Elogio della follia
di Cristiano Gatti
Il tema è riesploso all'ultimo Giro, sollevato nei toni più sguaiati dal boss belga Lefevere, ma sostanzialmente condiviso da una popolosa corrente di pensiero. È un tema eterno e irrisolvibile del ciclismo (ma non solo, dopo tutto), un tema che non smetterà mai di sollevare discussioni, il tema che così provo a riassumere: è giusto e sensato che il ciclismo moderno vada ancora a cercare grane - ma anche spettacolo - su certi terreni, terreni che proprio Lefevere ha sinteticamente bollato come “farsa da circo”?
Il riferimento, solo l’ultimo in ordine di tempo, era per i chilometri finali della cronoscalata sul monte Lussari, che di fatto hanno sbloccato e risolto il Giro più bloccato e irrisolto degli ultimi anni. Sotto accusa, in questo caso, le pendenze da brivido e il fondo stradale, non il classico asfalto bensì una gettata di cemento, per di più rigato. Allora, roba da circo Orfei che falsa la natura delle corse o estrosa invenzione che restituisce divertimento agli afflitti tifosi?
Parto dalla fine, dalla risposta mia: tutta la vita voto il ciclismo che ancora sa inventarsi qualcosa di nuovo e di diverso, se vogliamo anche tornando indietro, verso teatri e percorsi dei tempi andati, una volta usuali, oggigiorno stravaganti al limite dello choccante. Casualmente, la tappa più bella, l’unica tappa che ricordiamo dell’ultimo Giro, è proprio quella della cronoscalata folle. Ma voglio allargare il discorso: come giudichiamo la Roubaix con quel suo anacronistico fondo roccioso, pedissequamente riproposto in quest’epoca di asfalti evoluti e strade tirate a lucido, studiati per il massimo scorrimento delle coperture di ultimissima generazione, addio attriti e via sul velluto? E la Strade Bianche? Com’è che io la considero la più bella invenzione - un’invenzione veramente moderna - dell’ultima era, mentre il ciclismo ortodosso può tranquillamente trovarla anacronistica, stupida, inattendibile, contro natura?
Allargo ancora di più, avventurandomi per un attimo fuori dal ciclismo: che diciamo di Wimbledon, con quella sua erba che ormai cresce solo lì nei dintorni di Londra, quando la chimica ha partorito materiali fantastici e indistruttibili, con quelle palle che viaggiano come proiettili? Che dire del Gp di Montecarlo, dove è più difficile sorpassare che in Corso Buonos Aires a Milano, considerato un’icona intoccabile nell’epoca dei grandi impianti ipersicuri e iperveloci? Cos’è tutto questo, una farsa e un circo equestre?
Senza farla più lunga, veniamo alla morale della storia. Cercare e proporre ancora queste soluzioni, più in generale permettersi ancora e sempre un ritaglio di estro e di fantasia, resta un pregio, non una colpa. Se il mondo di oggi è dominato dalla tecnica e dalla programmazione (certo, quella scienza che magari ti fa perdere un Giro per il salto di catena dalla monocorona), se il punto d’arrivo sembra ormai un gruppo di figuranti che pedalano telecomandati magari dall’intelligenza artificiale in una cabina di regia, vietato prendersi libertà e men che meno commettere errori, sinceramente a me sembra vitale concedere una riserva alla follia. È stranissimo, perché nell’epoca in cui bucano in video e via social solo mostri e deformità, notizie curiose e stravaganze spinte, in questa stessa epoca il ciclismo chiede solo logica, calcolo, freddezza, rigidità. Ortodossia. Siamo di fronte al partito che non vuole la Sanremo così com’è, ma la vuole uniformare allo standard moderno inserendo salite tipo Liegi-Bastogne-Liegi. È il partito che vuole le cronometro sulle piste degli autodromi, o magari se possibile farle indoor, senza una finestra aperta però, non sia mai che un refolo alteri gli equilibri calcolati dallo scienziato in laboratorio.
Se è questo che tutti vogliono, se è questo il prossimo ciclismo, io mi tengo stretta la cronoscalata pazza del Lussari, la Roubaix, la Sanremo, la Strade Bianche, con loro Wimbledon e Montecarlo. Mi tengo stretto tutto questo perché ancora, tra immani fatiche e anche pesanti insulti, tiene valorosamente in piedi il fascino intramontabile dell’improvvisazione e della creatività, lasciando uno spazio aperto all’elemento più bello della vita: l’imprevedibilità. E se tutto questo è pura follia, il mio è un grato elogio alla follia.