Rapporti & Relazioni

Rifacciamoci il look

di Gian Paolo Ormezzano

Già scritto ma da ri­scrivere per introdurre un nuovo argomen­to diciamo parallelo, complementare, supplementare. Quando ero giovane inviato al Giro e al Tour coltivavo intanto sul quotidiano sportivo il nuoto, mio sport da praticante niente malaccio, e l’atletica perché regina e il basket perché “ame­ricano”, lasciando in pa­ce il calcio perché da troppo tifoso del Torino non po­tevo dirmi credibile. Per far­mi leggiucchiare fra la pletora dominante dei vecchi giornalisti cantori della bicicletta scrivevo che il ciclismo era tutto provvisorio come praticanti perché, non appena ad esso si fossero organicamente dedicati gli atleti veri, i valori atletici sarebbero cambiati e il pur nobilissimo commoventissimo scorfano pedalante (bipede implume brutto senza bici, divino sul­la bici) del villaggio italo-franco-belga che allora era al centro del mondo delle due ruote senza motore, sarebbe stato sconfitto dai muscolati di tanto altro mondo.

Fra quelli che mi davano affettuosamente del matto c’era un certo Gianni Brera (che sempre sia comunque lodato), il quale mi fece sapere che quell’Eddy Merck belga che mi piaceva tanto era troppo grosso, mai avrebbe vinto una grande corsa a tappe farcita di salite.
Penso di avere vinto la mia immodesta e intanto spicciola battaglia. Il ciclismo di oggi - primo sport mondiale per praticanti ambosessi, at­trazione di palcoscenici as­sortiti e anche tecnologie spinte - ospita atleti (e atletesse) di quasi tutti i paesi, sono trionfanti nelle alte classifiche tipi di tantissime nazionalità diverse e sino a pochi anni fa sconosciute, restano gli scorfani (meno le scorfane, una fortuna) ma arrivano quelli alti, quelli ricchi di muscoli anche appariscenti, gli atleti atletici, in­somma. Dal punto di vista estetico il ciclismo di oggi è insomma una rassegna di bei corpi di vario tipo. Però…

Però il ciclista vestito classicamente da ciclista è buffo e dovrebbe cambiare, anzi cam­­biarsi: d’abito. Ne ho già scritto, lo riscrivo dopo la pa­rata in Australia, per il Mondiale della strada in una terra splendida che ho avuto la fortuna di conoscere, di bellissime creature atletiche, uomini e donne, vestite però in maniera quasi clownesca. Possibile che non ci sia un Ar­mani, un Versace, non di­co un Valentino ma un Ba­len­ciaga ferrigno, un Cour­re­ges votato al rugby della sua Pau, anche un Dior per il ci­clismo? Possibile che tecnologia moderna di tessuti e colori, e migliore conoscenza dell’anatomia, non riescano a proporre ciclisti che, vestiti da ciclisti, non siano ridicoli? Le maglie devono essere così brutte e lardellate di scritte illeggibili, le scarpe così goffe, i colori così fasulli? Possibile che camminando con la bicicletta al fianco il ciclista sembri in transito permanente sulle uova, con quelle escrescenze poi che completano le scarpe e fanno pure brutti rumori sui pavimenti?

Vero che ci sono problemi di sicurezza a condizionare il tipo di uniforme. E basti pensare ai motociclisti in corsa con quella gobba da animale preistorico utile per quando cadono e rimbalzano sulla pista e fuori pista. Però, via, gli stessi piloti sacerdoti sommi della Formula 1 quando escono dall’auto non fanno ridere, e quasi sembrano borghesucci che si sono messi un casco tanto per far ridere i nipotastri. I nuotatori hanno smesso in fretta con i costumi buffi da pagliacci falliti come sollevatori di pe­si. Finite nell’atletica le tute da topo d’albergo, utili - si disse - per l’aerodinamica. E nello sci si può praticare il fon­do e il tiro (biathlon, splen­dide certe atlete) re­stando abbigliati (intanto che abbagliati gli spettatori) come sportivi disinvolti, in gita per fare un po’ di piste e un po’ di caccia, mentre nelle specialità alpine soltanto la discesa pretende scafandri di protezione, ed è pure comprensibile, accettabile.

Non è che mi preoccupo da cultore snob dell’estetica del campione o anche del praticante comune, non me ne frega niente. Mi preoccupo della ridicolaggine di un po’ tutti i ciclisti. Per dire: quei pantaloncinacci sono necessari così o potrebbero essere attillati lo stesso ma intanto ben più corti? Certe atletesse leggere vestono insieme funzionale, elegante, provocante, e pazienza se con vista su un ombelico spesso tipo tortellino di Mo­dena. Una ciclistessa vestita da gara attualmente non provoca proprio, sarebbe indenne sotto lo tsunami di sguardi di un collegio intero di giovinastri arrapati.
Segue dibattito?

 

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