Andrea Piccolo, "cavallo pazzo" vuol tornare a stupire

di Pier Augusto Stagi

È considerato da sempre un piccolo talento e, adesso, spera di entrare a far parte anche lui di quella “generazione di fe­nomeni” che in queste ultime tre stagioni ha saputo rallegrare le nostre giornate ciclistiche.
Per Andrea Piccolo si sono sempre sprecati i superlativi, perché il 21enne ragazzo di Magenta (nato il 23 marzo del 2001, ndr) non ha mai fatto cose convenzionali. Da quando gli hanno messo sotto il sedere una bicicletta, lui si è fatto apprezzare per il suo modo di correre, per quell’inesauribile desiderio di lasciare il segno del proprio passaggio con azioni da antologia.  Vin­cere è un imperativo categorico, farlo dando spettacolo è un desiderio mai celato. Esuberante al limite della baldanza, Andrea Piccolo ha sogni grandi e adesso che si è finalmente lasciato alle spalle Covid e mononucleosi, guerra dell’Ucraina e una infezione al fegato che ne hanno rallentato e appesantito il decollo, guarda al 2023 come se fosse per lui l’anno zero della sua giovane carriera ciclistica. Parte per imparare, per conoscersi, per prendere le misure, anche se si è già misurato e in molti hanno provato anche a pesarlo. Lui non fa proclami, anche se i suoi silenzi parlano, ed è pronto a fare quello che ha sempre fatto: vincere.
Da dove cominciamo?
«Dall’inizio».
Bene, come hai iniziato?
«Papà Renato è da sempre appassionato di ciclismo, si è anche misurato con buoni risultati nel fuoristrada (Mtb, ai tempi di Paganessi e Noris, per intenderci, ndr). Stesso discorso per mio fratello Simone, di quattro anni più grande, che corre ancora oggi con la Hopplà Petroli Firenze. Diciamo che il ciclismo è di casa, è una passione di famiglia, anche di mamma Vilma (lavora al Parco del Ticino, ndr). Mio zio Enzo (Battistella, ndr), per esempio, ha da sempre a Pontevecchio, frazione di Magenta, un negozio di biciclette (Euromoto cicli Battistella, ndr): sono cresciuto in un ambiente così, dove gomme e biciclette la fanno da padrone. Gli inizi a cinque/sei anni, categoria G0 e G1, con la maglia del Vs Abbiategrasso. In quei sei anni giovanili, vinco quasi un centinaio di corse. Poi passo esordiente: al primo anno 5 vittorie (2013, ndr), al secondo altre 5. Da allievo il primo anno 5 (era il 2015, ndr), al secondo cambio la ma­glia e vado a correre al Pedale Se­na­ghese, con il quale vinco 17 corse, tra cui quella nella prova in linea del Fe­stival olimpico della gioventù europea di Györ. Da juniores cambio maglia e passo alla LVF di San Paolo d’Argon di Lussana e Torri. Al primo anno met­to a segno 12 corse, tra le quali il titolo tricolore a cronometro e il Tro­feo Emilio Paganessi; ai campionati europei di Zlìn mi classifico sesto nella pro­va in linea, mentre ai successivi campionati mondiali di Innsbruck sono bronzo nella cronometro, alle spalle di un certo Remco Evenepoel e di Luke Plapp. Al secondo anno da junior le vittorie saranno 15, con il successo al Gi­ro del Friuli Venezia Giulia e al Gi­ro della Lunigiana. Vinco per il secondo anno il titolo nazionale a cronometro e il titolo europeo di specialità ad Alkmaar. Purtroppo sono secondo al tricolore in linea e terzo all’europeo, vinto da Andrii Panomar (secondo Mau­rice Ballerstedt, ndr). Nel 2020 il debutto tra gli Under 23, con la maglia della Continental Colpack Ballan. È l’anno del Covid 19 e il miglior risultato ottenuto è l’argento nella crono di categoria ai campionati nazionali. Cor­ro in pratica un mese e due settimane, visto che la stagione inizia ad agosto. Nel frattempo, dopo il Covid mi prendo anche una intossicazione al fegato e poi la mononucleosi. A fine di quella stagione vengo messo sotto contratto dalla Astana Premier Tech. È un salto importante, ma lo faccio in un momento in cui non sto ancora bene. Dal Co­vid non ho ancora recuperato bene e mi porto dietro l’intossicazione al fegato e la mononucleosi, oltre a vari problemi legati agli equilibri all’interno della squadra (frizioni tra il management di Astana e di Premier Tech, ndr). A metà agosto del 2021, dopo aver rescisso a marzo il contratto con Asta­na, decidiamo di fare un passo indietro e tornare tra gli Under 23 con la ma­glia della Viris di Vigevano (vince tre corse: il Giro del Valdarno, la Ruota d’Oro e Collecchio, ndr), anche perché se voglio ambire alla maglia azzurra ho la necessità di essere tesserato: prima corsa il 16 di agosto a Ca­podarco, secondo. Con la nazionale di Davide Cassani corro l’Agostoni, il Gi­ro del Veneto e la Veneto Classic. Nel frattempo, prima di correre Capocarco, avevo già firmato un precontratto con la Gazprom, ma anche questa storia la conoscete bene. Ho corso a febbraio la Valenciana, poi ho preso il Covid e non sono potuto andare a correre in Oman e Uae Tour e dal primo di mar­zo, per la questione della guerra Rus­sia-Ucraina, ci hanno bloccato. In un primo momento abbiamo continuato ad allenarci, ma nulla si muoveva. L’accordo tra Uci e Gazprom non è mai arrivato: tutto fermo. A marzo di quest’anno ho deciso di cambiare i procuratori: dai fratelli Carera, sono passato con Giu­sep­pe Acquadro. Con i Carera mi sono trovato bene, ma il momento che abbiamo attraversato io e i miei compagni non lo auguro a nessuno. A Beppe ci arrivo grazie a Omar Piscina, che da qualche tempo collabora con Acquadro e che ha un ottimo rapporto con mio fratello, che aveva corso per lui alla Casillo. Nel giro di due settimane mi ha trovato la soluzione».
Prima però c’è Gianni Savio.
«Esattamente. Beppe Acquadro mi dis­se subito che era importante correre, e l’accordo con la Androni Giocat­toli lo firmo la settimana prima dei campionati italiani di Alberobello».
Un buon italiano.
«Molto buono, anche superiore alle mie più rosee aspettative. Un quarto posto di valore, tenuto conto che quella era la mia prima corsa in assoluto dopo sei mesi di inattività, non posso lamentarmi. Un guasto al cambio a 8 chilometri dal traguardo e poi la stanchezza che prende il sopravvento, mi fanno arrivare al traguardo sfinito, ma sono felice come pochi. Non potevo fare più di quello che ho fatto».
Come nasce l’operazione EF?
«Esattamente dopo la corsa. Mi chiama Beppe (Acquadro, ndr) per farmi i complimenti per come avevo corso e dopo circa un ora e mezza mi richiama per sapere da me come era il programma corse con l’Androni. A quel punto mi dice: non fare programmi per agosto, perché ho tre proposte. È probabile che si vada via».
Chi erano le altre due?
«Ineos e Bora».
Quando decidi di passare alla EF?
«Nel giro di un mese abbiamo deciso e al secondo giorno di riposo del Tour de France, Beppe è andato a formalizzare l’intesa con Jonathan Vaughters: dal 1° agosto ho iniziato la mia avventura con la EF».
E ti sei subito messo in mostra.
«Ho scelto bene, perché nonostante fossero un po’ in affanno per i famosi punti Uci per non retrocedere, mi sono trovato in un team che mi ha lasciato subito libero di fare quello che mi sentivo. Pensa che il 5 settembre, quando ho corso il “Maryland Cycling Classic”, ero già tra i migliori dieci corridori del team, e da quel momento la squadra mi ha lasciato ancor più briglia sciolta: non era scontato».
Quanti anni di contratto alla EF?
«Fino alla fine del 2024. Un buonissimo contratto».
Tu hai sempre seguito il ciclismo o è stata una scelta obbligata perché era in casa?
«Un po’e un po’. Diciamo che mi è sempre piaciuto un sacco. Io ho fatto un istituto professionale di meccanica (l’ENAIP, ndr) e ogni anno avevamo l’obbligo di fare degli stage lavorativi. Il primo anno l’ho fatto in un’officina meccanica e gli altri anni nel negozio con mio zio, quello delle biciclette. Di­ciamo che sono uno che di meccanica se ne intende e la mia bicicletta so si­stemarla bene».
Rigoroso o esigente?
«Entrambe le cose, diciamo che con i meccanici ho un ottimo rapporto, non sono un spaccapalle, ma se c’è un ru­morino da sistemare non esito. Visto che la bici con la quale corro non è quella che uso abitualmente a casa, io la controllo sempre con grande attenzione».
Quante bici hai?
«Due a casa e cinque le ha la squadra: in totale ho 7 biciclette».
Ti applichi con la bici da crono?
«Negli ultimi due anni molto poco, ma quest’anno ho chiesto a Charles (We­gelius, ndr) di averla subito, perché l’esercizio della crono mi è sempre piaciuto e sono uno che è sempre andato bene. Diciamo che ho delle buone attitudini».
Che corridore pensi di essere?
«Quest’anno lo scopriremo, ancora non lo sappiamo. Nella seconda parte della stagione cercheremo di capire co­me il mio fisico può reagire in una corsa di tre settimane».
C’è un corridore che ti piaceva più di un altro?
«Vincenzo Nibali su tutti, mi è sempre piaciuto un sacco: tanta classe e una buona dose di follia. Poi in Astana ho conosciuto Jakob Fuglsang che è un grande professionista e oggi in EF ho al mio fianco un corridore pazzesco come Rigoberto Uran».
Oltre al ciclismo che passione hai?
«I motori. Quando sono a casa non perdo mai le corse di F.1 e di Moto GP».
Il calcio lo segui?
«Ho giocato al Pontevecchio poi, da esordiente del primo anno, l’Adidas aveva creato un team di ragazzini lombardi, che portava a giocare con Tori­no, Inter, Milan, Juventus… Giocavo come centrocampista o esterno, sono sempre stato uno che correva tanto, ma la passione per la bicicletta ha prevalso su tutto».
Hai una squadra del cuore?
«Il Milan. Se mi capita un occhio lo butto, ma non ne faccio una malattia».
Da corridore che devi ancora rompere il ghiaccio, quale corsa vorresti assolutissimamente vincere?
«La Liegi-Bastogne-Liegi».
Tecnico di riferimento?
«Tom Southam, inglese di residenza australiana, ma che ha vissuto tantissimo in Italia e parla benissimo la nostra lingua: sono felicissimo di lavorare con lui».
Sei un mangione?
«Assolutamente no».
Il piatto preferito?
«La carne rossa. Preferibilmente alla griglia. È un paio di anni che sono davvero appassionato. Amo ricercare sempre il taglio particolare, provenienza estera. La carne irlandese o galiziana è quella che mi piace di più. Alla fine la nostra carne è troppo magra, mentre io la voglio un po’ più grassa e morbida».
Vino?
«Non sono un grande bevitore: con la carne un bicchiere di vino rosso lo be­vo, ma per me non è una priorità».
Dolci?
«Sono più da frutta, soprattutto esotica: il mango non deve mai mancare».
Sei fidanzato?
«Sì, con Martina (Di Pilato, ndr): è di Forlì. Ha la mia età e studia giurisprudenza. Anche lei ha corso fino alla ca­te­goria allievi, poi si è dedicata allo studio. Adesso che ho la residenza a San Marino ci vediamo un po’ più di pri­ma».
Ti alleni tanto a San Marino?
«Fa più caldo e mi piace ripercorrere le strade di allenamento che furono di Marco Pantani».
A proposito: ti piace Marco?
«Molto. Sai che il mio Fans Club è lo stesso del Pirata? quello di Borello. Quel­lo che per primo ha scritto il no­me PANTANI sulle strade del mondo. Da quest’anno mi hanno adottato e io ne vado orgoglioso. Sono venuti a so­stenermi anche al San Luca, quando ho corso il Giro dell’Emilia».
Hai un colore preferito?
«Dovrei dire giallo per restare in linea con Marco, ma il mio colore preferito è l’arancione».
La prima bicicletta?
«Una Colnago, di Bugno».
Di Bugno?...
«Sì, ma di Alessio. Gliel’aveva regalata personalmente Ernesto Colnago e io l’ho utilizzata quando sono andato al Vs Abbiategrasso. La ricordo benissimo, una bellissima Colnago di colore biancoazzurra».
Ami i film?
«Soprattutto quelli di azione».
Hai un film preferito?
«Troy».
Attore preferito?
«Brad Pitt».
Attrice?
«Angelina Jolie».
Musica?
«Ascolto un po’ di tutto. Non ho un genere preferito».
La canzone che ami mettere prima di una corsa?
«In barca con mio papà ho ascoltato fino allo sfinimento “Invisible Touch” dei Genesis».
In barca?
«Sì, papà ha una barca, oggi fa anche lo skipper. In realtà la sua principale oc­cupazione è quella di ristrutturare case: sa fare di tutto, ma anche con la vela è un vero mago».
Ti piace andar per mare?
«Moltissimo, amo la natura. Amo il vento in faccia: la bicicletta è un po’ così».
Quando ti alleni hai la musica alle orecchie?
«Mai, solo quando faccio lavori specifici in salita. Ma generalmente mai musica, per la sicurezza».
È un bel problema la sicurezza…
«Sono un bel problema le macchine, soprattutto quelle che non sanno come comportarsi in prossimità di un corridore o di un gruppo di corridori».
Quando ti alleni a Magenta, che strade percorri?
«Di solito vado ad Arona e poi faccio tutte le salite sul Lago: Calogna, Mas­sino, Levo, Mottarone…. Oppure in pro­vincia di Varese, Campo dei Fiori e se devo fare un po’ più di strada vado in Valganna e faccio Alpe Tedesco, Marzio e via di seguito».
Sei da sempre considerato un predestinato: ti è mai pesata questa cosa?
«Mai. La pressione mi piace un sacco».
C’è qualcosa che non rifaresti più?
«No, quello che ho fatto fino ad oggi va benissimo così».
Ti rivedi in chi ti definisce un cavallo pazzo?
«Sì, perché lo sono per davvero. Io in bicicletta amo dare spettacolo, perché mi piace divertirmi e il solo modo che io conosca per farlo è andare all’attacco, anche a costo di sbagliare».
Quanto sei alto?
«Un metro e 82».
Peso forma?
«65 kg».
Watt in soglia?
«Non si dicono».
Battiti massimali?
«192/194».
A riposo?
«32».
Il picomètro cosa dice?
«Che sono magro: 4,5% di massa grassa».
Ami il freddo?
«Quando sto bene vado forte dappertutto».
C’è uno sportivo che ti piace per come si pone, sia da professionista che giù di bicicletta.
«Uran: è un bel esempio da seguire. Grande professionista e oggi an­che un grande imprenditore. Ha davvero un’energia pazzesca».
Hai tatuaggi?
«Uno, al polso destro. Mi sono fatto imprimere la data di nascita del mio amico del cuore, Alessandro Baroni: XVIII - V - MMI (18 maggio 2001, ndr) e lui ha la mia data di nascita».
Hai in programma di tatuartene qualcun altro?
«Chi può dirlo? Forse per una bella corsa».
Hai avuto molti momenti di sconforto? Hai mai pensato di smettere di correre?
«Di smettere mai, anche se gli ultimi due anni sono stati davvero molto duri».
Oltre a Nibali, campioni di riferimento?
«Marco Pantani e Gianni Bugno».
Tu potresti ricordarlo Gianni…
«Magari… Per ora posso solo dire di essere meglio di suo figlio (e ride…)».
Hai un motto, una frase che ami dire?
«Lo stesso che dice sempre Matteo Provini, il direttore sportivo di mio fratello alla Hopplà Petroli Firenze: i perdenti trovano le scuse, i vincenti le so­luzioni».
Sai che l’avrebbe detta Lao Tze, grande saggio cinese?
«Non lo sapevo».
Tu generalmente trovi più scuse o soluzioni?
«Soluzioni, mai scuse».
Chi ti ha impressionato per come va forte?
«Al Lombardia (chiuso all’11° posto, ndr), Pogacar, Mas e Landa sono andati davvero forte, ma io non mi sento tanto lontano. Sono convinto che questi ragazzi siano per me uno stimolo. Posso fare anch’io grandi cose».
In cuor tuo senti di essere tagliato anche per i Grandi Giri?
«Dopo la Vuelta che correrò quest’anno, ti darò la risposta e spero che sia buona».
Se non avessi fatto il ciclista dove ti saresti visto?
«Forse in un rettangolo di gioco: magari avrei fatto il calciatore».
Come Evenepoel…
«Ero bravino anch’io, e non mi dispiacerebbe affiancare Remco per provare a fare qualcosa di bello anch’io nel ci­clismo».
La fatica ti spaventa?
«Tutt’altro, mi esalta».
Cosa pensi di questa generazione di fenomeni?
«Come dice anche Rigo, il ciclismo è cambiato tanto, però è rimasto sempre lo stesso. Alla fine bisogna lavorare, ri­posare e mangiare bene. Sono cambiati il modo di allenarsi e di mangiare, ma bisogna sempre saper riposare».
In casa chi è il tuo primo tifoso?
«Tutti. Mia mamma, mio papà, mio fratello, mio zio, mio nonno… tutti. Quando sono via per le corse si ritrovano tutti qua a casa per seguire il Ma­gro (Riccardo Magrini, ndr) su Eu­ro­sport. Tutti assieme per me».
Dove sarà l’esordio stagionale?
«Il 29 gennaio a Maiorca e poi faccio due corse a tappe in Francia. La prima corsa in Italia al Laigueglia».
In Italia correrai tanto?
«Dopo il Laigueglia disputerò la Mi­lano-Sanremo e Larciano. Poi le classiche delle Ardenne, campionati nazionali e le nostre classiche di chiusura».
La Sanremo sarà un pochino il tuo banco di prova…
«Dopo il Lombardia mi testerò sui percorsi di casa: abbiamo la casa ad An­dora e conosco bene anche quelle strade. Mi piacerebbe fare bene».
Giro niente?
«Per ora no, lo staff tecnico della Ef e lo stesso mio preparatore (il toscano Pino Toni, ndr) non hanno voluto esagerare e per quest’anno mi vogliono un po’ proteggere. Meno aspettative, per farmi crescere con maggiore tranquillità. In programma c’è solo un Grande Giro: la Vuelta».
Stagione 2023: saresti contento se…
«Se riuscissi a vincere almeno una cor­sa e se alla fine sarò nella top 50 del ranking Uci. Poi c’è l’Oscar tuttoBICI: ne ho vinti tre consecutivi, uno da allievo e due da juniores; mi piacerebbe po­terlo vincere anche nella massima categoria».
Ne saremmo felici anche noi…
«È un obiettivo».

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