Tour de Pologne, gli 80 anni di una corsa speciale

di Nicolò Vallone

Lubisz jest kolarstwo? Il nostro soggiorno al Giro di Polonia, nell’ultimo venerdì di luglio, è iniziato con un dialogo in po­lacco un po’ stentato e mol­to “googolato” con l’autista che l’organizzazione ci ha messo a di­sposizione per il transfer aeroporto-hotel. Ma è più onesto dire che il soggiorno è iniziato con una piccola gaffe da parte di chi scrive. “Ti piace il ciclismo?” è stata infatti la prima domanda rompighiaccio. Dalle sue risposte è parso subito chiaro che non solo il ci­clismo gli piaceva, ma era stato per an­ni il suo mestiere: l’uomo al volante era Kazimierz Stafiej, buon semiprofessionista che, tra Novanta e primi Due­mi­la, vinse diverse gare polacche minori e qualche tappa al Tour of Japan. Poi si è dato a tutt’altri affari, ma per dare una mano nell’evento a tappe della sua nazione risponde presente. Una dinamica che ci ha ricordato il Tour de Langkawi del 2020, dove a guidare il furgoncino di noi giornalisti era un ex corridore malese che corse il Langkawi da giovane.
Superato il lieve imbarazzo con una battuta, una risata e qualche domanda sulla sua carriera (partecipò pure con buoni risultati a un Giro dell’Appen­ni­no e a una Settimana Cicli­stica Lombarda) conversando col signor Stafiej a suon di messaggi tradotti sul cellulare durante i semafori rossi abbiamo avuto conferme sulla crescente passione dei polacchi per il ciclismo, che avremmo avuto poi modo di constatare durante la settimana, e sull’importanza dell’uomo che da trent’anni a questa parte allestisce il Tour de Pologne (questo il nome ufficiale): Czesław Lang. Primo corridore polacco in assoluto a diventar professionista, Lang ha svolto il grosso della carriera in Italia negli anni Ottanta, correndo sia insieme a Moser che a Saronni e guadagnandosi il meno ostico soprannome di “Cesare”.
Dopodiché rientrò in patria e decise di prendere le redini della corsa più im­portante del Paese, che lui stesso aveva vinto nel 1980: nel 1994, prima edizione sotto la sua egida, trionfò Maurizio Fondriest e fu subito un segnale lampante del nuovo corso. Quella che prima era una manifestazione riguardante soprattutto Mitteleu­ro­pa ed Eu­ropa dell’Est, in quel momento cominciava una graduale scalata nel calendario internazionale, culminata nel 2005 con l’ingresso nell’allora Pro Tour, ribattezzato nel 2011 World Tour.
Nel ciclismo polacco, Lang è uno degli uomini più influenti di sempre: osservarlo destreggiarsi tra continue interviste, palco, sorrisi e abbracci, il tutto in più lingue (la nostra compresa ovviamente, come avete potuto ascoltare nella puntata 178 del podcast Bla­Bla­Bike) rende l’idea della statura politico-sportiva del personaggio. Che del re­sto, in Polonia, ha fatto incetta di riconoscimenti e nel frattempo ha ag­giunto al carnet gare Under 23, giovanili e amatoriali. E sta per varare quella femminile.
Tempo al tempo, comunque. Qua parliamo del Giro di Polonia “principale”, che in questo 2023 ha celebrato contemporaneamente 95° anniversario (la prima edizione è del 1928), 80a edizione (prima del Dopoguerra non si svolgeva ogni anno) e, come accennato, trentesima organizzata dal Lang Team. Un’equipe che ai vertici, accanto al 68enne Czesław, vede stabilmente la figlia Agata (cresciuta sul lago di Gar­da) e quest’anno una new entry di no­me John Lelangue: ex collaboratore di ASO, reduce da un quadriennio da team manager della Lotto Soudal, nonché marito di Agata Lang quindi genero di “patron Cesare”. Come partner economico più rilevante, la compagnia petrolifera nazionale Orlen.
Parlava zero italiano e poco inglese il gentile Kazimierz, ma il resto dell’avventura polacca sarebbe stata un’altra musica. Tanto che un collega olandese arriverà a dirci «Sembra di stare al Gi­ro d’Italia, più che di Polonia». E non poteva essere altrimenti, visto il legame della famiglia Lang col Bel­paese. A parte che la triade a capo del team organizzativo parla un ottimo italiano, monsieur Lelangue compreso, e che tra gli staff tecnici, meccanici e dirigenziali delle squadre la nostra lingua serpeggia come di consueto, si segnalano un inossidabile Ilario Biondi fotografo per l’agenzia Sprint Cycling, una Rosella Bonfanti presidente di giuria, una Isa­bella Negri per la versione international di RadioCorsa, un Damiano Cima regolatore in moto, un’assistenza neutra targata Vittoria con Danilo Napo­li­tano alla guida, persino il trofeo ufficiale realizzato dall’artista trentino Mirko Demattè. Senza dimenticare campioni come Francesco Moser e Gianni Bu­gno che hanno assistito personalmente ad alcune tappe. Ultimo ma non meno significativo dato, anzi, la nazionalità italiana era la più rappresentata sia tra ufficio stampa e giornalisti stranieri sia tra i corridori al via: 24 su 167.
Veniamo così al fatto prettamente sportivo. Chilometri complessivi 1130 suddivisi in sette tappe, senza mai toccare i mille metri d’altitudine: pendenze poco impegnative e alto tasso di esplosività, basti pensare che non c’è stato nemmeno un arrivo in solitaria. Una tipicità del Polonia, alimentata ulteriormente da un percorso disegnato interamente nella parte centro-sud-ovest del Paese: ufficialmente una pura scelta tecnica, difficile non pensare a una saggia volontà di stare a debita di­stanza dai venti di guerra dei confini orientali. Collocazione temporale: la solita tra Tour de France e Vuelta a España, anticipata però di qualche gior­no per non sovrapporsi ai Mondiali di Glasgow.
I centosessantasette partecipanti erano di 24 squadre: i 18 WorldTeam, cinque Professional (Lotto Dstiny con invito automatico e le wild card Human Po­wered Health, Novo Nordisk, Q36.5 e Tudor) e una selezione nazionale di corridori Conti­nental polacchi, diretta in ammiraglia da Tomasz Brozyna, vincitore del Giro di Polonia nel 1999 (corse parecchi an­ni insieme allo stesso Kazimierz Sta­fiej). Tornando alla battuta di qualche paragrafo fa, in Polonia tirava aria di Giro d’Italia pure guardando la startlist. Tanti infatti i nomi già visti alla corsa rosa: balzavano all’occhio in particolare Joao Almei­da e Brandon McNulty in casa UAE, Geraint Tho­mas e Thymen Arensman in casa Ineos Grenadiers. Se Joao e Mi­ster G (e col gallese buona parte della Ineos) erano però lì per preparare la Vuelta, c’era un uomo vestito d’arancione che aveva «la gamba della vita» ed era pronto a suggellare un fantastico periodo di forma sulla scia dell’ottima ultima settimana del Tour: il suo nome è Matej Mo­ho­ric, sicuro di non disputare né il Mon­diale (piuttosto che accontentarsi di un piazzamento in una Slovenia Pogacar-centrica, ha deciso di assaltare Polonia e Renewi) né la Vuelta, era pronto a dare il massimo senza risparmiarsi. Contando oltretutto su un gregario extra-lusso come Damiano Ca­ruso, lui sì “polacco in chiave Vuelta”, che si è calato nei pan­ni di un Sepp Kuss versione Bahrain Victorious...
Sotto un cielo sempre velato e su strade spesso umide (e talvolta strettine) così si sono snodate le sette tappe.

Sabato 29 Luglio
Protagonista l’antica capitale imperiale di Poznan. Start d’avvio nella moderna Fiera, dove il giorno prima si è svolta la presentazione ufficiale della corsa; tragitto pianeggiante nel voivodato (così chiamano le “regioni” da quelle parti) della Grande Polonia, con tanto di passaggio da Kornik, cittadina natale della poetessa premio Nobel Wi­sla­wa Szymborska; rientro nella città di partenza, con arrivo in autodromo. Al Giro di Polonia non c’è la maglia bianca, ma c’è invece la blu del super-combattivo: si disputa agli sprint intermedi, che qui non valgono per la classifica a punti (mossa unicamente dagli arrivi di tappa). Per il secondo anno consecutivo si ripete il medesimo copione: fuga a quattro nella frazione inaugurale con la Nazionale polacca in superiorità numerica, il classe ’94 Patryk Stosz del Team Voster a vestirsi di blu e difendersi con precisione chirurgica nelle giornate successive, lasciando la soddisfazione al pubblico locale di celebrare un proprio uomo con un simbolo di­stintivo. Altro déja-vu di questa corsa è quello legato alle cadute. Vero che nel ciclismo odierno sono all’ordine del giorno in ogni competizione, ma sul Polonia sembra abbattersi una ma­ledizione: nel 2019 la morte di Bjorg Lambrecht, nel 2020 la tragedia sfiorata di Fabio Jakobsen. Nel 2021 lo sforzo economico del Lang Team di dotarsi delle transenne e delle protezioni Boplan, che ha contribuito a evitare altre situazioni letali ma non i pericoli, come vedremo. La rumba dell’edizione 2023 parte già in questa prima tappa, poco prima dell’ingresso nel circuito: asfalto bagnato per una tempesta breve ma dirompente abbattutasi un quarto d’ora prima, vagoni dei velocisti che preparano imperterriti le operazioni di volata, tanti corridori per terra tra cui due bei pretendenti al successo come Arvid De Kleijn e Pascal Ackermann. Risultato: nello stesso momento in cui nei Paesi Baschi Remco Evenepoel si aggiudica la Clasica San Sebastian, a quasi duemila chilometri di distanza il connazionale Tim Merlier raddoppia l’esultanza Soudal QuickStep sfrecciando davanti a Kooij, Gaviria, Bennett che l’ha lanciata ma si è piantato sul finale, Walscheid e via discorrendo.
«Bert Van Lerberghe è stato perfetto nel pilotarmi all’ultima curva e io ho avuto un’ottima gamba, merito anche del periodo di preparazione passato in Val di Fassa» dichiara il vincitore.

domenica 30 Luglio
Seconda tappa, la più lunga (unica ol­tre i duecento chilometri), primo arrivo in salita. Si parte da Leszno, nota per essere al centro geografico del triangolo Berlino-Varsavia-Praga, e si procede in direzione Sud...eti. Col senno di poi, i giochi complessivi si decidono proprio sui monti storicamente celebri (loro malgrado) per hitleriani motivi. Prima di giungere a tali alture, un episodio che diventerà virale sui social. La necessità di cambio bici di Sebastian Schoenberger, e la prontezza dell’austriaco nel retrocedere in coda per farsi as­sistere, porta involontariamente al tamponamento a catena tra l’ammiraglia della Human Powered Health (sor­presa di trovarsi l’atleta già lì a bor­do strada), la macchina Vittoria di Napolitano (sorpresa dall’inchiodata della vettura davanti) e l’automedica che guidava troppo vicina alle altre e non è riuscita a evitare l’impatto. Tutti illesi, un po’ di mal di schiena per il meccanico della squadra coinvolta, che riesce comunque a effettuare il cambio bici grazie ai riflessi affinati nel servizio militare.
Torniamo al fatto sportivo. Pure oggi una maglia Novo Nordisk in fuga (ieri Ridolfo, oggi Brand) affiancata stavolta da due italiani: Lorenzo Milesi, che scalda la gamba in vista della trionfale crono iridata Under 23, e Jacopo Mo­sca. Mentre la sua Elisa Longo Bor­ghi­ni inizia il piccolo calvario legato all’infezione cutanea, il trentenne piemontese della Lidl Trek qui in Polonia prova a imitare “in piccolo” il compagno Cic­cone, che ha appena conquistato la ma­glia a pois al Tour. Il gruppo li riprende prima dell’ascesa conclusiva, ma Jacopo intanto ha posto le basi per domani.
Il muro del pianto, così sono soprannominati gli undici chilometri dapprima pedalabili e poi in doppia cifra che portano a Karpacz, fa uscire allo scoperto chi si contenderà la vittoria finale. Pri­ma c’è tempo per il tentativo di “fagianata polacca” di Rafal Majka, che in­fiamma la gente sul posto e per osmosi emoziona pure noi. Lennert Van Eet­velt però va a riprenderlo ai -2 km e lui rinuncia a menare oltre. Ai 200 metri il colpo di pedale vincente è di Matej Mo­horic, che si lascia dietro Joao Al­meida e l’uomo più cercato e acclamato di tutti: Michal Kwiatkowski. Un po­dio che resisterà fino alla fine...
Lo sloveno si prende così la maglia gialla (colore davvero tipico dei “Tour de...”) e anche la biancorossa: questa è una di quelle gare dove, penalizzando a onor del vero gli sprinter puri, le tappe assegnano gli stessi punti, senza distinzione per tipologia. La maglia biancorossa sarà di giorno in giorno indossata da chi è secondo nell’apposita classifica.

lunedì 31 Luglio
Terza tappa, seconda “da su e giù” ed è... buona la seconda per Rafal! Ma procediamo con ordine. Al villaggio di partenza a Walbrzych ci avviciniamo a Mosca e gli rivolgiamo una boutade:  «Nessuna intervista adesso, la facciamo stasera su a Duszniki Zdroj con una maglia a pois indosso». Il suo «speriamo, speriamo» sa poco di circostanza e molto di sostanza, e difatti lui s’inserisce in una fuga a quattro e si prende i GPM sparsi tra monti del Gufo e valle di Klodzko.
Mentre il nostro si issa in testa agli scalatori, una maxi-caduta mette fuori gioco sei corridori e i 161 superstiti si avviano verso la rampa verticale da quasi un chilometro che conduce alla Tauron Arena, sede degli Europei di biathlon 2021. A prenderla di petto è un plotone che nel frattempo ha ripreso i battistrada e viene tirato dalla UAE: Davide Formolo conduce il forcing, i diesse Marzano e Baldato danno di nuovo via libera a Majka, che stavolta sceglie il momento giusto per la zampata. Spianata, ultima semicurva, chiusura aggressiva ma regolare sul connazionale Kwiatkowski, esultanza urlata e sbracciante per il trentaquattrenne gregarione col pallino della vittoria, che il Giro di Polonia lo fece suo nel 2014. E che con occhio ceruleo an­cora trasognante, ci dice al volo prima di recarsi all’antidoping: «Non conoscevo questa salita, ma più è dura e più mi esalto! Ieri l’ho persa ai 200 metri, oggi di fatto l’ho vinta ai 200 metri: meritavo questo successo, adesso però corriamo uniti per Almeida».
Doveroso: Mohoric è rimasto attaccato al treno emiratino e ha chiuso secondo tra i due idoli polacchi, guadagnandosi un bell’abbuono.
Stille di Italia, infine, con Samuele Bat­tistella e Cristian Scaroni nei primi dieci e, appena fuori dalla top-10, Ni­cola Conci a far classifica per l’Alpecin Deceuninck. I due alfieri Astana si sono allenati insieme a luglio, scalando tra gli altri il Pordoi: Samuele è qui in preparazione alla Vuelta e Bruno Cen­ghialta è visibilmente soddisfatto della sua condizione.

martedì 1 agosto
Quarta tappa, seconda per velocisti. Partenza da Strzelin, in provincia di Breslavia, sempre nella parte sudoccidentale del Paese. Tanto vento e un pa­io di tratti in pavè, dacci oggi la nostra caduta quotidiana: Wesley Kre­der della Cofidis va per terra e si rom­pe una spalla. Sui social il direttore sportivo Damiani ringrazierà organizzazione e staff medico per l’ottima assistenza prestata all’atleta olandese.
Cinque battistrada, con Mosca che su­pera i 350 chilometri di fuga in tre giorni, ripresi a venticinque dall’arrivo. Sia­mo nel centro di Opole, capoluogo dell’omonimo voivodato attraversato dal fiume Oder: svolta a novanta gradi ver­so destra, che non miete vittime ma ta­glia la strada ad alcuni aspiranti “volatori”, e rettilineo di quattrocento metri in lieve falsopiano.
Uscito sconfitto con sguardo accigliato dall’autodromo di Poznan, Olav Kooij qua è perfetto! Nettamente dietro di lui Marijn Van den Berg, solo omonimo del Julius presente anch’egli qui nella EF, e primo podio italiano di questa edizione con Matteo Moschetti: bravo il meneghino (di Robecco sul Na­viglio) della Q36.5 a superare Wal­scheid in rimonta, bene pure Jakub Ma­reczko sesto.
Ventiduesima vittoria a ventidue anni non ancora compiuti, in due anni e mezzo di professionismo: al Polonia aveva già timbrato il cartellino lo scorso anno, non è stato da meno adesso. Niente male per il fortissimo ragazzo della Jumbo Visma dal futuro assicurato, che qualche giorno dopo sarà uno degli scudieri di Van der Poel nel Mon­diale di Glasgow.

mercoledì 2 agosto
Eccoci alla “tappa regina” coi suoi 199 chilometri in linea e 3.000 metri di dislivello, con gli unici GPM di prima categoria dell’intera corsa. Ci si sposta solo leggermente verso est: partenza a Pszczyna, chiamata a buon diritto "per­la dell’Alta Slesia". Di più difficile comprensione la denominazione di “piccola Vienna dei monti Beschidi” della località d’arrivo Bielsko Biała, dove nel 2020 Carapaz battè Ulissi.
Ad ogni modo, poteva forse mancare un attacco del fuggiasco per antonomasia Thomas De Gendt? Certo che no! Anche se purtroppo a mancare oggi è la fuga di Jacopo Mosca, che nella fu­rente bagarre iniziale non riesce a centrare l’azione buona e deve dire addio al sogno a pois. Per far quantomeno rimanere la maglia in casa Lidl Trek, riesce a entrare nella fuga il norvegese Markus Hoelgaard, prossimo al ritorno in Uno X dopo un biennio alla corte di Guercilena. Missione compiuta: Hoelgaard marca stretto De Gendt e lo precede a Zameczek (4 km al 6%), sul­l’Ochodzita (2 km all’11%) e a Sal­mopol (6 km al 6% intitolati al compianto Joachim Halupczok). Spettatori privilegiati del duello, gli altri tre fuggitivi Andresen (DSM), Van Lerberghe (Soudal QuickStep) e Van Dijke (Jum­bo Visma).
Il riassorbimento da parte del plotone, scremato dai continui saliscendi sia categorizzati che non, avviene in discesa a meno di quindi chilometri al traguardo. Sulla salitella conclusiva ne capitano di ogni, e non solo a livello agonistico. Alle soglie del cartello dei -2 km, vedendo giungere il gruppo ad alta velocità, una moto-tv con in sella un pilota e un operatore di comprovata esperienza accelera come di prassi per non essere d’intralcio.
Lo fa però sterzando a destra in pendenza in una rotonda con pavè: scivolata a ottanta all’ora addosso a una famiglia di quattro persone. Tutti in ospedale, ammaccati ma fuori pericolo: solo uno dei due bimbi coinvolti resta sotto osservazione una notte a scopo precauzionale.
I corridori di testa hanno visto bene la scena, certi fantasmi dal recente passato riaffiorano, tanti vorrebbero fermarsi ma altrettanti continuano a pedalare: c’è poco tempo e una gara da giocarsi, mettere il piede a terra senza un intervento dei commissari ti fa rischiare una beffa. C’è solo un rallentamento, dopodiché flamme rouge e fuoco alle polveri sul drittone all’insù.
Altro patatrac. Ai -300 metri un uomo Groupama urta Ilan Van Wilder, elemento di punta del Wolfpack, e con quest’ultimo finiscono sulle barriere di sinistra Jan Hirt, Rafal Majka, Bran­don McNulty, Geraint Thomas, Kamil Gradek, Eddie Dunbar, Mark Dono­van, Andrea Vendrame e Gianmarco Garofoli. Un effetto domino da cui nessuno esce con le ossa rotta per fortuna, ma con qualche contusione sì: Vendrame a costole, anca e gomito ma riesce a ripartire, invece Garofoli ha troppo male al polso sinistro e abbandona.
In tutto questo, Kwiatkowski prova ad approfittare della situazione per anticipare lo sprint, ma viene scavalcato, nell’ordine, da Marijn Van den Berg, Ma­tej Mohoric e Joao Almeida. Sì, lo stesso Van den Berg che ieri ha fatto se­condo in volata: il ventiquattrenne nato alle porte di Utrecht mette in saccoccia il terzo successo da professionista (il più importante finora) e illustra il proprio versatile valore. Mohoric è meno reattivo del solito a rispondergli, e sarà più rigido del solito nelle interviste: l’incidente della moto di cui è stato testimone l’ha mentalmente paralizzato, il suo pensiero era totalmente rivolto lì, in serata si preoccuperà d’informarsi su come stanno le sei persone coinvolte. Comunque il leader Bahrain mette ancora una volta la sua bici da­vanti a quella di Almeida: dodici secondi li separano ora nella generale, non sono pochissimi ma il campione portoghese a cronometro ha le carte in regola per colmare ampiamente il gap nella tappa contro il tempo di domani.
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giovedì 3 agosto
Sesta giornata, la penultima, quella che sulla carta assegnerà la maglia gialla. È la crono di Katowice, ex polo minerario rimbalzato tra Polonia e Germania a cavallo tra le guerre mondiali, oggi aspirante metropoli: 16,6 km senza particolari asperità, attraverso Piazza del Mercato, Zona Culturale, storico quartiere Nikiszowiec, Valle dei Tre stagni, e finish line di fronte allo Spo­dek, palazzetto dello Sport che ricorda vagamente un disco volante. Una città simbolo della crescita del Paese mitteleuropeo.
È inoltre la festa di Cesare Benedetti. Polacco da due anni per matrimonio e residenza, vive da queste parti e oggi è il suo trentaseiesimo compleanno: la moglie Dorota lo va a trovare insieme alle figlie Janina e Karolina, i tifosi che lo hanno davvero adottato come uno di loro lo circondano di affetto e richieste di autografi. Poi si scatta dai blocchi. Il primo a portare l’orologio sotto i 19 minuti e mezzo è Finn Fisher-Black (UAE) che abbassa di 14 secondi i 19’40’’ di Michael Hepburn (Jayco AlUla). La hot seat del neozelandese regge agli assalti di Tim Wellens, Kevin Vauquelin, Thymen Arensman, Josef Cerny, Pavel Sivakov, Damiano Caruso, il campione a stelle e strisce Brandon McNulty, quello europeo Stefan Bis­seg­ger, e persino del campione del Mondo di specialità Tobias Foss (venuto qui per affinare la condizione in vista della difesa del titolo iridato a Glasgow, che non gli riuscirà granché) ma non può nulla quando Geraint Thomas fa qualche se­con­do meglio di lui.
Il gallese della Ineos Gre­na­diers e chiunque altro devono tuttavia cedere il posto a Mattia Cattaneo, che con un imbattibile 19’10’’ torna a far vincere all’Italia una tappa al Polonia. Coincidenze della vita: l’ultima volta era stato un altro lupacchiotto lombardo, Davide Ballerini, che nel 2020 disputò la volata finale di Cracovia al posto di Jakobsen e fu vittoria con de­dica al compagno di squadra. Un compagno che aveva visto la morte in faccia quattro giorni prima, nella volata inaugurale, per colpa della scorrettezza di Groenewegen: ricordate dove accadde? Esattamente qui, a Katowice, in un arrivo che il Lang Team non ha quindi abbandonato bensì trasformato in cronometro.
«Ero qui in gara con Fabio e gli altri il 5 agosto di tre anni fa - ricorda Cat­ta­neo -. Quando nella ricognizione stamattina sono passato su quel pezzo di strada e mi sono reso conto che era proprio quello, il rettilineo in uscita dalla rotondona, ho avvertito una motivazione ancora maggiore...» Da brividi.
Già, ma gli attesi big? Almeida fa 19’23’’, tredici secondi peggio di Cat­ta­neo e uno meglio di Thomas. Anche nel 2021 fu secondo nella crono di Katowice, anche lì per tredici secondi (dietro Cavagna) e all’epoca gli fu sufficiente per stare davanti a... Mohoric, sempre lui il contendente! Che roba, il caso. Due anni dopo, invece, la ruota gira in chiave slovena: un super Matej inizia prudente, dopo il cavalcavia che segna l’intertempo pigia sull’acceleratore e chiude in 19’35’’, il massimo che gli consentono le sue caratteristiche non da cronoman. Il calcolo è semplice: dodici secondi di ritardo dal capitano UAE, tanto quanto era il vantaggio accumulato nelle giornate precedenti. Per centesimi di secondo, il capolista riesce a non farsi superare in classifica generale: i due sono clamorosamente appaiati in cima.
«Numeri alla mano, se fossi arrivato appena davanti a lui anche solo una volta tra Karpacz, Duszniki Zdroj e Bielsko Biała adesso sarei pri­mo... ma così è andata» dichiara un asciutto ma sereno Al­meida.
«Mi aspettavo di riuscire a te­nere la leadership - ammette un Mohoric che ha riacquisito la consueta giovialità, espressa in inglese e in italiano con egual facilità -. Domani mi aspetto mosse a sorpresa da parte dei miei avversari diretti, ma al contempo non credo che Joao si voglia prendere troppi rischi avendo fra poco un Mon­dia­le e una Vuelta; di sicuro io starò alla sua ruota e lo se­guirò qualsiasi cosa faccia.»

venerdì 4 agosto
Non chiamatela passerella. Non del tutto, almeno. L’ot­tan­tesimo Gi­ro di Polonia passerà alla storia co­me l’unica corsa in cui un traguardo vo­lante po­sto a cento chilometri dall’arrivo è stato più importante di qualsiasi risultato di tap­pa. Lun­gi infatti dal vo­lersi intrufolare nell’ormai tradizionale volata di Cra­co­via, i due grandi pro­tagonisti de­cidono che la resa dei con­­ti avverrà sul­le stradine di campagna vicino a Wila­mo­wice: chi transiterà per primo lì prenderà il secondino di abbuono più dirimente di sempre, che sarà sufficiente per la vittoria definitiva. Dal via di Zabrze, sbandierato di fronte allo stadio del Gornik (seconda squadra di calcio più titolata del Paese, dopo il Legia Varsavia) per sessantasei chilometri nessuno si azzarda a tentare la fuga, l’atmosfera è da C’era una volta il West o Mezzogiorno di fuoco. A 1.500 metri dal punto convenuto, comincia uno spettacolo che in sala stampa ci riguarderemo due o tre volte. La Bah­rain Victorious si piazza davanti in su­periorità numerica, Pascal Ackermann prende letteralmente a sgomitare ovunque per provare ad aprire una breccia UAE. Nel momento clou sale in cattedra Andrea Pasqualon: dopo una settimana in cui probabilmente ha pilotato i compagni pure quando entravano in albergo o andavano al bagno, il trentacinquenne di Bassano del Grappa co­rona l’opera con un meraviglioso lead-out per Matej Mohoric, che conquista il preziosissimo abbuono. Joao Almeida può soltanto inseguire: va a congratularsi col pugnetto e con la mente si proietta già in Scozia e Spagna.
A quel punto può prender vita un canovaccio più canonico, capitomboli compresi. Evadono tre avventurieri (Go­don, Scaroni, Budzinski), il giovane Fran Miholjevic (uno dei gregari di Mohoric) termina il suo Giro volando su una siepe, si affrontano gli ultimi strappetti e si guada la Vistola, si ri­prendono i fuggitivi nel primo dei tre giri finali attorno al parco della Blonia. Ai - 8 km l’ennesimo crash: Dan McLay della Arkea Samsic è l’unico a doversi ritirare; con lui cascano (e si ri­mettono in sella) Andrea Peron, Jakub Kaczmarek, Davide Cimolai, Tobias Ludvigsson, Jack Bauer, Kwiatkowski e Ackermann. Il tedescone fa così il paio con la caduta della prima tappa, e fa tris se consideriamo quella sui sampietrini romani a fine Giro d’Italia.
Van Lerberghe lancia lo sprint addirittura ai 700 metri, Tim Merlier è bravissimo a gestire questo anticipo stando attendo ai movimenti di Fernando Ga­viria e sparando l’allungo giusto. Tra lui e Gaviria si piazza De Kleijn (che nella prossima stagione vedrà arrivare in Tudor un altro velocista come Dai­nese), quarto Gerben Thijssen e via via gli altri. Tra cui Moschetti nono e Pa­squalon, premiato dal team con la possibilità di giocarsi per una volta le proprie chance personali, decimo.
Merlier ha così “aperto e chiuso la porta” uscendo vincitore all’alba e al tramonto della corsa. Bel bottino per la Soudal QuickStep, che mette in saccoccia tre tappe su sette e due corridori nella top-10 generale: quarto Van Wil­der e quinto Cattaneo, miglior italiano. Sensazione agrodolce per il classe ’90 di Alzano Lombardo, felice per la cro­no trionfale (quarta vittoria in carriera, due con l’Androni e due con lo squadrone di Lefevere) ma consapevole che, se non avesse perso 41 secondi nella sola seconda frazione, avrebbe lottato per qualcosa di più. Deludente a cronometro, ma contrariamente a Cattaneo era qui per la Vuelta, un Mat­teo Sobrero quarantaduesimo a Ka­towice (1’06’’ da Mattia). Vedremo co­me si comporterà in Spagna.
L’ultimo italiano a far suo il Giro di Polonia rimane Moreno Moser nel 2012. Piccolo rammarico anche per Marijn Van den Berg: a Cracovia doveva arrivare nei primi otto per strappare la maglia biancorossa a Mohoric, ma chiude quindicesimo. Affermazione sia generale che a punti, quindi, per il classe ’94 della Bahrain Victorious, che dà ulteriore conferma della propria sensibilità d’animo devolvendo il suo montepremi per le vittime della recente al­luvione in Slovenia. Infine, menzioniamo le differenti scelte operate da chi è iscritto pure al Mondiale di domenica 6: hanno abbandonato il Polonia con un giorno d’anticipo gli olandesi Olav Kooij (Merlier aveva un avversario in meno da battere a Cracovia), Mick Van Dijke e Oscar Riesebeek, l’irlandese Sam Bennett, l’inglese Sam Watson e lo svizzero Stefan Bissegger. Hanno invece onorato il Giro fino in fondo, decollando in direzione Scozia al ve­nerdì sera, Ryan Mullen, Schoen­ber­ger, Gaviria (che terminerà anzitempo la prova iridata per una brutta caduta), Almeida e Kwiatkowski che non potevano certo perdere la propria posizione sul podio (Kwiato pagherà a Glasgow la caduta di Cracovia) e il tandem Bah­rain Pa­squalon-Govekar, che aveva un Mo­horic da supportare. L’esperto An­drea farà la riserva azzurra incitando i compagni al fianco del c.t. Ben­nati, il giovane Matevz sarà uno dei corridori per Pogacar. Non ha corso il Mondiale con la Gran Bretagna, ma è alla Vuelta con la DSM, lo scozzese Oscar Onley. Non ancora ventunenne, col suo decimo po­sto generale è stato il miglior giovane della corsa polacca: scalatore purissimo, a causa di uno sviluppo fisico in ri­tardo non ha vinto molto da ragazzino, ma gli scout dell’Ag2r prima e della DSM poi ne hanno apprezzato il modo di pensare e di correre e ne hanno pon­de­rato i margini di crescita. Con la squadra tedesca ha fatto un biennio nel­la formazione Continental e quest’anno è stato promosso nella World Tour insieme a Milesi. Su tuttobiciweb.it potete leggere una bre­ve in­tervista a Onley datata 5 agosto.

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Motoseghe. Trombe. Tifo da stadio. Sole e cielo azzurro. Tutto questo è stato l’11° Trofeo Comune di San Fior, 5° Memorial Adriano Lot, tappa finale del Selle SMP Master Cross e del Campionato Italiano per Società. Protagonista di questa meravigliosa...


È andata in onda oggi alle 12.30, su Sky, l’intervista esclusiva raccolta dal bravissimo Luigi Vaccariello al dominatore della stagione 2024 Tadej Pogacar. Una chiacchierata a cuore aperto, che noi vi riproponiamo in parte. Quella di quest’anno possiamo archiviarla come...


Van Der Poel fa tre su tre e conquista anche la sesta prova della Coppa del Mondo di Ciclocross per elite che si è svolta a Gavere in Belgio. Dopo la prova di Coppa a Zonohoven, e il Superprestige a...


Ha destato scalpore, e non poteva essere altrimenti, l'arrivo di Mathieu Van Der Poel al ritrovo di partenza di Gavere, in Belgio, dove oggi è in programma la sesta manche della Coppa del Mondo di Ciclocross Elite. VDP si è...


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