Il Tour e i commessi nel cuore
di Gian Paolo Porreca
Scriviamo di 20 luglio, parliamo del Tour 2022, e ancora neppure un ciclista italiano è riuscito ad imporsi in una giornata, sia pure una frazione parziale, in un disegno come il Tour incandescente, che dopo Vincenzo Nibali del 2014 chissà se più apparterrà in assoluto ad un italiano.
Scriviamo di 20 luglio, e ricordiamo con affetto, diomio come passa il tempo veloce su di noi, ma non abbastanza da imporci il silenzio, e come è difficile confrontarsi poi con redattori moderni che allora a stento frequentavano il desk e oggi hanno il diritto senza contraddittori della geometria dello sport, ci ricordiamo con affetto quel 20 luglio 2000.
E della giornata di Friburgo, al Tour, quando Salvatore Commesso, un ciclista campano, nativo di Trecase alle pendici del Vesuvio, e trasferitosi per vocazione ciclistica familiare in Lombardia, vinse in una rutilante maglia Saeco la Losanna - Friburgo, 18a tappa, superando in uno sprint serrato Alexander Vinokurov, il glaciale campione kazako, quel totem potente e ambiguo del ciclismo, il prossimo mondo Astana, che sarebbe diventato pure campione olimpico a Londra nel 2012.
Ma che c’entra poi Vinokurov, a fare ombra? Noi in questa storia di Lacryma Christi ricordiamo oggi solo Salvatore Commesso, “Totò” per simpatia, e la sua affinità incredibile con il Tour de France che i media anche meridionali - e di quale giornalismo correo del calcio oncologico di Serie A ormai parliamo - hanno tanto spesso sottostimato.
Lo snobismo partenopeo, che è ancora più disgustoso del razzismo, perché ha una presunzione di classe, forse ha rimosso luce dall’immagine di Salvatore Commesso, classe ’75, un atleta napoletano che ha avuto il merito di lasciare casa con uno sberleffo per seguire la sua passione, di non rassegnarsi al destino di pizzaiolo neomelodico, e ascriversi ad un generoso comparto ciclofilo lombardo. Lago di Iseo, o giù di lì.
E abbiamo citato già il Tour del 2000, ma in verità Salvatore Commesso aveva già vinto una prima volta al Tour, sul traguardo di Albi, nel ’99, il 17 luglio. E lo aveva fatto, incredibilmente, vestendo la maglia di campione nazionale di ciclismo, un primato romantico e morale, solitario e fulgido, ben altro di uno scudetto calcistico condiviso in multiproprietà. E allora, quel Commesso lì aveva preceduto non un altisonante Vinokurov, ma ben tre connazionali in fila, Serpellini Piccoli Lanfranchi, hai visto mai nella storia.
Scriviamo, ribadiamo, di 20 luglio 2022, e a ricordare il prode Salvatore Commesso, due volte tricolore, nel ’99 e nel 2002, e terzo ancora nella kermesse nazionale nel 2003, ci piace rammentarne però una emozione speciale, se è giusto dare un corsivo alla traccia mai banale dell’amarcord.
Vogliamo illustrarne qui, su pagine non occasionali e fuggitive, un foglio che dura un mese, l’emozione irripetibile del Commesso che tornava, dopo un lungo silenzio agonistico, in maglia Lampre, sulle strade del Tour, nel 2006. Non più giovanissimo, e un fardello discontinuo di esperienza sulle terga. E vogliamo condividere con voi il testa a testa finale, dopo una lunga fuga, vissuto con il più giovane francese Pierrick Fedrigo. Vorremmo in un rewind affidarvi il suo pianto dirotto dopo quella sconfitta a Gap il 16 luglio, nel segno dei centimetri e della anagrafe. Non sappiamo se la stampa del suo circondario lo avrebbe celebrato di più, noi di certo lo abbiamo amato parimenti oltre, e non lo abbiamo ferito a morte.
E per una sua vittoria - la terza - ulteriore al Tour, contro quel francese della Bouygues avremmo serenamente barattato il titolo di Campioni del mondo di calcio, ottenuto battendo in finale la Francia, ai rigori, in quello stesso scorcio di luglio 2006.
Abbiamo sempre preferito Commesso, e ve lo ricordiamo se avete voglia nel 2022, a Materazzi. E non abbiamo leso alcuna maestà. Abbiamo solo onorato un modesto sentimento: quello arduo del Ciclista. E in fondo difeso anche la nostra umile, e non servile, onestà di scrittori di sport.