Danku e Petr, Oss e Sagan

di Giulia De Maio

Non sono semplici compagni di squadra, ma amici. Si definiscono così loro stessi senza retorica ed è evidente nell’osservare come si muovono all’unisono in gara e la confidenza che dimostrano giù dalla bici. Peter Sagan e Daniel Oss sono due atleti di altissimo livello, ma prima di tutto due ragazzi che le due ruote e le strade della vita hanno unito, indissolubilmente.
Pet’ko e Danku, tra loro si chiamano al­la slovacca, sono nati in due Paesi di­versi a distanza di tre anni, ma crescendo sono diventati cittadini del mondo in sella al giocattolo sognato da ogni bambino, che per lo­ro è ormai da tempo uno strumento di lavoro rimasto però super divertente. Il tre volte campione del mondo e il suo fedele compagno trentino, oggi in forza al Team To­talEnergies, hanno disputato le prime gare insieme ai tempi della Liquigas, quando lo slovacco nel 2010 fa­ceva la sua prima apparizione tra i professionisti.
All’inizio dell’ennesima stagione in cui andranno a caccia di risultati di prestigio tra Clas­siche e Tour de France - tra l’altro l’ultima di Peter nel World­ Tour: come ha annunciato nel giorno di riposo della Vuel­ta a San Juan, inseguirà il so­gno olimpico in mountain bike; un an­nun­cio arrivato durante il concerto della rockband argentina La Beriso, in puro stile Sa­gan... - si sono raccontati l’un l’altro ai no­stri microfoni, svelandoci alcuni in­teressanti retroscena del loro rapporto e delle in­numerevoli avventure vis­sute insieme finora.
Ricordi la prima volta che vi siete conosciuti?
Oss: «La primissima volta eravamo a cena al Giro di Polonia, lui era ancora un Under 23, ven­ne a conoscere la squadra con cui sarebbe passato l’anno successivo. Era un pischello, il classico tipo che arriva dalla mtb, con in testa il cappellino da basket con il logo della Red Bull. L’anno successivo, al primo ritiro dell’anno, ho capito meglio chi avevo di fronte. Macinava i nostri stessi chilometri e le stesse ripetute in salita, ma aveva sempre 20-30 battiti in meno di gente come me e Guarnieri. Pochi mesi dopo alla Parigi-Nizza tutto il mondo ha compreso il suo potenziale».
Sagan: «In Polonia ricordo di aver in­contrato Stefano Zanatta, ma non te né gli altri corridori presenti che sarebbero diventati i miei futuri compagni di squadra. Effettivamente ho scoperto chi fossi in ritiro a San Pellegrino, dove trascorrevo il tempo soprattutto con Viviani e Cimolai, che già conoscevo avendo corso con loro da Under 23 in Marchiol. Strada facendo ho capito che Jacopo Guarnieri era veloce, poi abbiamo iniziato a tirare le volate ad Elia e man mano ho imparato i ruoli dei vari ciclisti. Daniel è sempre stato pronto ad aiutare gli sprinter e un giorno di fine agosto 2010 al Giro del Veneto, sotto la pioggia, dietro di noi caddero e noi riuscimmo a cogliere l’occasione ar­rivando lui primo e io secondo. Da lì è nato il nostro feeling».
Descrivi l’altro usando 3 parole.
Oss: «Peter ha del genio, è istinto ed è libero».
Sagan: «Daniel è educato, una buona persona e sa quello che vuole».
L’espressione che usate più spesso in gara tra voi?
Oss: «Lui fa un botto di domande, come i bambini... Cosa facciamo? Dove andiamo? Potrei farvi una lista lunghissima».
Sagan: «Se sto male gli domando se ha delle brutte sensazioni anche lui. Gli chiedo se il gruppo sta andando forte o piano per farmi un’idea se non sono in giornata io o stiamo andando a tutta effettivamente (ride, ndr)».
In cosa vi assomigliate?
Oss: «Abbiamo una visione simile del­la vita, cerchiamo di essere felici e propositivi anche nelle difficoltà, di sorridere di fronte alla fatica, di essere leggeri seppur professionali. Ci unisce an­che la musica, a entrambi piacciono il rock e il punk».
Sagan: «Confermo. Ci piace divertirci, come a tutti, e quando c’è da lavorare lo facciamo al cento per cento».
Siete invece diversi in...
Oss: «Nella nazionalità e, forse per quello, in alcuni aspetti culturali. Io per esempio apprezzo un’opera d’arte che a lui lascia indifferente e al contrario lui dà valore ad aspetti che a me non scaldano il cuore».
Sagan: «Nel modo di pensare e fare certe cose. Ognuno è diverso, no?».
In cosa l’altro è più bravo di te?
Oss: «In bici, indubbiamente (ride). Lui è molto bravo anche a farsi scivolare addosso le pressioni e le opinioni altrui. Io rimugino un po’, mentre lui è in grado di tirare una riga e voltare pa­gina velocemente».
Sagan: «Lui è più bravo di me in tante cose. Nel suonare la chitarra e a parlare francese, si intende di musica e riesce a farsi più amici di me. A me bastano anche meno amici».
In cosa sei più forte tu?
Oss: «Nel senso del ritmo».
Sagan: «Daniel pensa troppo alle opinioni altrui, io invece sono più bravo a fregarmene».
Chi fa più strage di cuori?
Oss: «Lui, può sfruttare il fascino del campione spacca. Non c’è proprio storia».
Sagan: «Non ho capito la domanda: vuoi sapere chi è più bravo con le ra­gazze o chi è più cattivo? (ride, ndr)».
Chi è più bravo in cucina?
Oss: «Credo io. Faccio bene il risotto».
Sagan: «Dipende dal tipo di cucina. Se ho la ricetta da seguire, io posso preparare di tutto».
Il tuo piatto preferito?
Oss: «Pizza con birra».
Sagan: «Non ne ho uno, se mangiassi ogni giorno la stessa cosa mi stuferei anche del piatto più prelibato. Quando sono in Slovacchia mangio perkelt, che sono tipo degli gnocchi con sugo di pol­lo e paprika dolce, e halušky, che sono sempre una sorta di gnocchi con formaggio tipico e pancetta grigliata. Per accompagnarli è consigliata la bir­ra».
Cosa non può mancare nella vo­stra valigia?
Oss: «Nel bagaglio a mano le cuffie e un dispositivo per ascoltare la musica».
Sagan: «Vestiti per bi­ci, scarpe per bici, occhiali per bici...».
E in stanza quando sie­te in ritiro o alle gare?
Oss: «Deve esserci un ambiente fresco. Se c’è caldo è un di­sastro».
Sagan: «Sì, è vero. Doccia e aria condizionata ci vogliono. E ci de­ve essere l’acqua da bere».
Il primo pensiero al mattino?
Oss: «Apro gli occhi e vado in bagno».
Sagan: «Anche io faccio un salto alla toilette e poi via a colazione».
L’ultimo gesto della sera?
Oss: «Alle gare in genere leggo un li­bro sull’ebook o mi guardo una serie tv sull’ipad».
Sagan: «E spesso si addormenta con lo schermo accesso, quindi a me tocca spegnergli il computer e togliergli le cuffie (sorride, ndr)».
Cosa gli invidi?
Oss: «Niente. Sono contento di quello che ha lui e di quello che ho io. Oggi non credo scambierei la mia vita per la sua, una volta forse sì perché siamo tutti atleti ambiziosi ed ero partito con una certa idea di successo, però credo ci siano tante vie per realizzarsi e io ho la mia. Dietro alla sua grande popolarità ci sono tanti sacrifici, non solo sportivi ma anche a livello personale».
Sagan: «L’invidia è una brutta cosa, non è un sentimento che mi appartiene. In più penso che la vita vada come debba andare, anche della mia non cambierei nulla. Nel bene e nel male è la mia e spero sia ancora lunga per vi­vere ancora tante avventure».
Una cosa che ancora non si sa di lui e puoi svelarci?
Oss: «Ha una ricrescita dei capelli smisurata. Si fa la barba alla mattina e alla sera ce l’ha già di nuovo».
Sagan: «Non è vero, o meglio anche a lui crescono i peli ma portando i capelli lunghi non se ne accorge. Avendoli corti, io ogni due settimane devo ta­gliarli».
Una cosa che non gli hai mai detto?
Oss: «Ti voglio bene. Forse in cambio rischierei di prendermi un pugno (ride, ndr)».
Sagan: «Io gli dico sempre tutto in faccia, anche quando sarebbe meglio stessi zitto».
Chi è il più fissato con gli aspetti tecnici della bici?
Oss: «Lui! Soprattutto quando andiamo in Utah, dove ha tutte le sue bici da fuoristrada e non abbiamo il meccanico al seguito è molto attento e sistema an­che le mie con tutte le misure. Se la me­na un casino soprattutto con la mtb e la gravel».
Sagan: «Non esagerare. Io mi fido dei meccanici e non mi diverto a sporcarmi le mani, lo faccio quando devo».
Chi dà più peso all’estetica?
Oss: «Lui ci tiene a vestirsi bene nelle occasioni, quando ha interviste o presentazioni, io ho il mio look standard, non ho troppe fisime».
Sagan: «Il più vanitoso è decisamente lui, poi sui gusti possiamo discutere. Gli dico sempre che secondo me do­vrebbe comprarsi dei jeans più lunghi. Che moda è andare in giro come se si avesse l’acqua in casa?».
Raccontagli la tua prima gara.
Oss: «Era a Rovereto, a un’oretta da Pergine, e mi accompagnò papà Fulvio. Era brutto tempo e noi G1 partimmo per ultimi, per aspettare che smettesse di piovere. Ricordo benissimo l’agitazione al via di questo bambinetto sfigato che aveva paura di non riuscire a infilare il piede nella gabbietta, invece una volta messa, da ultimo ho recuperato posizioni nel giro dell’isolato che rappresentava il percorso di gara fino a tagliare il traguardo primo. Fui premiato da Mariano Piccoli, all’epoca professionista. Ricordo il podio in una piazzetta e quanto fossi contento nel commentare con papà la gara chiusi in auto perché aveva ripreso il diluvio».
Sagan: «Anche alla mia prima gara pioveva, c’era fango ovunque, e anche io sono stato accompagnato da mio pa­dre. Lui corse tra i veterani insieme al mio fratello più grande Milan (ha 10 anni più di Peter, ndr) e ricordo come fosse ieri che a poco dalla partenza era­no entrambi con la sigaretta in boc­ca. Che atleti! (ride, ndr). Era una ma­nifestazione organizzata a circa 30 km da Zilina, il nostro paese, quindi an­dammo tutti a provare, fu la prima gara della vita per tutti gli uomini di casa. Io avevo 8 anni e, anche se prima dei 9-10 anni non si poteva gareggiare, me lo avevano consentito perché mi ero presentato con Juraj (al fianco del fratello minore fino all’anno scorso alla Total Energies, ora ritiratosi dall’attività agonistica, ndr), chiedendo di poter prendere il via insieme. Era una competizione che prevedeva tre ga­re in due giorni. La prima era una pro­va in mtb, che non finii perché ruppi il cambio. Il giorno successivo c’era in programma al mattino una cronoscalata, che vinsi sulla bici prestatami da un altro ragazzino, e al pomeriggio di nuo­vo una corsa in mtb in cui arrivai settimo. Nella generale conclusi fuori dai primi 3, ma mi divertii molto ed ero orgoglioso di avere vinto almeno una delle tre gare tanto che l’anno successivo mi iscrissi a un club e corsi tutta la stagione di mtb».
Consiglieresti il ciclismo a un bambino?
Oss: «Sì, come occasione di crescita. Quello che ti può dare una routine sportiva non ha eguali. Anche per questo io sto cercando di dare il mio contributo all’U.S. Aurora di Trento, la squadra giovanile in cui sono cresciuto, che come tutte le realtà sportive del nostro Paese non sta vivendo un periodo semplice a livello economico. Dob­bia­mo trovare le risorse per i più piccoli perché ciò che insegna loro lo sport li farà diventare uomini e donne migliori».
Sagan: «Se a un bambino piace il ciclismo glielo consiglierei. In ogni sport e professione la teoria è più bella della pratica, senza passione e determinazione non si va da nessuna parte. Non tut­te le mattine c’è il sole e hai voglia di fare fatica però è proprio nelle giornate in cui non ti svegli bene che riesci a fare la differenza se stringi i denti e vai avanti per inseguire l’obiettivo prefissato. Soprattutto non vincono tutti, ma vince solo uno».
Se avessi una bacchetta magica per cosa la useresti?
Oss: «Convincerei i miei genitori ad andare in pensione e godersi la vita. Da 40 anni portano avanti la Pizzeria Val­sugana, punto di riferimento del paese, è il loro salotto e ormai la casa di tutti. Dalle colazioni del mattino, alle pause pranzo dei lavoratori, fino alla cena alla sera. Mamma Anita e papà Fulvio non vogliono saperne di mollare».
Sagan: «Anche noi avevamo una pizzeria di famiglia, quando avevo 9 anni ho lavorato per Milan come pizzaiolo per qualche tempo. È difficile rispondere a questa domanda. Il mondo ha tanti problemi, risolvendone uno magari ne determini un altro. Non so se avete presente il film Click in cui Adam Sand­ler con un telecomando andava avanti veloce per saltare i momenti brutti. È una commedia divertente ma nella vita non può funzionare».
Cosa vi piace fare al di fuori del ciclismo?
Oss: «In genere decide lui, ma mi trova d’accordo. Andiamo al cinema a vedere le nuove uscite, proviamo altri sport, dalla discesa con i bob all’uscita con i quad nel deserto. Facciamo gite, andiamo all’avventura, visitiamo i paesi dove ci troviamo. Dopo la Vuelta a San Juan torniamo in ritiro in Colombia, dove per esempio abbiamo già avuto occasione di visitare Medellin e i suoi quartieri più interessanti».
Sagan: «Il nostro motto è “mangia, be­vi e stai a ruota”. Quando uno propone qualcosa usando questa frase l’altro deve accettare e seguirlo».
Il mese scorso Daniel ha compiuto 36 anni, Peter 33. Vi siete fatti un regalo per i rispettivi compleanni?
Oss: «No (ride, ndr)».
Sagan: «È il pensiero che conta no? In realtà non rispettiamo molto le feste comandate, se uno trova qualcosa di speciale per l’altro glielo porta indipendentemente dal giorno dell’anno. Lui, per esempio, mi ha fatto avere uno zaino di pelle che ho apprezzato mol­to».
Il momento più emozionante vissuto insieme?
Oss: «Ne ho due e non so se coincidono con i suoi. Vederlo vincere la Rou­baix nel 2018, per la strategia che sia­mo riusciti a mettere in piedi e il suo colpo di genio di partire così da lontano in un momento difficile per gli av­versari, oltre alla settima maglia ver­de».
Sagan: «Ricordo un gesto di Daniel al Tour of California 2017 al suo ultimo anno in BMC. Per conquistare la vittoria finale io dovevo vincere i due sprint intermedi e piazzarmi tra i primi tre al traguardo e lui, nonostante corresse per un’altra squadra, in gruppo disse platealmente: “Io oggi corro per la Slovacchia”. In squadra ovviamente non aveva nessuno in lotta per la classifica però da un avversario non ti aspetti un comportamento del genere. Forse non dovrei raccontare questo episodio visto che non eravamo compagni all’epoca ma questo dà l’idea di cosa sia l’amicizia, aiutarsi al di là della maglia che si indossa».
Il più difficile?
Oss: «A livello personale l’ho visto particolarmente sotto stress proprio nel 2018 prima di vincere Gand e Roubaix, ma come i grandi campioni sanno fare ha saputo tirare fuori gli attributi e di­mostrare tutta la sua stoffa».
Sagan: «I momenti difficili passano, proprio come quelli buoni. Dopo i pri­mi tre anni insieme alla Liquigas ci siamo separati per cinque stagioni e poi ci siamo ritrovati. Lui è passato alla BMC quando io ero ancora alla Can­non­dale e io poi sono passato alla Tin­koff ma ci siamo riuniti in Bora Hans­grohe nel 2018 e da allora non ci siamo più allontanati».
L’esperienza più folle condivisa?
Oss: «Per me è una follia anche andare con la mtb elettrica con lui visto che va come un pazzo però forse l’esperienza più extreme che abbiamo vissuto è sta­ta in Utah, dove c’è una sorta di carrucola gigante a 2.000 metri di altezza, so­pra a 50 metri di strapiombo, che ti porta da una parte all’altra della montagna in 4 km. È stata una prova un po’ al limite, ovviamente mi ha convinto lui ad affrontarla».
Sagan: «Vere e proprie follie non ne ab­biamo mai fatte ma dopo il Tour de France 2017 o 2018 abbiamo deciso di prendere una barca e far festa per quattro giorni consecutivi. Oltre a noi c’erano il nostro manager Lomba (l’ex professionista e noto procuratore Gio­van­ni Lombardi, ndr) e altri amici. A pensarci bene però le follie sono altre, le più grandi condivise sono le gare. Pio­ve, nevica, succede di tutto e ti domandi “Perché lo facciamo?”».
Vi siete fatti anche un tatuaggio uguale: un cactus in versione messicana con la scritta “do not be a prick”, vale a dire “non essere una spina nel fianco”.
Oss: «Sì, è un tattoo che hanno anche Gabriele Uboldi (l’addetto stampa di Peter e del team, ndr), un massaggiatore del Team Ineos e altri amici in gruppo, tra cui Filippo Ganna e Fernando Gaviria. Ce lo ha disegnato un amico di Ubo e in sostanza significa “non essere un rompipalle”. Ormai si è sparsa la voce e del club del cactus fanno parte anche amici personali che non c’entrano con il ciclismo. Chi ce l’ha è un figo!».
Sagan: «Prenditi il merito di questa idea stupida perché è stata tutta tua! Ha visto questo disegnino e pensando fosse il più brutto possibile la scommessa è stata “vediamo chi ha il coraggio di tatuarselo”. Visto che avevano accettato tutti, non potevo di certo ti­rarmi indietro io. Ancora oggi però non ne ho capito bene il significato. Lui ce l’ha sulla caviglia, io sul bicipite».
Quanto è importante averlo al tuo fianco?
Oss: «Nella prima parte della mia carriera ha avuto un ruolo secondario, poi mi ha permesso di capire tanto di me e di com’è un campione. Lui rappresenta una fetta della storia del ciclismo unica, come è stato per Merckx, Cipollini, Pan­tani... Peter ha rappresentato uno frattura netta tra due epoche, ha enfatizzato la mediaticità del corridore, di­ventando non solo un atleta ma un personaggio, anzi una stella, come non ce ne sono altre in questo momento. Oggi vedo tanti grandi campioni, qualche uomo ma nessuna stella».
Sagan: «Wow! Grazie per le belle parole. Nella mia carriera Daniel è stato molto importante. Avere un compagno con cui allenarsi e condividere tanto tempo fa la differenza così come avere una persona di fiducia su cui sai di po­ter contare sia in gara che fuori».
Cosa gli auguri?
Oss: «Gli auguro di godersi al massimo questa sua ultima stagione tra i professionisti, di realizzare i suoi progetti in mountain bike e poi di trovare la sua dimensione nella vita reale. En­trambi sappiamo bene che la bolla in cui ci troviamo non durerà per sempre».
Sagan: «Gli auguro il meglio, soprattutto la salute. Quando hai la salute hai tutto».
Fagli una promessa.
Oss: «Ti vorrò bene per sempre».
Sagan: «Come sei dolce (scherza, ndr). Io non faccio promesse, nemmeno a mio figlio perché non sempre si possono mantenere. Quando finiremo le no­stre carriere passeremo senz’altro me­no tempo insieme perché entrambi vorremo stare di più a casa, ma sicuramente troveremo delle scuse per vederci. Magari anche semplicemente per andare a sciare insieme. Basterà chiamarsi e pronunciare la formula magica “mangia, bevi e stai a ruota”».

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