di Carlo Malvestio
C’è vita nel settore veloce su pista. Dopo anni, anzi decenni, in cui è stato a dir poco agonizzante, da qualche mese a questa parte gli sprinter stanno tornando a fiorire. E non lo stanno facendo per caso, bensì perché la Federazione Ciclistica Italiana ha deciso di affidarli alle sapienti mani di Ivan Quaranta, ex pistard e velocista, che dall’inizio di quest’anno ha preso in mano il settore e sta dando ordine e organizzazione. Un’impresa non facile, perché di ragazzi che vogliono testarsi nella velocità su pista non ce ne sono poi molti, e a livello élite l’Italia è sparita dai radar da moltissimo tempo. Eppure, a Ivan e il suo staff sono bastati pochi mesi per raggiungere i primi risultati rilevanti a livello giovanile e costruire una base solida di ragazzi dai quali ripartire.
Fresca di qualche giorno fa è la splendida doppietta di Mattia Predomo ai Mondiali junior di Tel Aviv, in Israele, in cui il bolzanino classe 2004 ha conquistato la maglia arcobaleno sia nel Keirin che nella Velocità, oltre all’argento nel Km da fermo. Qualche settimana prima, aveva fatto lo stesso agli Europei di categoria di Anadia, e la rassegna portoghese aveva messo in luce anche un altro bolzanino, Matteo Bianchi, oro nel Keirin e nel Chilometro da fermo nella categoria U23, e Daniele Napolitano, argento nel Keirin U23, oltre alla doppia medaglia di bronzo nel team sprint, sia tra gli junior che tra gli U23. Infine, lo stesso Bianchi ha conquistato la medaglia d’argento nel Chilometro da fermo, facendo segnare il record italiano in 59.661, agli Europei élite di Monaco.
Ivan Quaranta, insomma, non male come inizio.
«Direi di no. Sono partito da una base di corridori giovani che qualcosa aveva già dimostrato, penso a Matteo Bianchi che aveva conquistato medaglie internazionali da junior e lo stesso Mattia Predomo, che l’anno scorso era salito sul podio mondiale. Si trattava, e si tratta, di indirizzarli nella maniera più corretta».
Il settore veloce su pista sembrava defunto…
«Lo era. La velocità negli ultimi venti anni è stata completamente abbandonata, non è una novità. Dopo Roberto Chiappa non c’è stato più nessuno, non si è più lavorato coi giovani, il mondo italiano della velocità è terminato lì. Lo stesso era successo al settore endurance prima dell’arrivo di Marco Villa: basti pensare che alle Olimpiadi di Rio 2016 avevamo solo Elia Viviani e non eravamo nemmeno qualificati con il quartetto, anche se poi abbiamo partecipato per la squalifica della Russia, e a Tokyo 2020 siamo invece diventati campioni olimpici dell’inseguimento a squadre, risultando estremamente competitivi in tutte le specialità. Villa, però, giustamente, non aveva abbastanza tempo per seguire con attenzione anche la rinascita del settore veloce e probabilmente a livello federale non c’era nemmeno questo grande interesse. L’anno scorso, però, Cordiano Dagnoni mi ha voluto coinvolgere e Villa, che aveva bisogno di qualcuno che si occupasse della velocità a 360°, ha riconosciuto in me la persona giusta per provare ad occuparsi della disciplina».
C’è anche da ricostruire una cultura per la velocità?
«Esatto. Un allievo che a 14 anni manifesta un certo talento per la velocità, che magari vince qualche volata nelle gare di paese, viene spinto da genitori, direttori sportivi e tifosi vari a continuare su strada, perché se lo immaginano già a disputare le volate del Tour de France. Di certo non se lo immaginano fare il torneo olimpico di velocità. Poi magari questi ragazzi smettono perché in salita non vanno su...».
Velocità su pista e strada sono incompatibili?
«Sono mondi completamente diversi, ora su strada un velocista deve andare forte anche in salita. Arrivano in volata dopo duemila metri di dislivello, ai miei tempi il ciclismo era più amico degli sprinter puri. Un velocista pistard non può più pensare di diventare uno stradista».
Che rapporto c’è col CT Marco Villa?
«C’è un costante confronto, anche ai Mondiali junior di Tel Aviv ci sentivamo alla mattina per discutere, magari su che rapporti utilizzare. Lo stesso succede con Diego Bragato, il responsabile del centro studi, con Dino Salvoldi e Pierangelo Cristini: ci si confronta e si discute, come è giusto che sia tra tecnici».
Ti saresti aspettato un inizio così medagliato tra Europei e Mondiali?
«Sinceramente no. Se a gennaio mi avessero detto che avremmo vinto quattro europei e un mondiale avrei fatto fatica a crederci, anzi avrei dato del pazzo a chi lo diceva. D’altronde erano vent’anni che a queste gare non partecipavamo nemmeno, se si eccettua il gruppo di Francesco Ceci che però faceva fatica a competere a livello internazionale. Questo però significa che di margine ce n’è molto, c’è un bel gruppo di giovani che sta crescendo».
Come hai reclutato i ragazzi?
«A inizio anno ho fatto un lavoro di scouting per individuare gli elementi giusti e poter completare la squadra per il team sprint. Bragato mi ha messo in contatto con il CT della BMX, Tommaso Lupi, che ci ha prestato un U23 e uno junior, vale a dire Matteo Tugnolo e Tommaso Frizzarin, che si sono rivelati ottimi innesti».
Ecco, la BMX: come è nata questa “contaminazione”?
«L’atleta che corre in BMX è molto esplosivo, adattissimo alle partenze da fermo. Durante il mio primo impegno ufficiale, la Coppa del Mondo di Glasgow, mi sono messo ad osservare le altre Nazioni, per capire il background dei corridori più forti. Ho capito rapidamente che diversi atleti arrivavano dalla BMX, compreso il più forte di tutti, l’olandese Harrie Lavreysen. Così già a maggio, grazie a Bragato che si interfaccia con tutte le discipline, abbiamo cominciato questa collaborazione con la BMX, che a sua volta può contare su diversi giovani di talento competitivi a livello internazionale».
Quanto potranno aiutare il movimento i risultati ottenuti in questi mesi?
«A livello Élite siamo ancora lontani, sia chiaro, ma a livello giovanile direi che siamo assolutamente competitivi. Tra Europei e Mondiali di categoria qualcosa lo abbiamo conquistato e le acque si stanno muovendo. Fino a tre mesi fa dovevo andare in cerca di qualche allievo interessato alla pista, invece ora sto ricevendo diverse telefonate di ragazzi che vogliono cimentarsi nella velocità. E parlo di ragazzi forti. Ma penso sia normale, perché se vedi Predomo in maglia di campione del mondo, Bianchi campione europeo, articoli di giornale e visibilità mediatica, alla fine i giovani li attrai. Non solo, i gruppi sportivi cominciano a farsi avanti e così puoi garantire agli atleti anche una certa stabilità economica. Insomma, più c’è materiale umano a disposizione, più c’è possibilità di tirare fuori qualche campioncino. E questo vale un po’ per tutte le discipline».
Le squadre dimostrano interesse per i vostri pistard?
«Da quel punto di vista si può crescere. La Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino, per esempio, che ha nel roster Bianchi e Predomo, ha sempre creduto nel nostro progetto, anche perché il suo diesse Alessandro Coden arriva dalla pista, correva con me, è un grande appassionato del settore. C’è grande collaborazione e un continuo confronto, io mi concentro sugli allenamenti in pista, lui sulla strada, e alla fine credo che anche loro abbiano ottenuto una gran bella visibilità dai risultati ottenuti dai velocisti quest’anno. Vi faccio un altro esempio: l’anno scorso ho segnalato alla Colpack Ballan, con la quale collaboravo, Daniele Napolitano. Loro hanno colto la palla al balzo e all’Europeo U23 Danilo si è portato a casa due medaglie nel Keirin e nel Team Sprint. C’è anche però chi continua a credere che tesserare un pistard ti porti via un posto per la gara della domenica, ma se fossi una formazione U23 o juniores ci penserei bene. La Campana Imballaggi ora ha un campione del mondo in squadra...».
A questo punto le Olimpiadi di Parigi 2024 possono rappresentare già un obiettivo per questo progetto?
«Dobbiamo crederci. All’Europeo nel Team Sprint abbiamo chiuso settimi a mezzo secondo dai quarti, non siamo lontani anni luce da quelli che puntano ad andare a Parigi. Da febbraio cominceranno le qualificazioni, abbiamo una squadra molto giovane, nel giro di pochi mesi Bianchi, Tugnolo e Napolitano possono migliorare molto. In più dall’anno prossimo potremo inserire anche Predomo, che passa di categoria e sicuramente ci aiuterà a togliere altri 2-3 decimi. Quindi è giusto credere alla partecipazione olimpica a Parigi 2024, per poi magari alzare le ambizioni in vista di Los Angeles 2028. Per raggiungere certi watt, mi riferisco alla potenza necessaria per imporsi a livello mondiale, ci vogliono diversi anni di lavoro, noi siamo insieme da quattro mesi. Io sono convinto che l’italiano nel DNA sia veloce, i ragazzi di talento ci sono. Va cambiata la cultura, e abbiamo cominciato a farlo».
Un’ultima nota su Miriam Vece.
«È una ragazza che ha creduto da subito alla velocità, ha fatto anche scelte importanti, come quella di andare a correre al Centro Mondiale di Aigle, per seguire questa sua passione e sta raccogliendo risultati importanti. Nei 500 metri è ormai nell’élite mondiale ma penso che abbia ancora margini di miglioramento e anche con lei stiamo lavorando molto bene».