Amadio: «Parigi 2024, stiamo arrivando...»

di Giulia De Maio

Dopo una bella escursione in Mtb con la famiglia sui sentieri tra Piancavallo e Cansiglio abbiamo raggiunto Roberto Amadio per ti­rare le somme sui primi mondiali multievent della storia del ciclismo. Tornato dalla Scozia, il Team Manager di tutte le squadre nazionali a tuttoBICI racconta con emozione le medaglie conquistate a Glasgow grazie all’impegno di 280 persone, di cui 150 atleti, e svela come i talenti di casa no­stra stiano lavorando in vista dei prossimi appuntamenti internazionali, con l’attenzione rivolta in particolar modo ai Giochi Olimpici di Parigi 2024. Il 60enne veneto, oggi coordinatore delle Nazionali FCI, da dilettante vinse un mondiale di inseguimento a squadre e tre titoli nazionali, partecipò ai Giochi della XXIII Olimpiade a Los Angeles nel 1984, arrivando quarto con il quartetto, quindi militò tra i professionisti dal 1985, anno in cui si laureò campione del mondo nell’inseguimento a squadre, al 1989. Amadio sa bene di cosa necessita un atleta per andare forte, anche per l’esperienza accumulata una volta sceso di sella. Nel 1992 inizia la carriera di dirigente nel ciclismo su strada con la Jolly Componibili-Club 88 e dal 2005 al 2014 è team manager e direttore della Liquigas Cannondale, poi diventata Cannondale Pro Cycling.
Con la solita passione e uno staff fidato, ora la sua missione è mettere nelle migliori condizioni possibili le azzurre e gli azzurri così che possano portare in alto il tricolore nelle più importanti competizioni al mondo. Nonostante la conoscenza e l’amicizia che ci lega da tempo, visto il ruolo che oggi ricopre Roberto Amadio in seno alla Fe­derazione Ciclistica Italiana, il “lei” è chiaramente formale, ma assolutamente d’obbligo.
Le è piaciuto questo mondiale in formato olimpico?
«Un evento che racchiude tutte le specialità a livello di promozione televisiva è interessante, permette di far conoscere specialità ancora poco note come il trial, la bmx e il ciclismo indoor al grande pubblico, allo stesso tempo ri­chiede un grande sforzo da parte di tutti ma una volta ogni quattro anni si può fare. Nella mia veste è stato impegnativo, ringrazio le segreterie dei vari settori per il grande lavoro svolto. Far sì che tutto filasse liscio in una manifestazione così imponente, organizzata per di più in un Paese da poco uscito dalla Comunità Europea con tutte le complicazioni che ciò comporta per lo spostamento dei mezzi (30 quelli della nostra spedizione, ndr) e l’invio dei materiali, è stato necessariamente un lavoro di squadra».
All’Italia che voto diamo?
«Più della sufficienza. Ci sono stati tempi peggiori e i tanti quarti posti collezionati sono stati questione di centesimi o sfumature. Il medagliere dice che siamo stati la dodicesima Nazione al mondo, ma non spiega tutto. La Gran Bretagna in casa l’ha fatta da pa­drona con 49 medaglie totali, facendo meglio di USA, Francia, Germania, Bel­gio, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Svizzera, Norvegia, Danimarca, Au­stra­lia e noi ma, per esempio, la ma­rathon da sola metteva in palio 30 me­daglie e noi vi abbiamo partecipato in forma ridotta rispetto ad altre nazionali così come le prove amatoriali, a cui gli azzurri hanno partecipato a titolo individuale (ottenendo un argento e un bronzo nel mediofondo, ndr), hanno inciso tanto. Nel complesso abbiamo portato a casa risultati di peso (1 oro, 1 argento e un bronzo dalle cronometro; 1 oro, 1 argento e 2 bronzi dalla pista; 1 bronzo dalla bmx e 1 argento dal XCO) quindi, se torniamo ai vecchi vo­ti della scuola, un “buono” ci spetta. Certo è che soprattutto per le specialità olimpiche dobbiamo perfezionare qualche aspetto».
Quali sono state le sorprese di questa rassegna a tuo avviso?
«Guardando a casa nostra, tra gli ju­niores su strada abbiamo perso per un incidente meccanico una medaglia con Juan David Sierra, che valeva senz’altro l’argento o il bronzo e, in campo femminile, ci è sfuggita solo al fotofinish con Federica Venturelli, in grado di regalarsi il bronzo nella cronometro. La prestazione di Luca Giaimi contro il tempo tra gli juniores (6°, ndr) conferma che è un corridore di spessore per il futuro. L’Un­der 23 Lorenzo Mi­le­si ha vestito la maglia iridata nella prova a cronometro e nel finale della prova in linea ha buttato via un podio alla sua portata, avesse corso con più accortezza era da secondo o terzo posto, chi ha seguito la corsa non può avere dubbi».
Nella prova regina abbiamo ottenuto una top ten con Bettiol.
«Per quanto riguarda la prova dei professionisti il bilancio non può che essere eccellente. Finché non è caduto Mat­teo Trentin, con Danimarca e Belgio sia­mo stati in superiorità numerica nel­le fasi finali e contro campioni come quelli saliti sul podio non potevamo in­ventare altro. Alberto, a mio avviso, ha fatto bene ad attaccare da lontano. Con i quattro elementi con cui si è ritrovato (Van der Poel, Van Aert, Pogacar e Pedersen, ndr) c’era poco da fare, ma­gari si fosse risparmiato avrebbe tagliato il traguardo quinto invece che decimo ma sarebbe cambiato poco. Ha di­mostrato ancora una volta di essere un corridore di alto livello e che sa presentarsi al top agli appuntamenti che contano. Anche nella staffetta mista di quattro giorni dopo è andato fortissimo, segno di una grande condizione».
Le donne élite, che ci hanno sempre abituato bene, non sono riuscite ad essere pro­tagoniste come al loro solito.
«Il movimento femminile si sta evolvendo in modo esponenziale con un calendario World Tour sempre più importante. Obiettivamente non abbiamo una quantità e qualità di ragazze per poter affrontare tutti gli impegni su strada e pista previsti. Con gli intensi calendari che hanno anche con le loro squadre di club, è difficile gestirle per preparare i vari appuntamenti; se a questo aggiungiamo il forfait di Elisa Longo Borghini e gli incidenti in cui so­no incappate nei mesi scorsi alcune del­le nostre migliori atlete, è facile in­tuire perché nel finale della prova in linea siamo mancati. In pista la medaglia è sfumata per poco: nello scratch Martina Fidanza ha chiuso quarta, ca­dute hanno compromesso l’omnium di Letizia Paternoster e la madison disputata da un’ottima Chiara Consonni con Fi­danza. Elisa Balsamo e Vittoria Guaz­zini sono state bravissime a recuperare dai rispettivi infortuni e a voler essere presenti, con le loro compagne sono si­curo che a Parigi 2024 dimostreranno tutto il loro valore».
Dalla pista sono arrivate belle soddisfazioni.
«Sì, Marco Villa è davvero bravo a riuscire a portare nei velodromi ancora gente come Ganna, Milan, Consonni... Il primo è arrivato in Scozia dopo aver vinto il Giro di Vallonia, il secondo dopo essere sbocciato al Giro d’Italia, il terzo non al top ma sempre disponibile per la Nazionale, così come gli altri colleghi del quartetto, questa volta assemblato solo 3-4 giorni prima dell’inizio del torneo. In previsione olimpica le squadre in cui militano i nostri corridori di punta ci daranno la possibilità di lavorare per un tempo più lungo, quindi sia in chiave maschile che femminile io resto ottimista. Qualcuno ha scritto che se togliamo Pippo di questo gruppo resta niente, ma non è vero. Abbiamo la fortuna di avere Ganna che, oltre che ad essere un campione legatissimo alla maglia azzurra, è un trascinatore, ma anche Elia Viviani, un super professionista simbolo del movimento su pista (bronzo nell’eliminazione e pochi giorni dopo terzo alla Clas­si­ca di Amburgo, ndr) che ispirano i giovani, che ai mondiali junior di Calì si sono confermati ai vertici internazionali. Siamo ripartiti con il settore velocità, in cui l’Italia mancava da oltre 15 stagioni e in un anno e mezzo abbiamo raggiunto ottimi risultati. Il terzetto del team sprint che lotta sui decimi per la qualificazione olimpica, stabilendo nuovi record italiani a ogni manifestazione internazionale, dimostra che stiamo lavorando bene. Per i ragazzi di Ivan Quaranta l’obiettivo è oltre Pa­rigi, il “goal” è qualificarsi tra le otto migliori Nazioni al mondo per Los Angeles 2028».
Fuoristrada e bmx ci hanno regalato una medaglia a testa.
«L’argento conquistato dallo junior Elian Paccagnella nel cross country olimpico è significativo. Il 6° posto di Luca Braidot e il 7° di Martina Berta sono onorevoli perché ottenuti nel confronto con atleti di altissimo livello. L’anno scorso con Mirko Celestino ab­biamo pianificato di incrementare il la­voro con i giovani, che sta già dando i primi frutti. Lo stesso discorso vale per la Downhill: Simone Fabbri sta ricostruendo un settore che era stato ab­bandonato a sé stesso e i risultati ottenuti anche ai recenti Campionati Eu­ro­pei, a partire dal titolo continentale di Eleonora Farina tra le donne élite, di­mostrano che ci siamo. Per quanto riguarda la BMX anche il CT Tom­maso Lupi è concentrato sulle nuove leve: grande soddisfazione ci ha dato il bronzo dello junior Tommaso Friz­zarin nella BMX Race così come le finali conquistate dai suoi compagni. È stato importante rivedere ad alti livelli Martti Sciortino, al rientro dopo un infortunio pesante, e in previsione olimpica è incoraggiante la crescita di Marco Radaelli, due anni fa iridato ju­nior. Passando al Freestyle invece, dobbiamo reclutare giovani guardando a Los Angeles 2028, per Parigi non siamo pronti. Per questo tipo di discipline la mancanza di infrastrutture si fa sentire: Padova e Verona per il Race e Roncade per il freestyle non bastano se devi rivaleggiare con Nazioni come Au­stralia, Inghilterra e Francia che hanno un centro bmx in ogni città».
A livello di strutture purtroppo non c’è confronto con altri Paesi.
«È innegabile, ma da buoni italiani ci arrangiamo con quello che abbiamo e lo facciamo anche bene. Mi unisco all’appello del presidente Cordiano Da­gnoni, anche per la pista speriamo si sblocchi presto lo stallo in cui si trova il velodromo di Spresiamo. Si tratta di una questione politica, per la quale dobbiamo restare in attesa. Non è da noi lamentarci ma se invece di uno so­lo, avessimo come in Francia 12 velodromi coperti sarebbe tutta un’altra storia. A Glasgow ho seguito per la prima volta dal vivo il ciclismo artistico. L’indoor cycling ha una popolarità in­credibile, soprattutto in Germania, da noi purtroppo non c’è cultura di questa disciplina. In maglia azzurra ha ben figurato Magdalena Muller, non a caso ragazza italo-tedesca, che per un posto è finita fuori dalla finale. Luigi Bielli sta seguendo questa specialità, portando i nostri atleti anche ad alcune prove di Coppa del mondo, ma di strada in questo senso ne abbiamo ancora da percorrere. Per intenderci non abbiamo una squadra per la ciclopalla, disciplina in cui Giappone, Germania e In­ghilterra la fanno da padroni».
Riflettori puntati anche sul paraciclismo, per la prima volta in un mondiale sono state affiancate le gare degli atleti con di­sabilità ai colleghi normodotati.
«La strada paralimpica ci è valsa 15 medaglie, in pista abbiamo meritato 3 argenti e 1 bronzo, per un totale di 19 medaglie (5 ori, 5 argenti e 9 bronzi) e il settimo posto nel medagliere. L’at­ti­vità nei velodromi, che non era mai esistita da noi prima di quest’anno, è stata avviata solo a febbraio a Montichiari quindi il secondo posto dei tandem composti da Chia­ra Colombo/Elena Bissolati e Stefano Meroni/Francesco Ceci è stato davvero emozionante, so­prattutto per i ragazzi/e che hanno di­mostrato già un bell’affiatamento. Clau­dia Cretti è stata bra­vissima, si è messa al collo due ar­genti e un bronzo diventando uno dei volti simbolo della spedizione. Nella handbike Mirko Te­sta ha vinto la pro­va più importante e agli Europei di Rotterdam, pochi giorni dopo, i nostri si sono confermati al top. Anche se so­no cambiati i re­golamenti per le qualifiche olimpiche, i tecnici delle Nazionali strada Pierpaolo Addesi e pista Silvano Perusini non avranno problemi visto il livello delle nostre squadre».
Il prossimo impegno per la maglia azzurra sarà il Campionato Europeo su strada di Drenthe in programma dal 20 al 24 settembre.
«Ci aspettiamo di essere protagonisti, so che il CT Daniele Bennati ha parlato con gli atleti impegnati alla Vuelta e che sulla carta avranno una marcia in più in vista delle sfide continentali. So­no convinto che, come sempre, riuscirà a creare una squadra all’altezza, così come farà Marco Velo per le cronometro. Ve­dremo come uscirà dalle tre settimane spagnole Milesi, alla prova con il suo primo grande giro. Paolo Sangalli sta valutando i programmi delle nostre leader, in ripresa dopo qualche acciacco fisico. Visto il percorso non durissimo Balsamo o un’altra delle nostre ruote ve­loci ritengo possano fare bene. L’in­tento è di portare a casa i migliori risultati possibili, anche con gli juniores di Dino Salvoldi. Abbiamo investito molto quest’anno sull’attività all’estero dei ragazzi di questa categoria cruciale, ve­dendo come hanno corso al mondiale l’esperienza accumulata sta facendo la differenza rispetto alla debacle di un anno fa in Australia».
I Giochi Olimpici di Parigi 2024 sono or­mai dietro l’angolo. A che punto sia­mo?
«Siamo sulla strada giusta. Nel corso di questo mese con i tecnici dei vari settori ci riuniremo per le dovute valutazioni, soprattutto per quanto riguarda ma­teriali e test, elementi chiave per essere competitivi in pista e non solo. Dopo l’Europeo andrò a Parigi con la delegazione del CONI per un ultimo sopralluogo che chiuderà il cerchio a livello logistico (le nostre Nazionali strada e mtb dovrebbero far base a Versailles, bmx e pista a 8 km da Saint-Quentin-en-Yvelines, ndr). Rispetto ai Giochi di Tokyo, rimandati e costretti in una bolla dalla pandemia, i prossimi do­vrebbero essere meno complicati ma svolgendosi nel cuore di una grande città presentano comunque alcune difficoltà pratiche. La maggior parte degli eventi del ciclismo si svolgerà nel quadrilatero centrale della capitale francese, i Giochi saranno meravigliosi da vedere per chi avrà la possibilità di esserci dal vivo o li seguirà in tv».
Cosa ci manca?
«Sotto l’aspetto tecnico in Italia ab­bia­mo delle eccellenze, per quanto riguarda tecnici e staff siamo più che coperti, dal cuoco alla psicologa ab­biamo ogni tipo di professionalità al servizio dei corridori. Chiedo alle squadre il tempo necessario per po­ter lavorare con i ragazzi e le ragazze di interesse nazionale, questo è l’unico aspetto che mi preoccupa un po’. Ringrazio il presidente e il consiglio federale che hanno avallato ogni ri­chiesta tecnica e di programmazione, senza mai metterle in discussione, nonostante si parli di costi importanti per portare avanti tutta l’attività. Co­me già detto, ci mancano le infrastrutture dove far allenare i campioni e crescere i giovani, costretti a pedalare su strade rattoppate, a schivare bu­che e pregare di uscire indenni dai troppi rischi causati dai mezzi a mo­tore. A Glasgow ho visto centri sportivi at­trezzatissimi, un velodromo che oltre alla pista presenta un palazzetto per l’atletica e una piscina, sembrava un ufo per uno abituato a quello che offre il nostro Paese. C’è una carenza che dobbiamo colmare sfruttando i grandi eventi. Spero non si sprechino più candidature importanti come ac­caduto in passato, per come è strutturato il “sistema Italia” mondiali e olimpiadi sono le uniche occasioni in grado di dare nuova linfa e terreno per far germogliare lo sport».

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