di Carlo Malvestio
Lato Italia, la notizia più bella che ci ha lasciato il Giro è probabilmente - anzi senza probabilmente - la scoperta di un cavallo di razza, uno di quelli che, si spera, possa far tornare i tifosi azzurri a sobbalzare sul divano nelle volate più prestigiose del mondo. Jonathan Milan lo conoscevamo come un eccellente pistard - è campione olimpico, mondiale ed europeo nell’Inseguimento a squadre e plurimedagliato anche in quello individuale - e un promettente stradista, che al Giro d’Italia debuttava in un Grande Giro.
«Per me essere al Giro era già un obiettivo centrato, un sogno che si realizzava - ha spiegato il gigante friulano di Buja -. Avevo tantissimi punti interrogativi, non sapevo cosa aspettarmi, come sarei arrivato alla fine della prima settimana e poi della seconda. Fin dai primi giorni ho però capito di stare bene e col passare delle tappe la consapevolezza è cresciuta».
Il talentuoso classe 2000 della Bahrain Victorious si è sbloccato subito, il secondo giorno, sfrecciando come un missile nella Teramo-San Salvo, davanti a David Dekker e Kaden Groves. Una vittoria netta, schiacciante, che ha messo in mostra per la prima volta la sua innaturale potenza. Un caso? Neanche per sogno. Quella rimarrà la sua unica vittoria in questo Giro, ma le prove di forza maggiori le ha date quando è arrivato secondo. A Salerno è stato battuto da Groves e a Napoli da Mads Pedersen, ma è la sua volata a Tortona che ha fatto strabuzzare gli occhi a tutti. Jonny ha cominciato la volata indietro, circa dalla quindicesima posizione, e in 300 metri ha superato al doppio della velocità tutti gli avversari, arrivando ad un centimetro dal successo, che è invece andato a Pascal Ackermann dopo il fotofinish. Epilogo molto simile a Caorle, con Milan che comincia a sprintare da casa sua, deve rimontare, e finisce nuovamente secondo per pochi millimetri, stavolta alle spalle di Alberto Dainese.
«Cominci le volate troppo indietro - gli ha detto il CT Bennati dopo l’ennesimo recupero col vento in faccia -. Se partissi giusto batteresti tutti con tre biciclette di margine».
L’impressione che ha dato, in effetti, è stata proprio quella di una netta superiorità in termini di potenza rispetto agli avversari, potenza che però non è riuscito a sfruttare fino in fondo.
«So bene che devo ancora migliorare molto, ho fatto più di qualche errore in diverse volate. Ma questo Giro mi è servito anche per questo, mi sono confrontato con grandi corridori e da qui posso ripartire. D’altronde nessuno sapeva cosa aspettarsi da questo mio primo Giro, quindi è normale che la squadra non fosse tutta per me. E ha fatto bene, visti anche i buoni risultati di Caruso e Buitrago».
In tutto ciò, il gigante di Buja si è ritrovato in Maglia Ciclamino al secondo giorno di corsa e con quella è rimasto fino a Roma. Solo Beppe Saronni era riuscito a vincere la Ciclamino in età più giovane, a 21 anni contro i 22 di Jonny.
Tra volate, traguardi volanti, fughe, calcoli, podi e interviste, per Milan sono state tre settimane dispendiose fisicamente e mentalmente.
«Arrivare a Roma con questa maglia è fantastico, un sogno inaspettato, perché mai ci avrei creduto prima del via. Giorno dopo giorno ho cominciato ad aver fiducia e a dirmi “sì, ce la puoi fare” e così è stato. Mi sarebbe piaciuto fare una bella volata anche a Roma, ma non avevo più gambe. Sono contento però che l’abbia vinta una leggenda come Cavendish, penso che tutto il gruppo sia rimasto contento. Ha fatto qualcosa di incredibile per questo sport, chiunque metterebbe la firma per vincere anche solo la metà di ciò che ha vinto lui».
Non è stato tutto rose e fiori, però, per Milan: i momenti difficili sono arrivati anche per lui. Proprio vicino a casa, proprio ad un passo da Roma, salendo verso le Tre Cime di Lavaredo, la crisi più profonda, immortalata dalle foto dei tifosi. Con lui i compagni Andrea Pasqualon, Jasha Sütterlin e Yukiya Arashiro, che lo hanno scortato fino all’arrivo: «La giornata peggiore, ma non del Giro, della mia vita proprio. La notte precedente non avevo dormito per problemi intestinali, non so se dovuti alla stanchezza oppure al freddo. Avrò dormito sì e no un’ora e mezza. La mattina non sono riuscito a mangiare, sono partito che ero già senza forze, ho cominciato ad alimentarmi durante la tappa ma è stata una sofferenza. Senza i miei compagni non sarei arrivato al traguardo, mi hanno praticamente trascinato. All’arrivo non avevo neanche la forza per togliermi i guanti. Ma non potevo mollare in Maglia Ciclamino».
Dopo il grande sforzo è ora tempo di staccare un po’ la spina. Giusto qualche giorno, sia chiaro, perché poi la seconda parte di stagione incombe e di obiettivi ce ne sono ancora: «Farò una settimana a casa in tranquillità, senza toccare la bicicletta. Non ho in programma niente di speciale, solo passare un po’ di tempo con famiglia e morosa. Magari farò un giro in Vespa. Prossime corse? Con la squadra non abbiamo ancora stilato il calendario, ma credo che intanto farò il Campionato Italiano. Per quanto mi riguarda, il focus ora si sposta sul Mondiale. Su pista… e magari anche su strada».
E, a proposito di pista, quanto c’è dei velodromi in questa costante crescita di Milan, che si spera possa portarlo nel gotha degli sprinter?
«C’è tutto. La potenza, per esempio. E tanti dei lavori che faccio per le volate me li porto dal velodromo. L’attività su pista aiuta un sacco un velocista, riesci a svolgere dei lavori che su strada non si possono replicare. Con dei rapporti specifici. E poi la frequenza, l’intensità, la forza». Sono gli anni d’oro di Jonny Milan. Godiamoceli.