Giuseppe Mauso, il Giro e quell'incontro a Sant'Arpino
di Gian Paolo Porrec
Si parlava a Sant’Arpino, a dicembre scorso, ospiti di Elpidio Iorio e della sua avvincente kermesse rituale PulciNellamente, de “Il Giro racconta - La meravigliosa storia della Corsa Rosa e dei suoi 115 arrivi in Campania”, l’ultimo mio libro. Ma in fondo, che ne sia l’autore chi scrive qui, è fatto meramente secondario…
E già, perché la clausola finale di questa nostra cordiale riflessione è la certezza che un libro abbia valore solo se chi lo legge lo riscrive. O lo corregga di suo.
E così, al termine di un pomeriggio sereno a raccontare degli arrivi del Giro in Campania, delle sue giornate, dei suoi protagonisti, italiani e stranieri - anche se nel ciclismo, che è sport unico, la nazionalità è superflua -, dopo aver illustrato ancora una volta il casertano Saponetti e l’irpino De Caro, e tanti altri campani che hanno corso il Giro, ti arriva inattesa l’osservazione di un appassionato più attento di ogni altro.
«Dottor Porreca, ma lo sa che lei si è scordato, fra i ciclisti napoletani, di citare Mauso?».
Mon dieu, questo garbatissimo e prezioso interlocutore, Giovanni D’Elia, cultore del ciclismo locale, e Sant’Arpino è d’altronde ad un crocicchio fra Napoli e Caserta, ci consegnava una impeccabile errata corrige.
E già, sfogliando le mie pagine mi rendevo ben conto che nel registro dei ciclisti della provincia di Napoli che avessero corso il Giro avevo scavato un solco invero profondo, sin troppo, fra Antonio D’Amore, da Brusciano, Giro 1936, il primo, e Giuliano Figueras, da Arzano, Giro 1999, il secondo.
E che in quel varco di tempo trovava cittadinanza a pieno diritto Giuseppe Mauso, da Frattamaggiore, classe 1932, che il Giro d’Italia lo aveva difatti disputato e portato a termine - 66esimo nella classifica generale, maglia Bottecchia-Gripo - nel 1957.
Mauso da Fratta, hinterland metropolitano, quel solo anno disputato gareggiando fra i professionisti, vincitore di una tappa al Giro di Sicilia e di un circuito a Napoli, fu anche protagonista - raccontava - di un attacco sfortunato nella Sanremo di quella stessa stagione. «Mi fregò Bobet, o forse era Poblet che poi vinse», diceva ai cronisti, consolandosi a stento di un diciassettesimo posto, ex-aequo nel plotone, guadagnato al traguardo.
Mauso al Giro, ultragiusto, e provvederemo subito alla correzione nella eventuale prossima edizione.
Ma in uno sport di culto, non di “cult”, e di amici forti, come solo il ciclismo sa essere, il gentile D’Elia aveva pure l’infinita cortesia di una delicatezza neanche richiesta.
«Guardi, dottor Porreca, non si crucci di questa mia precisazione, non è mica un appunto, è solo perché di Giuseppe Mauso, primo napoletano a correre il Giro del dopoguerra aveva scritto proprio lei, su Tuttobiciweb, nel 2020, in occasione della sua scomparsa, forse non lo ricordava più». Emozionante.
E Giuseppe Mauso, caro D’Elia, grazie a lei e al suo modo resta ancora di più vivo nel nostro ciclismo di antico cuore campano. Corre ancora, più di Bobet, o chissà forse era Poblet.