di Carlo Malvestio
Quello straordinario trionfo in cima allo Zoncolan del 22 maggio 2021 ha caricato di pressioni e aspettative Lorenzo Fortunato. Dal canto suo, il portacolori della Eolo Kometa non si è mai tirato indietro, ha sempre ammesso di avere ambizioni importanti per il suo presente e il suo futuro, ma per il momento, pur avendo alzato il suo livello di prestazioni, non è ancora riuscito a rivivere una giornata di gloria come quella di due anni fa. La spinta dei tifosi è probabilmente più pressante di quello che dovrebbe essere, per il semplice motivo che gli scalatori di talento in Italia al momento si contano sulle dita di un mano, e tutte le aspettative vengono riversate proprio su quei 3-4 corridori ancora relativamente giovani che qualcosa in carriera hanno dimostrato, come Fortunato appunto.
«La pressione ce l’ho e so di averla, ma cerco di isolarmi, di non sentirla e di viverla bene - ammette Lorenzo -. Ognuno dice la sua, ognuno ha il suo pensiero, io devo solo andare avanti per la mia strada, lavorare e cercare di fare il meglio possibile. So che facendo il mio dovere i risultati arriveranno, magari non oggi e neanche domani, ma alla lunga sono sicuro che l’impegno e la determinazione verrano ripagati».
Il classe 1996 di Castel de’ Britti è uno dei più chiacchierati sui social; divide l’opinione tra chi si aspetterebbe di più e chi invece rimane sempre al suo fianco, sottolineando giustamente che è uno dei pochi azzurri che in salita prova a tenere botta anche a buoni livelli.
«I social? Li guardo ma non ci do peso, anzi mi faccio due risate».
Il bolognese paga più che altro un 2022 in cui non è riuscito, quantomeno in termini di risultati, a replicare quanto di buono mostrato l’anno precedente. «Andavo più forte l’anno scorso rispetto a quando ho vinto sullo Zoncolan, anche se i risultati non sono arrivati - continua Fortunato, che in classifica aveva però chiuso 15° contro il 16° dell’anno precedente -. Ero andato al Giro per fare classifica, per provare ad entrare nei primi 10. Poi però in fuga non sono riuscito ad emergere, la vittoria non è arrivata anche a causa di una caduta a inizio Giro che ha un po’ compromesso tutto. Ho avuto una serie di cadute perfino dopo il Giro, anche all’Adriatica Ionica Race che nel 2021 avevo vinto. Nel fine stagione, poi, mi ero ripreso e sono caduto un’altra volta al Lombardia».
Quest’anno è ripartito con uno spirito di rivalsa, ma con lo stesso grande obiettivo di prima, il Giro d’Italia. Al Gran Camiño dominato da Jonas Vingegaard, ha scialacquato una possibile Top 5 finale con una cronometro conclusiva a dir poco opaca, ha corso in difesa alla Tirreno-Adriatico e poi si è rivisto a buonissimi livelli al Tour of the Alps, che ha chiuso al quinto posto finale dopo aver battagliato spalla a spalla con corridori che puntano quantomeno al podio del Giro d’Italia, come Tao Geoghgan Hart, Jack Haig e Aleksandr Vlasov. Prima della Corsa Rosa ha preso parte anche alla Vuelta a Asturias, corsa alla quale aveva partecipato anche negli ultimi due anni, per aggiungere tre giorni di gare nelle gambe e andare a caccia di un buon risultato, oltre che fare contenti gli sponsor spagnoli della squadra.
«Non avevo mai fatto il Tour of the Alps, ma ci tenevo a correrlo perché il percorso è bello e ci sono salite lunghe e impegnative come al Giro d’Italia. Inoltre, volevo arrivare alla Corsa Rosa con qualche buon risultato dopo che all’inizio della stagione non sono riuscito a raccogliere molto. Il quinto posto al TotA, in questo senso, mi dà molta molta fiducia. In salita ho valori già buoni e credo di poter crescere ancora. Sicuramente vado più forte dell’anno scorso, sono più leggero, peso tra i 55 e i 56 chili, e ho più resistenza. Poi ottenere risultati non è facile, perché ci vogliono le circostanze giuste, ma continuando a lavorare e crescere penso che prima o poi le soddisfazioni arriveranno».
C’è anche da dire che Fortunato, come d’altronde tutti i suoi colleghi, si è ritrovato in un momento storico in cui i cannibali sono tornati di moda.
«Alla Vuelta a Andalucia ha vinto tutto Pogacar, poi al Gran Camiño tutto Vingegaard, alla Tirreno-Adriatico tutto Roglic: per gli altri non c’è stato molto spazio, tanto meno per una fuga da lontano. Non dico sia frustrante, ma quando incontri certi corridori sai che devi interpretarla diversamente, sperare che abbiano una giornata no oppure più facilmente che ti lascino andare. Chi mi ha impressionato di più? Beh, Pogacar… davvero fenomenale!».
Al Giro non ci saranno lo sloveno e Vingegaard, ma ci sarà l’altro sloveno, Roglic, insieme a Remco Evenepoel: «L’unica cosa certa è che il livello sarà molto alto. Anche l’anno scorso lo è stato, ma credo che Roglic ed Evenepoel abbiano un livello superiore a chi ha vinto la Rosa nel 2022. Poi ogni Giro fa storia a sé, molto dipenderà da come verrà interpretata la corsa. Come si suol dire, la gara la fanno i corridori. Quando ti confronti con questi fenomeni hai sempre un metro di paragone alto: arrivare con loro, o lì vicino, o a ruota, vuol dire andare davvero forte. Certo, c’è meno spazio per vincere. Ma il livello è talmente alto che quando vinci vale di più».
E la vittoria sarà proprio ciò che Lorenzo inseguirà per tutte e tre le settimane: «Se dovessi scegliere tra una vittoria di tappa o una Top 10 in classifica generale, direi la prima. Anche perché se dovessi conquistare una tappa, vorrà dire che in salita sto andando forte e a quel punto anche una Top 10 in classifica generale potrebbe essere un obiettivo realistico. Il percorso mi piace, ma non posso permettermi di partire con la classifica in testa, perché per caratteristiche mie e della squadra rischiamo di perdere molto tempo nelle prime giornate e a cronometro. Ci sono le montagne che mi piacciono, soprattutto dalla seconda settimana in poi, conosco abbastanza bene la tappa di Bergamo, anche se non è una vera e propria frazione di montagna, e conosco quella delle Tre Cime di Lavaredo. Non vedo l’ora di cominciare».