di Paolo Broggi
L’uomo dei record, il ragazzo con il sorriso. Sono i due volti di un fenomeno assoluto, al secolo Tadej Pogacar. L’uomo dei record inanella vittorie a catena - in questa stagione è già a quota 12, in carriera è già arrivato a 58 -, il ragazzo con il sorriso non lo perde nemmeno quando la sorte gli gira le spalle, come a Liegi.
È un racconto, questo, che comincia dalla fine o quasi, per la precisione dal km 85 della più antica delle classiche: il gruppo viaggia veloce verso il giro di boa di Bastogne, si affronta un tratto in discesa a 70 all’ora quando il danese Mikkel Honorè prende una buca e gli pneumatici della sua bici esplodono. Il corridore della EF Education Easypost cade rovinosamente a terra (per lui un trauma cranico) e Pogacar che gli è a ruota non riesce ad eviralo, così come altri corridori. Ripartono tutti, riparte anche Tadej ma dopo qualche chilometro è costretto ad arrendersi di fronte al dolore e all’impossibilità di guidare la sua bicicletta e continuare l’attesissimo duello con Remco Evenepoel.
Sale in ammiraglia, Pogacar, e viene accompagnato in ospedale per gli accertamenti radiografici che mostrano come il suo scafoide sinistro ed il semilunare siano fratturati.
La macchina organizzativa della UAE Emirates si mette rapidamente in moto e nel tardo pomeriggio il campione sloveni viene operato allo Ziekenhuis Oost-Limburg dal professor Joris Duerinckx. La prima foto che circola? Naturalmente un Pogacar sorridente nel letto d’ospedale accanto al chirurgo che lo ha operato. E la seconda? Chiaramente un Pogacar sorridente al rientro nell’hotel che ospita la sua squadra.
L’uomo dei record - Pogacar puntava a completare il poker Freccia, Amstel, Freccia e Liegi, cosa che nessuno mai nella storia è riuscito a fare - lascia posto in pochi istanti al ragazzo con il sorriso che si muove con la stessa semplice naturalezza in ogni pagina che la vita gli pone davanti.
IL FIANDRE. Riavvolgiamo il nastro e ritorniamo all’inizio di un mese di aprile straordinario e torniamo a domenica 2 aprile e alla festa nazionale di un Paese, il Belgio, che scende praticamente tutto per le strade nel giorno della Ronde. Il Giro delle Fiandre è molto più di una semplice corsa e Pogacar ha deciso che vuole conquistarla.
Il suo primo attacco arriva sul Vecchio Kwaremont, al secondo passaggio, e nella sua scia restano solo Van der Poel e Van Aert, i massimi esperti di questa corsa.
Sul Kruisberg un’altra accelerata e Van Aert che alza bandiera bianca, al terzo passaggio sul Vecchio Kwaremont Van der Poel si ingobbisce sulla sua bici mentre Pogacar vola via leggero, 20 chilometri di azione solitaria per raggiungere il traguardo di Oudenaarde e scrivere nuove pagine di storia.
Dal 1994 il vincitore di un grande Giro non vinceva il Fiandre: l’ultimo era stato Gianni Bugno con una volata che aveva fatto trattenere il fiato a tutti i suoi tifosi. Di più, prima di Pogacar solo due vincitori del Tour de France avevano saputo vincere il Fiandre: Louison Bobet nel 1955, Eddy Merckx nel 1969 e nel 1975.
E non va dimenticato che complice il forte vento favorevole, lo sloveno della UAE firma anche il Fiandre più veloce di sempre: 44,083 la sua media oraria, battuto il record di Bortolami (43,576 kmh) che resisteva dal 2001.
La grandezza dell’impresa di Pogacar è anche nelle parole di Van der Poel, il corridore che in cinque edizioni del Fiandre ne ha vinte due e non è mai sceso al di sotto del quarto posto: «Penso di aver cors oil mio miglior Fiandre, ma Tadej è stato semplicemente più forte».
E lo sloveno aggiunge: «Non dimenticherò mai questa giornata: sapevo che per vincere dovevo attaccare sul Vecchio Kwaremont e dare tutto sul Paterberg, anche a rischio di saltare. E anche se quest’anno non dovessi vincere il Tour de France, la mia stagione sarebbe comunque perfetta».
Non sappiamo ancora se conquisterà la Grande Boucle, ma di sicuro Pogacar non si è fermato al Fiandre...
L’AMSTEL. Battuto alla Ronde, Van der Poel si è preso rivncita e ribalta alla Roubaix e poi ha dato all’amico Pogacar i consigli giusti per vincere l’Amstel Gold Race.
Di rientro dalla ricognizione sulle clline olandesi, Tadej trova sullo smartphone un whatsapp dell’amico-rivale: “se vuoi vincere l’Amstel, devi scattare su Keutenberg”.
«Tutto è andato come ha detto Mathieu, lui conosce bene l’Amstel e le mie caratteristiche: siccome lui non era in corsa, voleva che vincessi io e lo ringrazio per la stima, ovviamente ricambiata. Com’è andata? Che quando siamo arrivati ai piedi di quella salita mi sono ricordato il consiglio, ho attaccato e... sono rimasto solo. Ho fatto molta fatica negli ultimi 25 chilometri perché avevo mal di gambe, ma era giusto provare su quella salita, perché era la più dura».
Probabilmente più infastidito che aiutato dal solito traffico di moto e in particolare dall’auto del direttore di corsa Leo Van Vliet - da più parti è stato accusato di aver fatto da scia a Pogacar mentre il britannico Healy era in rimonta, ma il giudizio è stato sicuramente condizionato dalle sovarimpressioni molto ballerine della cronaca televisiva, anche se resta il fatto che quell’auto lì non doveva esserci - Pogacar ha messo a segno l’ennesima azione solitaria della carriera e ha aggiunto un’altra perla alla sua collezione. Non è una corsa monumento? Vero, ma l’Amstel è una classica vera, di anno in anno sempre più impegnativa. La concorrenza non era delle più qualificate? Indiscutibile il fatto che troppi campioni abbiano scelto di evitare il confronto con Pogacar ma una volta di più vale il vecchi detto che recita “gli assenti hanno sempre torto”. E comunque Pogacar è riuscito ad entusiasmarci una volta di più.
LA FRECCIA. Tre giorni ancora e Pogacar torna ad incantare. Al via della Freccia Vallone è il corridore più atteso, il favorito numero uno: il pronostico, però, non è un peso per lui, anche se la classica del Mur di Huy non gli ha mai detto bene. Stavolta Tadej cambia copione: non attacca, ma chiede ai compagni di squadra - splendido Ulissi! - di fare il forcing sula Côte de Chérave e sulla Côte d’Ereffe, poi rifinisce il loro lavoro sul Muro, accelerando nelle ultim centinaia di metri per andare a vincere con autorità.
«È stata una corsa perfetta, il tempismo qui è fondamentale e non ero sicuro di vincere anche perché la forma è più o meno quella dello scorso anno, quando non ero nemmeno entrato nei primi dieci. Se mi piace vincere? Sì, è sempre incredibile perché il ciclismo è uno sport estremamente competitivo e battere 170 avversari non è mai semplice. E la felicità che io provo nel cuore quando vinco è immensa, ogni volta».
E quando si sente chiamare “uomo dei record” Pogacar precisa: «Non so se amare questa defizione, non amo guardare le statistiche e mi accontento di fare quello che devo. Vincere a Liegi? Quella è la gara più difficile, bisogna che tutte le stelle siano allineate, come per me è stato finora».
Evidentemente il giorno della Liegi una stella birichina aveva cambiato programma nascondendosi in una buca sulla discesa verso Bastogne. Ma il ragazzo con il sorriso non gliene ha fatto una colpa, anzi le ha dato un nuovo appuntamento. La aspetta a luglio, al Tour e c’è da scommettere che tutte le stelle, in quelle tre settimane, staranno a guardare...