di Carlo Malvestio
Due anni fa Lorenzo Germani sceglieva di fare le valigie e trasferirsi in Francia, a Besançon, sede della Groupama-FDJ, per inseguire il suo sogno di diventare un professionista. Ebbene, la missione è da considerarsi conclusa con successo - e con tempi abbastanza celeri - dal momento che, tra pochi giorni, farà il suo esordio tra i grandi al Santos Tour Down Under in Australia. Ciociaro di Roccasecca, il classe 2002 si è laureato nel 2022 campione italiano Under 23, ha vinto una tappa del Giro della Valle d’Aosta e ha raccolto moltissimi piazzamenti di qualità nel prestigioso calendario che gli ha riservato la formazione Continental della Groupama, confermando tutto il suo potenziale. Dopo undici giorni di ritiro a Calpe con i nuovi compagni della squadra maggiore, Germani sta facendo il conto alla rovescia per il gran debutto.
Lorenzo, cresce l’adrenalina in vista dell’esordio tra i professionisti?
«Sì, sta crescendo parecchio. Già prima di andare in ritiro ero un po’ teso, sebbene avessi già conosciuto la squadra a ottobre per i vari test di rito, però pensare che tra pochi giorni comincerò ufficialmente la mia carriera da professionista fa un certo effetto».
Come ti hanno accolto i ‘grandi’ in ritiro?
«Abbiamo diviso il ritiro in blocchi da tre giorni, alternando giornate di allenamento intenso ad altre di riposo. Mi hanno accolto tutti benissimo, ho apprezzato davvero la loro gentilezza e disponibilità. Lo staff rispetto alla squadra satellite è completamente diverso ma, avendo fatto delle uscite coi professionisti l’anno scorso, qualcuno l’avevo già conosciuto, o comunque era capitato di vedersi a Besançon al quartier generale della squadra dove ho vissuto negli ultimi anni».
Tanti tuoi compagni della formazione Continental hanno fatto il salto tra i professionisti insieme a te.
«Esatto. Alla fine, tolti i neozelandesi Laurence Pithie e Reuben Thompson che torneranno in Europa più avanti, eravamo sei ragazzi che arrivavano dalla squadra satellite - Lenny Martinez, Romain Grégoire, Enzo Paleni, Sam Watson e Paul Penhoët oltre a me - per cui è stato ancor più facile inserirsi. Fossi arrivato in una squadra in cui non conoscevo nessuno, non credo sarebbe stato così agevole».
Il ricordo più bello della tua esperienza da Under 23?
«Direi senz’altro la vittoria al Campionato Italiano, perché vestirsi di Tricolore è qualcosa che ti rimane dentro per sempre. Qualche maglia l’ho regalata alle persone a me più care, poi ne ho una a casa che devo incorniciare».
È stata una scelta complicata quella di andare all’estero?
«Io ho avuto la fortuna di aver fatto la primina a scuola, quindi quando ho iniziato a fare l’Under 23 avevo già concluso il liceo scientifico. Nel mio caso, inoltre, questa scelta comportava il trasferimento a Besançon e il dover viaggiare continuamente per gareggiare in giro per l’Europa. Io ho potuto farlo sin dal primo anno da Under 23, ma un ragazzo italiano, solitamente, sta finendo la scuola e non è semplice fare una scelta del genere. Sapevo però che venendo all’estero, in un team Development di una squadra WorldTour, avrei avuto tutt’altra formazione. Sei seguito a 360°, ti alleni come un semi-professionista, hai un calendario internazionale e, soprattutto, pensato, con corse a tappe e blocchi di gare, non devi correre ogni domenica come succede in Italia».
Ti sei accorto di avere un’altra marcia rispetto ai coetanei italiani che fanno il classico calendario dilettantistico?
«Si corre a livelli più alti e, soprattutto, in corse a tappe. Tra il primo e il secondo anno mi sono accorto di quanto il mio corpo fosse cambiato, soprattutto in termini di recupero tra un appuntamento e l’altro. Arrivavo dall’esperienza junior italiana in cui non avevo mai fatto corse a tappe e la grande preoccupazione era sempre e solo il peso. Ho fatto fatica il primo anno, poi mi sono fatto guidare dai miei allenatori su tutti gli aspetti che riguardano la vita di un corridore e nel 2022 mi sono accorto di avere un altro motore in termini di ritmo e recupero».
Quest’anno come non mai la formazione satellite della Groupama-FDJ ha sfornato talenti su talenti. Qual è il segreto?
«Il nostro era un gruppo unito, fatto di tanti ragazzi di talento pronti a sacrificarsi uno per l’altro. Io, per esempio, non sono mai partito come leader, ma il nostro direttore sportivo Jérôme Gannat non ha mai tolto chances a nessuno. A seconda di come si metteva la gara decidevamo come muoverci. Ci ha sempre detto che non ha senso lavorare come se fossimo atleti di WorldTour, mettersi in testa a tirare come muli non serve a nulla se sei un Under 23 che sta cercando di imparare. L’esempio perfetto è il Giro della Valle d’Aosta, in cui eravamo davvero in formissima e mi sono divertito parecchio: Lenny Martinez e Reuben Thompson hanno fatto primo e secondo in classifica generale e io ho vinto una tappa».
In che veste ti vedi per il futuro?
«Sono un corridore completo, mi vedo più cacciatore di tappe che uno adatto a curare la classifica generale. Anche una classica dura, con salite non troppo lunghe, può essere adatta a me, mentre in volata posso difendersi solo al termine di una gara lunga e dispendiosa, con al massimo un drappello di una decina di corridori. Il sogno? Vincere una tappa al Giro d’Italia».
Se ti chiamassimo tra un anno cosa ti piacerebbe poterci dire?
«Che la stagione è andata via regolare, che ho fatto ciò che mi ha richiesto la squadra, che ho preso il via a qualche bella corsa e che ho messo un altro mattoncino nella mia crescita».