I sogni di Jonathan Milan

di Giulia De Maio

Jonathan Milan è pronto a spiccare il volo. A soli 22 anni il friulano del Team Bahrain Victorious su pista si è già laureato campione olimpico, mondiale ed europeo, in un’escalation al contrario che nelle prossime stagioni potrà ripercorrere in chissà quale ordine, e anche su strada va sempre più forte.
Jonny sogna Milano-Sanremo e Parigi-Roubaix e noi con lui. Un anno fa aiutò il compagno Matej Mohoric a centrare il colpaccio alla Classicissima e nell’ottobre 2021 fece parte della squadra al fianco di Sonny Colbrelli in quella epi­ca, infangatissima e indimenticabile giornata sul pavè. Impara in fretta questo passista veloce di talento, ragazzo testardo quanto tranquillo, legato a fa­miglia e amici, senza tatuaggi né grilli per la testa, che al cellulare preferisce una passeggiata all’aria aperta.
Tra un giro in skate e il diploma conseguito in grafica e pubblicità, ha sempre vissuto la bici come un gioco e una valvola di sfogo finchè non è diventata l’espressione del «lavoro più bello del mondo». Da buon friulano ama essere concreto, stare con i piedi per terra, ma punta alle stelle. 85 kg per 1.94 mt, 46 come numero di scarpe, capace di esprimere fino a 1.800 watt di potenza, un «motore da paura» assicura l’allenatore Andrea Fusaz e mai portato fuori giri grazie all’occhio attento di Roberto Bressan e Renzo Boscolo che lo hanno cresciuto al Cycling Team Friuli. Ha i numeri, il fisico e la voglia per arricchire un palmares che potrebbe far “rilassare” molti suoi coetanei, non lui.
Ha iniziato il 2023 vincendo la seconda tappa del Saudi Tour in volata su Dy­lan Groenewegen e lottando su ogni terreno, prima di fare incetta di medaglie pesanti ai Campionati Europei di Grenchen. Oro nell’inseguimento, sia a squadre che individuale. Sta accumulando esperienza, imparando a gestire lo sforzo (da applausi il suo ultimo chilometro nella finale per l’oro contro l’inglese Dan Bigham, ndr) e quest’anno debutterà in un grande giro. Come il pilota di un aereo pronto al decollo è lui il nostro giovane da copertina in questo mese di inizio primavera che ci proietta alle Classiche Monumento. Jonny ha tutto per volare alto.
Che inizio...
«L’obiettivo mio e della squadra era di partire bene, per i risultati ottenuti de­vo dire grazie ai compagni di team e na­zionale. Al via della stagione eravamo tutti motivati, sono molto contento delle vittorie che sono arrivate, servono per il morale, rappresentano una buona spinta per il prosieguo della stagione. In tanti hanno speso belle parole su di me, ho letto paragoni importanti da Petacchi a Kittel, di cui sono onorato. Secondo me è presto per dire dove potrò arrivare, quel che è certo è che cercherò di dare il massimo».
A Grenchen eri già al top della condizione?
«No, assolutamente. Nelle prime corse dell’anno mi sono sentito bene, spingevo facile ma il picco di forma è in programma per le classiche. Dopo la Om­loop Het Nieuwsblad e la Kuurne - Bruxelles - Kuurne, correrò Parigi - Niz­­za, Milano - Sanremo e Classic Brugge - De Panne. Ad oggi sono riserva all’E3 Saxo Classic e alla Gent We­velgem, titolare a Dwars door Vlaan­de­ren, Giro delle Fiandre e Pa­rigi - Rou­baix. L’ambizione per le corse del nord è di dare una mano alla squadra e giocarmi le mie possibilità. Per quanto riguarda i grandi giri, l’idea è di disputarne per la prima volta uno, sarebbe speciale debuttare al Giro d’Italia, ma solo do­po le classiche valuteremo con la squadra».
Arrivi alla Sanremo con una partecipazione, quella dell’anno scorso vinta dal tuo compagno Mohoric.
«Ricordo ogni edizione passata, so­prattutto il trionfo di Vincenzo Nibali, mi piace rivedere le grandi corse. Un anno fa svolgemmo un buon lavoro di squadra e nel finale Matej diede spettacolo. Festeggiammo solo al traguardo e sul bus, non di più perché la sera stessa dovevamo partire per il Belgio. Questa volta cercheremo di ripeterci e personalmente vorrei fare un passettino in più, aiutare i miei compagni più avanti nel corso della gara. I lunghi chilometraggi non mi spaventano, ma per lottare in corse di questo calibro serve esperienza e non sbagliare nulla. Bisogna mangiare bene, limare, non sprecare un briciolo di energia».
Finora un’esperienza per te anche alla Rou­baix, quando vinse Colbrelli.
«In quell’occasione andò diversamente, non riuscii ad aiutare la squadra quanto avrei voluto perché sono caduto dopo 90 km. Chiusi sulle fughe troppe numerose, controllai la prima parte di corsa, ma dopo la Foresta di Aren­berg le ruote mi abbandonarono e fui costretto a tirare i remi in barca. Oggi avere Son­ny in ammiraglia è prezioso. È un grande uomo, una bella persona, motiva e sprona soprattutto noi giovani, fa gruppo. Averlo al nostro fianco in Belgio farà la differenza».
In Italia aspettiamo da tempo un corridore che possa tornare a vincere una classica e a lottare per i grandi giri. L’ini­zio di stagione è stato promettente per gli az­zurri. Cosa ti senti di assicurare ai tifosi?
«Chiedo loro di avere fiducia, di fare il tifo e supportarci. Noi cercheremo di dare il meglio e puntare sempre più in alto. Purtroppo la vittoria non arriva ogni volta che si sale in bicicletta ma noi la inseguiamo mettendocela tutta».
Tuo fratello Matteo corre tra gli Under 23 al Cycling Team Friuli: seguirà le tue orme?
«Sono convinto che diventerà un bel corridore da classiche. Tiene meglio di me in salita e ha un buono spunto veloce. È un bel passistone ed è nell’ambiente giusto per crescere bene, con il CTF Lab e la squadra composta da per­sonale affiatato, che mette cuore, anima e passione per tirar su i ragazzi. Matteo si impegna molto, si allena il giusto per la sua età e quando sono a casa usciamo spesso in bici insieme, quest’anno più che in passato visto che ha terminato gli studi e quindi è più libero».
Mamma Elena e papà Flavio che cosa di­co­no dei successi che stai ottenendo?
«Sono contenti, supportano e sopportano sia me che mio fratello. Sono im­pegnati nell’azienda di famiglia di tendaggi e tessuti per interno ed esterno casa, ma quando possono ci seguono. Sono stato felice di averli avuti con me agli Europei. Abito con la mia famiglia a Buja, per ora avendo solo 22 anni e stando via per tre quarti dell’anno non ho intenzione di muovermi dal mio paese, a cui sono molto legato. Quan­do torno dalle trasferte ho preso l’abitudine di portare sempre una tazza in regalo. La collezione si sta allargando... Quando c’è da festeggiare? Pizza fatta in casa, pasta o lasagne e si va sul sicuro».
Hai festeggiato San Valentino o San Faustino?
«Il primo, con Samira. È una ragazza tedesca che studia Giurisprudenza a Lipsia, abbastanza appassionata di due ruote. L’ho conosciuta tramite amici circa cinque mesi fa. Da allora viene spesso da me quando sono a casa, così riusciamo a passare un po’ di tempo assieme tra un impegno e l’altro».
Se solo tre anni fa, quando sei passato professionista, ti avessero detto che saresti diventato campione europeo, mondiale e olimpico...?
«Mi sarei fatto una risatina e avrei detto “ma su, ma va”. Va detto che ho avuto la fortuna di trovare le persone giuste sul mio percorso. La famiglia è fondamentale, quattro nonni compresi, quanto le persone che credono in te come allenatori, compagni, fidanzata, amici. Ne ho tanti legati al ciclismo. Davide Toneatti, Nicola Pravisano, Tom­maso Bergagna, Asia Zontone sono quelli “storici”, ma anche Liam Bertazzo e altri conosciuti tra strada e pista. Devo davvero ringraziare chi mi ha seguito negli anni e chi è al mio fianco tuttora. Poi il destino è nelle tue mani e devi giocartela...».
Di recente hanno annunciato il ritiro dall’agonismo due tuoi coetanei, Ga­briele Benedetti e Mattia Petrucci. I giovani vengono spremuti troppo dal nostro movimento?
«La loro è una decisione personale, di cui non conosco le ragioni. Mi dispiace perché con entrambi avevo corso da Junior e Under, spero trovino la loro strada. Facendo un discorso più in generale, non si può fare di tutta l’erba un fascio. Non attribuirei colpe o meriti alle squadre, se un giovane arriva ad appendere la bici al chiodo è per un insieme di fattori. Il nostro, come tanti altri, è un lavoro esigente perciò quando non senti più il fuoco dentro, o co­munque non ritieni di riuscire a realizzarti, ci sta cambiare».
In effetti perché oggigiorno un ragazzo di 20 anni dovrebbe scegliere uno sport duro come il ciclismo? Chi glielo fa fare?
«Iniziare a quell’età è tardi, ma da piccoli bisognerebbe divertirsi con lo sport. Non si può pensare di avere la catena in tiro al primo allenamento. Io ho scelto il ciclismo perché era una valvola di sfogo, uscivo con i miei amici nel bosco, con la mtb, in mezzo alle pozze, giù dalle discese, le salite già allora le affrontavo a piedi (ride, ndr). Era un gioco e ho affrontato tutto un passo alla volta. Più si va avanti più il gioco si fa complicato, il segreto per me è farlo rimanere divertente, anche se diventa un lavoro e quindi richiede disciplina e restare concentrati sugli obiettivi. Ai bambini e le bambine consiglio di iniziare con uno sport, qualunque li ispiri. Per la salute è un dato di fatto che faccia bene, in più ti permette di stare in compagnia e ti forma per la vita. Io ricordo benissimo le domeniche dopo la gara tutti insieme con i genitori a mangiare la pizza e i compagni di allora sono gli stessi amici che frequento adesso. Ni­cola, uno degli amici fraterni che ho nominato in precedenza, per esempio ha iniziato come me con la mtb, poi tra bici e scuola ha scelto la seconda, e ora fa il cuoco di professione. Svol­gia­mo lavori diversi ma en­trambi grazie al ciclismo abbiamo im­parato a non mollare, ad ave­re me­­to­do, a es­sere precisi, a credere nel nostro potenziale per realizzare i nostri obiettivi e sogni».
Qual è l’aspetto che ti piace di più del mestiere del ciclista?
«Per me è il lavoro più bello del mon­do. A me piace andare in bici e gareggiare, stare con i compagni-amici, girare il mondo anche se non vediamo chissà quanto. Al Saudi Tour ho ammirato bei paesaggi, ma per lo più la nostra vita si svolge tra strade e hotel. Ciò che pesa un po’ è la lontananza dalle persone care per lunghi periodi, ma questo sacrificio in genere viene bi­lanciato dalle prestazioni. Se dopo un mese ad allenarti a Tenerife, sul Teide, poi in gara vai bene, ne vale la pena».
Se non avessi fatto il corridore?
«Il ciclismo è sempre stata la mia pri­ma opzione, ma in un’altra vita mi sa­rebbe piaciuto diventare pilota di ae­rei. Magari in futuro proverò a prendere il patentino per l’elicottero. A fine gennaio in Friuli Venezia Giulia ho partecipato alla cerimonia di apertura del Festival dei Giochi Europei Giovanili EYOF e in quell’occasione ho ricevuto la fiamma da Luca Basso Brusa, un elicotterista dei vigili del fuoco per cui nutro molto rispetto, ha una storia incredibile, in passato è stato un atleta di salto con gli sci ed è una persona da ammirare, anche al di fuori dell’ambito sportivo».
Quando non sei impegnato con la bici, cosa ami fare?
«Stare in buona compagnia, preferibilmente all’aria aperta. Fare un giretto con Scooby, il mio labrador, e prendermi cura delle mie Vespe (dopo l’oro olimpico se ne è regalato una del 1963, ndr). Non leggo tanto, ma guardo serie tv e film. Mi piacciono quelli d’azione e le storie vere, di recente ho visto Rise - La vera storia di Antetokounpo, che rac­­conta della famiglia che ha generato i primi tre fratelli campioni NBA della storia del basket americano. Seguo la pallacanestro, la Formula 1, la Moto GP, non sono un fan sfegatato ma mi interesso di sport a 360°. Da bambino ho provato judo, nuoto, karate, sci, ma nulla è stato forte quanto la passione per la bici. A 4 anni andavo a vedere le gare di papà che per un paio di stagioni è stato professionista e poi è stato proprio lui con un amico a fondare la squa­dra di mountain bike Jam’s Team Buja, che porta le iniziali dei nomi mio, di mio fratello e di Asia Zontone».
Quando sei al via di una corsa cosa pen­si?
«A essere il più tranquillo e rilassato possibile. Fino a poco tempo fa mi agitavo molto, avevo paura di non dimostrare quanto valessi, ora invece mi ripeto che sicuramente riuscirò ad aiutare la squadra o a disputare la volata. Mi ripeto che ho le possibilità per ben figurare, ho un team che mi supporta, chi crede in me...».
L’espressione che ti viene in mente quando ti trovi ai piedi di uno strappo?
«Cavoloooo, questo non ci voleva proprio (sorride, ndr). Se te lo trovi da­vanti quando hai già le gambe che fan­no male... son dolori».
Su una salita lunga?
«Cerco di pensare il meno possibile a quanti chilometri mi separano dalla cima e tengo duro».
In picchiata in discesa?
«Mi concentro sulle traiettorie, a impostare le curve al meglio, su chi ho da­vanti. Insomma, penso solo a non commettere errori».
In volata cosa ti passa per la testa?
«Anche lì bisogna stare per quanto possibile tranquilli per non commettere stupidaggini, come sbagliare i tempi. Prima della gara si studia da che parte prendere lo sprint, in base a dove tira il vento, se e dove è prevista un’eventuale curva o se la strada tira in su. Riper­corro con la mente il finale, poi seguo i compagni e do spazio anche all’istinto».
E tagliato il traguardo il primo pensiero a chi/cosa va?
«Se è andata bene corro ad abbracciare i compagni e mi godo l’emozione, altrimenti ripenso a cosa abbiamo sbagliato e nella riunione la sera stessa o il giorno dopo ci confrontiamo per evitare di ripetere lo stesso errore in futuro».
Se potessi avere un super potere quale sceglieresti?
«Volare».
Come ti immagini tra 5, 10 e 50 anni?
«Beh, tra 5 ne avrò quasi 28 anni quindi mi aspetto di essere ancora nel ciclismo, tra 10 non lo so. È difficile fare previsioni, non so di preciso cosa farò settimana prossima... Tra 50? Spero in pensione, a godermi la vita e girare il mondo, co­me se fossi sempre in va­canza».
Quale obiettivo vorresti aver raggiunto nel frattempo?
«Di sogni agonistici ne ho due su tutti: Sanremo e Roubaix. Diciamo che se tra 50 anni rileggerò questa intervista e potrò dire “cavoli, sono riuscito a ottenere quanto mi ero ripromesso” non sa­rebbe niente male».
Vai Jonny. Vola.

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