di Giulia De Maio
Non ama ricevere regali e nemmeno parlarne, ma quest’anno ha intenzione di farsene qualcuno da solo. Giovanni Aleotti un anno fa ha dovuto scartare dei pacchi ingombranti e per nulla desiderati, covid e bronchite su tutti, che hanno reso il suo inizio stagione in salita. Che poi è il suo terreno prediletto, sul quale fin dalle prime gare in programma in Australia e Oman vuole iniziare a togliersi qualche soddisfazione personale. Nel 2022 il 23enne di Mirandola ha contribuito a vestire di rosa Jai Hindley, nel 2023 vuole ripetere le ottime performance messe in campo al Giro d’Italia e divertirsi, il più possibile, in ogni gara del calendario a cui prenderà parte. Al terzo anno da professionista, sempre con la maglia della Bora Hansgrohe, lavora sodo per fare quel salto di qualità che tutti si aspettano. Lui per primo.
Il tuo bilancio dell’anno appena concluso?
«Lo dividerei in due. La prima parte è stata complicata, per ogni passo che facevo a livello di condizione mi ritrovavo in un attimo due indietro. Prima il covid che ha ritardato l’esordio stagionale, poi la bronchite che mi ha davvero messo in croce. È stato frustrante inseguire sempre, ma questa prima metà dell’anno si è conclusa con il Giro vinto che ha cancellato ogni dispiacere. La seconda parte è stata un crescendo, ho finito bene in Canada. Nel complesso sono contento, considerando i problemi avuti. Spero nel 2023 di stare meglio a livello di salute e di avere continuità, per superare quello step che sono convinto sia alla mia portata».
Il giorno in cui sei andato più forte?
«Al Gp di Montreal. Ho chiuso settimo una gara World Tour dal percorso duro e con tutti i pretendenti del mondiale. Una top ten in corsa di quel livello me la tengo stretta».
Quello in cui hai sofferto di più?
«Ho faticato moltissimo al rientro dopo il Covid e alla Milano-Sanremo. Avevo iniziato a stare male per la bronchite la sera prima della Classicissima, non avendo febbre e sintomi la mattina dopo ho preso il via, ma gli ultimi 100 km sono stati un calvario. Sul bus mi sono misurato la febbre: avevo una temperatura di 40° e li sentivo tutti, ero uno straccio».
Hai vinto ancora al Sibiu Tour. Ormai è la tua corsa: due partecipazioni, due vittorie in classifica generale e tre tappe, due quest’anno, di cui una in linea e una a crono. Cos’ha di speciale questa gara?
«Mi si addice per la posizione nel calendario dopo il Giro, di solito d’estate vado meglio. È stato bello confermarsi, soprattutto per il morale. Della Romania in sé conosco poco, giusto le strade che percorriamo con la corsa, perché purtroppo come per tutti gli altri Paesi che visitiamo per impegni agonistici non abbiamo tempo di entrarvi in contatto in profondità».
La vittoria di Hindley al Giro è stato il traguardo più importante?
«Senza dubbio. Sono state tre settimane da sogno, l’atmosfera che si respirava in squadra era quella ideale. Anche senza dircelo apertamente ogni membro del team sentiva che avremmo potuto vincere. Ogni giorno nei meeting pre tappa c’erano massima stima e fiducia, anche quando è capitato di tirare tutto il giorno per niente. Remavamo tutti nella stessa direzione ed è filato tutto liscio, una corsa di tre settimane è complicatissima da gestire ma lavorando insieme oserei dire che è stata facile. In Ungheria eravamo partiti con tre capitani e parecchi punti di domanda: Buchmann era stato poco bene al Giro dei Paesi Baschi, Hindley non era partito alla Liegi perché era stato male la notte prima, Kelderman era caduto alla Liegi. Kämna però ha vinto subito sull’Etna e ha sfiorato la maglia rosa togliendoci grande pressione, Jai sul Blockhaus ha fatto il suo splendidamente, la tappa di Torino ci ha aiutato, ognuno ha fatto il massimo ogni giorno e man mano la nostra sicurezza è cresciuta fino a diventare incrollabile».
Jai vi ha fatto un regalo? Magari un orologio prezioso, come spesso succede in caso di vittorie di peso...
«Sinceramente preferirei non parlarne, non mi sembra elegante. Diciamo che si è comportato da vero gentiluomo. A me piace più donare che ricevere. A Natale per esempio amo pensare cosa possa desiderare o servire agli altri, anche se spesso mi riduco all’ultimo. Questa volta sono tornato a casa il 21 dicembre dal ritiro in Spagna con la squadra e sono stato costretto a ordinare tutti i regali online perché ero davvero stretto con i tempi. Al contrario non sopportando lo stare al centro dell’attenzione ho sempre mal digerito feste, compleanni e ricevere regali».
Nel 2022 la squadra è cambiata molto, più rivolta ai grandi giri che alle classiche. Il tuo ruolo ne ha risentito?
«Dici bene, da quando Peter (Sagan, ndr) ha cambiato team la Bora Hansgrohe è più orientata alle corse di tre settimane, ma lo spazio a disposizione per me e tutti i compagni non è cambiato. Il bello di questo gruppo è che quando uno sta bene la squadra lo riconosce e gli viene data la possibilità di giocarsi le proprie chance. Sono contento di trovarmi qui, mi sento nell’ambiente giusto per crescere e muovere quel passo in più che farà la differenza».
Su chi fai particolare affidamento?
«Su Sylvester Szmyd, il mio preparatore da quando sono passato professionista. Sono fortunato che la squadra mi abbia affidato a lui, mi trovo molto bene, avendo lui svolto una carriera ad alto livello ci capiamo facilmente. Me lo ricordo alla corsa rosa al fianco di Ivan Basso... Tra di noi ormai c’è anche un legame di confidenza. Mi conosce, io conosco lui e il suo metodo di lavoro, abbiamo delle tabelle da seguire ma ci sentiamo praticamente tutti i giorni per scambiarci feedback e sensazioni. In generale ho un buon rapporto con tutti, dai compagni storici al diesse Enrico Gasparotto, preziosa new entry dalla scorsa stagione».
La formazione in cui sei cresciuto fino al 2020, il Cycling Team Friuli, continua a sfornare talenti sia su strada che su pista... Non abbiamo un team World Tour italiano, ma resiste un buon vivaio.
«Mi fa piacere. Al CTF lavorano con professionalità e curano i dettagli. C’è una mentalità già da professionismo per quanto riguarda gli allenamenti e il posizionamento in bici che fa la differenza. Roberto Bressan e gli altri tecnici hanno una visione che per gli Under 23 è all’avanguardia nel ciclismo italiano, invece all’estero è condivisa dalle Continental di livello. Per i ragazzi italiani, essendoci ormai squadre solo straniere nella massima serie, è difficile farsi notare, bisogna cogliere occasioni come il Giro U23, il Tour de l’Avenir (lui fu 2° nel 2019, ndr) e le prove della Coppa delle Nazioni per dimostrare di cosa si è capaci a livello internazionale. Il tutto è reso ancora più complicato dal fatto che ormai le grandi squadre vanno a pescare i talenti tra gli juniores».
Dove sei stato in vacanza?
«A casa! Mi sono rilassato con la famiglia e gli amici. Me la sono presa tranquilla visto che la nuova stagione sapevo sarebbe iniziata presto dall’Australia. L’inverno scorso avevo girato tanto tra vacanze, lavoro in galleria del vento con Specialized in California e il primo team camp già ad ottobre. Questa volta ho optato per un po’ di sana vita normale, del tempo a casa senza il pensiero di avere impegni e di dover viaggiare. Alle spiagge esotiche ho preferito una passeggiata con Bruto, il mio bulldog inglese, e qualche uscita con gli amici di sempre. Ogni tanto ci vuole del riposo di qualità, almeno per come sono fatto io. Ho ascoltato tanta musica, mia compagna anche in bici o in viaggio, guardato alcuni film e soprattutto serie tv. Ormai siamo nell’era in cui i film sono già troppo lunghi. Spesso non ci si riesce a ritagliare nemmeno due ore».
Soprattutto ora che la preparazione ormai è lanciata...
«Ho ricominciato dalle basi, con un po’ di forza in bici e in palestra, tanta endurance prima di lavori specifici di intensità. Allenarsi con il team al caldo rende tutto più facile, lo stiamo facendo in modo graduale, solo anticipando un filo i tempi rispetto all’anno scorso perché inizierò a gareggiare già tra pochi giorni. Sono contento di partire presto perché ritengo sia sempre meglio anticipare la condizione. Soprattutto dopo l’esperienza dell’anno scorso in cui sono stato costretto sempre ad inseguire, ho imparato che a calare di intensità si fa sempre in tempo, meglio rifiatare per non esagerare che essere in ritardo per malanni o altri imprevisti».
Il tuo motto per l’anno nuovo?
«Divertirmi. Sono contento di iniziare in due posti caldi dove non sono mai stato come Down Under e Oman. Sarà un inizio intenso con due trasferte lunghe, ma spero di godermi anche il viaggio. Al ritorno in Europa andrò in altura per preparare il Giro d’Italia. Il programma nei dettagli è ancora da definire, ma il grande obiettivo della prima parte di stagione è la corsa rosa. A livello personale vorrei ottenere un risultato importante in una corsa a tappe World Tour, una vittoria di peso mi farebbe cambiare dimensione. Dovendo scegliere una corsa per la mia carriera ho sempre optato per la Liegi-Bastogne-Liegi, ma anche il Giro dell’Emilia, perché è quella di casa, che sono sempre andato a vedere fin da bambino ed è stata anche la prima corsa che ho disputato con i prof cinque anni fa in maglia azzurra. Prima di tutto però voglio essere più presente durante tutto l’arco della stagione. Se poi riuscirò a farmi un bel regalo tanto meglio».