Ganna Time

di Pier Augusto Stagi

L’uomo del tempo si è pre­so il suo tempo. Ne ave­va bi­sogno, ne aveva diritto do­po due anni di attività di altissimo livello, alla ricerca di miglioramenti e allori, soprattutto record. Do­po aver vissuto una settimana a tutta, con il col­po in Gan­na, lasciandoci sen­za fiato ed estasiati per cotanta bel­lezza, il settimo gior­no questo fantastico dio della bi­cicletta si riposò.
«Immaginare di correre prima una ma­ra­tona e so­lo



qual­che gior­­no più tardi i 5000 metri, e di fare due record mondiali» ha detto il Ct azzurro Marco Villa quando Ganna ha firmato il primato nell’inseguimento individuale, stabilito esattamente sei giorni dopo il record dell’ora. Tutto questo al termine di una stagione su strada, intensa e fa­ticosa, con un Pae­se intero - il nostro - che è a corto di campioni e ti chiede l’impossibile. E lui, che a soli 26 anni ha già un palmares da capogiro, che non si tira indietro e nonostante sia sfinito e chieda implorante di evitare di correre il torneo individuale dell’inseguimento, alla fine cede al richiamo della sua “famiglia”, dei suoi “fratelli”, di Lamon e Consonni, di Moro e Mi­lan, di tutta la truppa azzurra, fino a Giovanni Lom­bardi, che alla fine non è solo il manager, ma un amico, un confidente, un fratello maggiore.
«Va bene, corro!», dice questo Forrest Gump stanchino, che si è rimboccato le maniche ed è nuovamente salito sul suo “Bolide” per superare ancora una volta sé stesso, l’immaginazione e il desiderio, il sogno di qualcosa di maledettamente bello, che dura meno di quattro minuti, ma che durerà certamente più a lungo, se non ci penserà lui stesso a demolirsi,


per co­­strui­re qualcosa di più solido e vicino all’eterno.
Tre record, per uno che si fa sempre in quattro. Tre record del mondo: l’ora (56.792 km), l’inseguimento a squadre (3’42”032”, stabilito a Tokyo 2021) e quello individuale (3’59”636).
«Il più bello? Non so, tutti sono belli - dice il gigante di Vignone -. Il record di Tokyo è bello perché centrato in gruppo, con i miei compagni. Lì c’è tutta la passione e il lavoro di anni di rincorse, suggellate da un titolo che è sportivamente parlando l’eternità. Il massimo che ci possa essere».
L’oro di Tokyo il più bello: e l’ora di Grenchen?
«La più dura, difficile e anche rischiosa, perché si portava dietro mesi di lavoro e di aspettative, un po’ da parte di tutti».
Come si fa a girare per 200 volte all’interno di un catino?
«Ci vogliono gambe e testa. Il dolore arriva e ti entra nelle ossa, ti rimbomba nella testa. Devi essere resistente e re­siliente. Quel sentimento, quei mo­menti, non si dimenticano, ti restano dentro. Ha ragione Eddy Merckx: il record dell’ora è più duro di una montagna durissima».
La pista di Grenchen si è trasformata in una sorta di culla degli affetti, di Arca dei sentimenti…
«Ho voluto attorno a me tutte le persone care, quelle che mi conoscono, quelle che sanno per davvero chi sono. Ero sereno e a mio agio, nonostante sapessi che la posta in palio era molto alta».
Lei è l’uomo della pista, ma con lei c’è una squadra, una generazione di fenomeni. Forse mancano più impianti coperti…
«Verissimo, qualcosa di più ci vorrebbe, ma sento che attorno alla nostra at­tività qualcosa si sta muovendo».
La prima Pinarello a 17 anni…
«Mi portò a Treviso Davide Cassani. La prima bici da pista arrivò quel giorno e iniziai a girare nel velodromo Fran­cone di San Francesco al Campo, in provincia di Torino. Una pista in cemento di 400 metri, all’aperto, a due ore da Vignone, dove sono cresciuto io».
Adesso ha una bici balena.
«Come ho avuto modo di dire alla vigilia di questo record, non sono un su­pertecnico e come sempre mi sono fi­da­to dei miei ingegneri, sia di Ineos che di Pinarello. Posso solo dire che da lanciare non è stata facile, ma dopo cinque o sei giri percepisci chiaramente che ha una scorrevolezza pazzesca. Cer­te cose si fanno se hai il meglio del meglio. La Pinarello Bolide F HR 3D è un gioiello, qualcosa di pazzesco (valore 75 mila euro, prezzo al pubblico, ndr). Come avete avuto modo di leggere è frutto e risultato di studi aerodinamici che hanno stabilito che l’aria scorre attorno al tubo verticale e al reggisella in un modo mai lineare. Di conseguenza, il flusso d’aria si allontana co­stantemente dal tubo verticale, creando un’ampia zona di bassa pressione. Quindi, genera grandi quantità di resistenza. Da anni, l’Università di Ade­laide ha studiato il modo in cui le megattere (un tipo di balena, ndr) riescono a compiere manovre molto fluide, strette e salti spettacolari. I ricercatori hanno scoperto che le sporgenze nella parte anteriore delle pinne contribuiscono in modo significativo a questa fluida mobilità. Quindi, sono riusciti a scoprire che piccole creste possono minimizzare questo effetto di separazione e ridurre la resistenza aerodinamica. Per questo Pinarello, con la collaborazione di NablaFlow, dopo test di fluidodinamica computazionale (o Cfd) e in galleria del vento (virtuale e rea­le), ha messo a punto la tecnologia AirStream, che incorpora un esclusivo sistema di “AeroNodes” sul telaio che sfrutta la ricerca pionieristica dell’Uni­ver­sità di Adelaide».
Un telaio costruito con materiali aerospaziali.
«Proprio così. Il telaio è stato progettato per ridurre al massimo l’area frontale. Il movimento centrale è stato ridotto a 54 mm (da 70 mm), i mozzi delle ruote da 120 mm a 89 mm al posteriore e da 100 mm a 69 mm all’anteriore. I profili aerodinamici sono più lunghi e più sottili. Forcelle e foderi seguono il metodo classico: stretti, entrambi vicini alle ruote a disco. Telaio e forcella - creati in collaborazione con la britannica Metron - sono stati pensati per sfruttare lo Scalmalloy, una lega di scan­­dio, alluminio e magnesio ad alta resistenza, materiale aerospaziale specificamente progettato per la stampa 3D. Questa tecnologia permette forme e angoli impossibili con gli stampi del carbonio. Non potevo pretendere di me­glio, visto che è il meglio».
Dopo il suo record dell’ora, non ha di­men­ticato la storia del ciclismo, essendoci entrato prepotentemente.
«In verità ho detto che non sono diventato Merckx, Coppi, Wiggins o Moser, però ho fatto un qualcosa che mi ha fatto sentire un pochino più vicino a loro. Quella è stata davvero una bella sensazione».
Più di qualcosa: 56,792 km orari, dunque 227 giri, spingendo il 65x14 da quasi 10 metri a pedalata.
«Questi numeri sono frutto di lavoro di tante persone, sono frutto anche del lavoro del nostro ingegnere-cronoman Dan Bigham, che il 19 agosto sempre a Grenchen era arrivato a 55,548».
Merckx disse che non lo avrebbe fatto mai più, e lei?
«Io per ora mi fermo qui, non farò un altro tentativo. Penso che sarà battuto, sì, perché la tecnologia va avanti. Ma­ga­ri ci riproverò a quel punto, ma fa­cendo una cosa tipo Wiggins, a fine carriera».
Troppo dolore…
«Mai come cercare di tenere la ruota di Van Aert al Tour».
Il fatto di non avere abbattuto il muro dei 57 è un rimpianto?
«Mi è dispiaciuto un po’ non tenere fi­no in fondo quel ritmo che avevo preso a metà tentativo ma… quello che contava era fare il record».
Di tutti i messaggi che ha ricevuto, quale l’ha colpita in modo particolare?
«Quello di Boardman. È un onore ricevere il suo scettro».
Lui era arrivato a 56,375 nel 1996, il suo anno di nascita. Il 6 settembre, lei non aveva neanche due mesi.
«Ne sono successe di cose legate alla pista in quei mesi. Io sono nato il 25 luglio, giorno dell’oro ad Atlanta 1996 nell’inseguimento individuale di An­drea Collinelli».
Ha vinto anche le critiche.
«È così. C’era chi mi diceva che non era il caso e senza far nomi, non mi ha fatto piacere sentire che dopo il Mon­diale su strada in Australia avrei fatto meglio ad appendere la bici al chiodo chiudendo la stagione in anticipo».
Come sarà il 2023?
«Intanto mi godo il riposo e poi me la prenderò più comoda, presentandomi alle prime gare con qualche chilo in più, per esempio. E selezionerò maggiormente gli obiettivi. Un po’ come il signor G (il compagno Geraint Tho­mas, ndr)».
Il record del mondo dei 4 chilometri, me­glio del 3’59”930 dell’americano Lambie (in altura).
«Anche questo è un successo che ap­partiene a tutto il gruppo dell’Italia».
Anche in quell’occasione ha usato il suo Bo­lide HR di Pinarello del record dell’Ora spingendo un inedito rapporto 67x15 (9,36 metri sviluppati a pedalata, 115 pedalate il picco).
«E chi la molla più…».
E dire che non ne voleva sapere di correre…
«Verissimo. Ero sfatto, avevo già staccato di testa. Desideravo solo fare le va­ligie e andare in vacanza. Mi faceva un po’ male la schiena, si è fatto sentire anche un po’ di raffreddore, camminavo a fatica. Poi sono arrivati i miei compagni e mi hanno incitato a provarci».
Diciamo che dopo l’ora è arrivato un orologio di valore da parte di Giovanni Lombardi…
Sorride…
Pensava al record?
«Pensavo alla medaglia, il primato era una possibilità, un bonus».
Cosa ha detto a Jonathan Milan?
«Facciamo gara fino alla fine e vinca il più forte».
La frase che le piace di più?
«Quella di Mandela. ‘Io non perdo mai. O vinco, o imparo’».
Lei è il re del tempo: puntuale o ritardatario?
«Dipende».
Da cosa?
«Se chi mi ha dato l’appuntamento ar­riva dopo…».

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