tutto con il decimo posto di una super Eleonora La Bella
«Per la prima volta ho corso una Na­zio­nale così profondamente unita. Le altre ragazze mi hanno preso come l’esperta della squadra, essendo l’unica che aveva partecipato anche all’Euro­peo dell’anno scorso: mi chiedevano consigli, si fidavano delle mie qualità, mi hanno aiutato a tenermi davanti e chiudere i tentativi di fuga, senza di lo­ro non avrei potuto fare una gara così buona. Del resto, l’atmosfera che si respira nel nostro gruppo è fantastica, sia tra atleti che nello staff. In particolare posso parlare delle donne juniores: abbiamo corso parecchio insieme da inizio stagione, siamo coese in bici e fuor di bici, e ciò ha una ricaduta positiva sia in linea che a cronometro. È utile e piacevole avere tanto supporto reciproco tra compagne, e i commissari tecnici sono contenti».
Come valuti l’operato del “c.t. unico” Paolo Sangalli?
«È molto bravo a farci lavorare e crescere con serenità. Può anche permettersi di farlo, appunto perché la Fede­razione gli ha affidato sia le Eli­te che le U23 che le Juniores. Quindi, mentre diversi suoi colleghi di altre Nazionali juniores hanno magari più pressione di dover fare risultato nella propria categoria, lui ha la tranquillità per poterci far fare un percorso focalizzato al nostro futuro senza spremerci troppo: fa una certa differenza. Inoltre, questo “accorpamento” permette a noi più gio­vani di allenarci insieme alle grandi e imparare tanto da loro».
Parlando invece della corsa che hai vinto agli Europei, quella crono che ha inaugurato il programma di Drenthe 2023 e che hai conquistato con 24 secondi di vantaggio sulla svedese Stina Kagevi, l’avevi messa particolarmente nel mirino e puntavi a vincerla?
«Assolutamente sì, le due atlete che avevano fatto meglio di me ai Mondiali (Felicity Wilson-Haffenden e Izzy Sharp ndr) qui non c’erano: mi sono preparata per fare la cronometro della vita e su quei 19,8 chilometri pianeggianti sono riuscita a tenere i 45 km/h, una velocità più alta rispetto ai miei standard. Dopo tanto impegno, una bellissima sensazione!».
E adesso un po’ di meritato riposo?
«Certo! La stagione 2023, almeno su strada, è finita. Non è stata lunghissima, dato che l’ho iniziata un po’ in ritardo dopo la fine del ciclocross, ma gli impegni sono stati tosti e mi serve staccare fisicamente e soprattutto mentalmente. Ora (fine settembre, ndr) mi aspettano cinque giorni in montagna e poi dieci giorni sul Mar Rosso».
Dopodiché ti aspetta un’altra stagione di ciclocross, stavolta come Under 23 dopo il biennio junior col team Guerciotti?
«Lo spero! Ne ho parlato col team di sviluppo della UAE, con cui sto per ef­fettuare il “grande salto”: dovrei disputare i due mesi clou di dicembre e gennaio, sarà un modo divertente per te­ner­mi in forma in inverno in vista dell’annata su strada. Devo dimostrare alla nuova squadra tutto il mio valore e di esser pronta a passare professionista».
Col Team sviluppo UAE hai parlato più in generale del discorso multidisciplina?
«Sì e si sono mostrati disponibili ad assecondarmi. A me serve porre continui obiettivi di breve termine e tenermi occupata di continuo: sono giovane e per specializzarmi c’è tempo, preferisco portare avanti tutto e vedere nei prossimi anni cosa andrà meglio. Con­tinuerò quindi anche la pista, è la disciplina che mi ha dato più risultati quest’anno e non voglio abbandonarla».
Ti manca solo la Bmx, l’hai mai provata?
«Quella no (ride ndr)».
Culli il sogno olimpico nel medio-lungo termine?
«È il sogno di qualsiasi sportivo, avrò modo di pensarci bene durante la carriera»-
Parafrasando la terribile domanda “Vuoi più bene alla mamma o al papà” vuoi più bene alla strada, al ciclocross o alla pista?
«Hanno tutte il loro fascino. Inne­ga­bilmente la strada ti dà più visibilità e importanza, a me poi piace molto la cronometro per come ti devi concentrare non sulle avversarie ma solo con te stessa. Il cross è la più divertente e varia, ti mette di fronte percorsi e terreni diversi gli uni dagli altri: è imprevedibile e stimola la voglia di correre. Forse però la pista è quella per cui sono più portata e ha un posto speciale nel mio cuore».
Hai già un’idea di come cambierà la tua preparazione nell’imminente passaggio a U23?
«Ora che sono finalmente a riposo non ci sto pensando troppo. Di sicuro, per abituarmi alla maggior durezza delle gare, in allenamento aumenteranno le distanze e dovrò inserire la pa­lestra per allenare la forza. Dal pun­to di vista dell’alimentazione, già da quest’anno mi sta seguendo una nutrizionista: non per mangiare meno, ma per mangiare le cose giuste nei mo­men­ti giusti. Un percorso che ho in­tenzione di continuare».
Curiosità di ciclomercato “a posteriori”: avevi altre offerte?
«Parecchie, ma mi è sembrato naturale passare in UAE dalla Valcar dato il rapporto contiguo tra le due squadre. Ritengo che un approccio più soft sia preferibile al passaggio immediato nel World Tour, crescere piano piano renderà meno difficile l’approdo tra le professioniste quando sarà il momento».
A proposito di Valcar, tu sei l’ultimo prodotto del vivaio di Valentino Villa che ha formato l’attuale generazione di cicliste italiane...
«Una bella realtà dove mi sono trovata subito bene. A volte l’espressione “una seconda famiglia” è un po’ inflazionata, ma quando si parla della Valcar è realmente così: tutti e tutte mi hanno aiutato sia in gara che fuori, e mi di­spiace che una realtà fondamentale per il movimento cessi l’attività».
Un dispiacere a cui ci uniamo pure noi. Co­munque in Valcar hai corso solo in que­sta stagione, poiché gran parte della trafila giovanile, primo anno junior compreso, l’hai effettuata nella Cicli Fiorin, la società di Baruccana di Seveso
«Sono entrata lì da Esordiente 1° an­no e ho trascorso con loro cinque anni segnati soprattutto dalla figura di Da­niele Fiorin. Mi ha voluta con decisione e ha accettato di farmi allenare a casa perché non riuscivo ad andare a Seveso: mi mandava i programmi di allenamento, era aperto alle mie richieste, mi sono trovata benissimo da un punto di vista tecnico e umano, si è stabilito un legame molto forte ed è una delle persone che si commuove di più per i miei successi. A mia volta, quando vinco sono felice anche perché così “ricompenso” l’impegno che ci ha messo per me. Che ci mette tuttora, anzi: al momento mi alleno ancora spesso con lui e i messaggi che mi manda a ogni vittoria sono importantissimi per me».
Andando ancora più indietro nel tempo, alle tue origini, praticamente hai imparato a correre prima ancora di imparare a leggere.
«Ho tratto ispirazione da mio fratello Mat­teo, di cinque anni più grande di me, e iniziato da PG/G0 nella Cremo­nese: h fatto lì fino a G4, poi G5 e G6 nella Madi­gnanese. A quel punto ho rischiato di smettere, mia mamma Gio­vanna e le mie nonne non erano troppo contente che praticassi uno sport così pericoloso: avrebbero preferito basket, danza o qualsiasi altra cosa che non implicasse il cadere da una bicicletta per strada. Si sono convinte gradualmente, anche col contributo di Fiorin: oggi sono ancor più felici di me quando arriva un bel risultato e il loro entusiasmo ripaga tutta la fatica».
Papà Giovanni invece era convinto fin da subito?
«Esatto, si è dato da fare per accompagnarmi e trovarmi le prime squadre, compresa la Cicli Fiorin nel momento in cui rischiavo di smettere. Ricordo ogni suo sforzo, ogni chilometro fatto insieme soprattutto per le gare di ciclocross: una volta facemmo fino alla Pu­glia e ritorno nel giro di tre giorni!».
E tuo fratello, in un certo senso il primo “mentore”, ha continuato col ciclismo?
«No, dopo aver concluso la categoria Giovanissimi ha privilegiato la pallacanestro. Pure io come lui da Giovanis­si­ma facevo sia ciclismo che basket, sia­mo entrambi molto alti (sorride, ndr) e al­la fine ho fatto la scelta contraria alla sua. Co­munque Matteo mi è stato d’ispi­razione non solo per lo sport: era bravissimo a scuola, ad esempio, e adesso farà sei mesi all’estero per completare la tesi magistrale in Inge­gneria Fisica».
Allora la mentalità scientifica è di casa!
«Proprio così! Fra un mese oltretutto comincerò Farmacia all’Università di Brescia. Da quel punto di vista ripercorro le orme dei miei genitori, che hanno una farmacia».
Quindi, oltre a conciliare tre diverse “branche” del ciclismo hai conciliato e continui a conciliare lo studio... A proposito di matematica e affini: se abbiamo fatto bene i calcoli tra la tua età il percorso scolastico, hai fatto la primina essendo nata a gennaio 2005?
«Ed è stata una fortuna aver già completato il liceo, mentre la maggior parte delle altre U23 italiane saranno impegnate con la maturità nella prima metà dell’anno. Che poi va beh, ho deciso di complicarmi la vita con l’università (ride, ndr)».
In qualche modo applichi la tua predisposizione agli studi e il sapere scientifico nell’attività di ciclista?
«Una caratteristica della scienza che ap­plico tutti i giorni è la precisione: sapermi organizzare e dare a ogni cosa il suo tempo, mi ha permesso di conciliare le mille attività senza ritrovarmi a inseguire. Sono precisa come dev’esserlo un matematico o uno scienziato, e questo mi consente di trovarmi sempre nel migliore scenario per fare ciò che devo.»
Viene spontaneo chiederci, e chiederti, se ti capita di avere del tempo libero fuori dal ciclismo.
«Mi prendo pause per mangiare e dormire!».
Meno male, dai! Battute a parte, avrai qualche passione che ti aiuta a distrarti...
«Questo ruolo per me ce l’ha la musica, riesce a tranquillizzarmi e rilassarmi dalla concentrazione di studio e al­lenamento. E adoro la lettura, i miei autori preferiti sono Gianrico Caro­figlio e Dan Brown: non ho avuto mol­to tempo negli ultimi anni per dedicarmi a questo hobby, ma ora in vacanza mi rifaccio! Infine mi piace guardare altri sport in tv, in particolare l’arrampicata sportiva».
Hai sempre la passione per i Pinguini Tattici Nucleari?
«Certo, quella non passa mai! A parte loro, apprezzo di­ver­si artisti tra cui Marco Mengoni. In effetti devo dire che ascolto musica triste, pure quando mi alleno: non sarà il miglior modo per andar forte nei lavori, ma mi adatto.»
Tornando alla tua vita ciclistica: sei di San Bassano e abiti vicinissimo a Marta Cavalli...
«La conosco bene. Le nostre famiglie sono amiche da prima che intraprendessi il ciclismo, talvolta capita di uscire insieme in bici. Purtroppo non spesso perché abbiamo impegni differenti, ma è bello avere una persona come lei per una sgambata o una chiacchierata ogni tanto. E con la sua carriera è stata ed è un esempio per me, vedere da vicino un’atleta come lei sprona a impegnarsi per raggiungere i migliori risultati».
A proposito di modelli, oltre che dei “ca­nonici” Vos e Van der Poel sappiamo che sei una fan dell’ungherese Kata Blanka Vas.
«Esattamente. Mi ha colpito vederla vincere nel ciclocross e anche al Giro d’Italia in volata, ha mostrato completezza e competitività in giovane età. Sono riuscita a conoscerla personalmente e a farmi una foto con lei in oc­casione degli Europei di Trento nel 2021, dove arrivò seconda nel­la gara U23 dietro Silvia Zanar­di».
Ci pensi mai che presto potranno es­serci ra­gazzine che, a una simile do­manda, diranno “il mio ido­lo è Federica Venturelli”?
«Sinceramente non ci ho mai pensato, un po’ fa strano come idea ma sarebbe bello che ciò avvenisse un giorno. Adesso mi basta correre e divertirmi, vedremo cosa porterà il futuro».
Titoli di coda: qual è la tua corsa dei sogni?
«Domanda difficile. Dunque, ce ne so­no di spettacolari come Fiandre e Rou­baix però nessuna può eguagliare l’emozione di un Mondiale: c’è sempre una maglia in palio, e vincerla è indescrivibile.»

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