di Francesca Monzone
Il suo obiettivo era vincere il Tour de France per la terza volta consecutiva, ma Pogacar questa volta non è riuscito a centrarlo. Ha già voltato pagina, non correrà la Vuelta di Spagna che partirà il prossimo 19 agosto ma, dopo un periodo di stacco, lo vedremo andare a caccia delle classiche di un giorno con un occhio di attenzione particolare sul mondiale.
Alla Grande Boucle Tadej Pogacar è stato protagonista con Jonas Vingegaard di un duello avvincente che ha inchiodato milioni di telespettatori davanti alle televisioni di tutto il mondo. Alla vigilia lo sloveno era il favorito numero uno, considerato da molti il nuovo cannibale che avrebbe divorato ogni avversario, grazie alle doti straordinari che lo avevano portato a vincere già due Tour de France.
D’altra parte Tadej arrivava a Copenaghen con grandi risultati in tasca: chiuso il 2021 con la vittoria ne Il Lombardia, ha iniziato il 2022 con la vittoria assoluta all’UAE Tour, accompagnata da due successi di tappa. A marzo è stato il signore indiscusso della Tirreno-Adriatico vinta dopo aver portato a casa anche il successo a Strade Bianche. Pogacar è andato forte anche in aprile, arrivando vicino alla vittoria nelle Classiche anche se il successo gli è sfuggito per poco più di una volta e il mondo ha scoperto che il giovane sloveno non è imbattibile.
E poi il Tour, la sua corsa, dove Pogacar non si scontra con un solo avversario ma con un’intera squadra, una corazzata forte di Wout Van Aert, Primoz Roglic e Jonas Vingegaard.
«Non poteva esserci modo migliore di perdere questo Tour de France - ha detto lo sloveno al termine dell’ultima tappa pirenaica - perché ho fatto il massimo, ma mi sono imbattuto in un avversario migliore di me. Questo mi dà la motivazione per tornare qui il prossimo anno, rimettermi in gioco e dimostrare chi è il più forte».
Pogacar in questo Tour ha fatto cose straordinarie, ha indossato la maglia gialla e ha conquistato tre vittorie di tappa, ma questo non è bastato per arrivare in trionfo a Parigi: sul podio dei Campi Elisi è salito sul secondo gradino, con le spalle coperte dalla maglia bianca di miglior giovane.
Questa volta lo sloveno non ha corso il Tour perfetto: da una parte il Covid ha messo in ginocchio la sua UAE Emirates (lo stop a Trentin proprio alla vigilia, poi quelli di Bennett e Laengen), dall’altra errori strategici che lo stesso Pogacar ha ammesso al termine della corsa.
«Nella tappa del Galibier ero troppo concentrato nel cercare di rispondere ad ogni attacco e alla fine ho pagato caro. Questo è stato il mio errore principale, ma sono sicuro che ce ne sono stati altri, magari meno evidenti, sui quali rifletteremo».
In alcune tappe lo sloveno ha corso da solo perché il suo team, anche se molto preparato, non era in grado di tenere il passo con la Jumbo Visma.
«Abbiamo avuto sicuramente molta sfortuna con il Covid, prima e durante il Tour. Abbiamo finito con soli quattro corridori, cioè con metà della squadra. Avremmo potuto dire che questi fattori hanno inciso sulla mancata vittoria, ma sicuramente c’è anche dell’altro».
Il ventitreenne fenomeno della UAE Emirates ha perso il Tour in montagna, nonostante i successi a La Super Planche des Belles Filles e a Peyragudes: decisiva la crisi accusata sul Col du Granon, quando ha tagliato il traguardo con un ritardo di quasi tre minuti da Vingegaard. Era l’undicesima frazione, da quel giorno poi Pogacar ha sempre attaccato ma non è più riuscito a fare la differenza con un Vingegaard che lo ha sempre marcato.
«All’inizio della tappa stavo bene ma arrivati al Galibier sono stato attaccato dall’intera Jumbo Visma. All’improvviso ho avuto un brutto stop sul Col du Granon, non sono riuscito a reagire quando Vingegaard ha attaccato. Ho scavato in profondità ma non ho trovato le energie per seguirlo. Forse ho avuto un problema di ipoglicemia. Ora toccherà a me attaccare e continuerò a combattere» aveva detto subito dopo, ma quel distacco non verrà più recuperato perché Vingegaard, ad ogni attacco dell’avversario, rimaneva incollato alla sua ruota, con Van Aert e gli altri, Jumbo, pur privi di Roglic costretto al ritiro, pronti a bloccare qualsiasi tentativo da lontano
Il copione si è ripetuto anche sui Pirenei, nella tappa di Peyragudes, quando lo sloveno è riuscito a vincere, ma senza fare la differenza né a staccare Vingegaard. Lo sloveno si è dovuto accontentare di entrare nel ristretto club di quei campioni che hanno saputo vincere almeno tre tappe in tre edizioni consecutive del Tour de France, un record che appartiene a Mark Cavendish capace di vincere 4 volte nel 2008, 6 nel 2009, 5 nel 2010, 5 nel 2011 e 3 nel 2012.
Senza ombra di dubbio Pogacar è stato protagonista di un Tour de France straordinario, uno dei più belli degli ultimi vent’anni, una corsa nella quale la qualità dei corridori è stata altissima e gli attacchi con i colpi di scena non sono mancati, in nessuna delle 21 tappe. La terza vittoria non è arrivata, ma lo sloveno è giovane e questo risultato adesso gli offre la possibilità di correre in un modo diverso. Pogacar non è più il corridore imbattibile e i suoi avversari hanno capito che può commettere anche lui degli errori e andare in crisi, anche se c’è da scommettere che imparerà presto e tornerà molto velocemente a dettare legge.
Il capitano della UAE è comunque soddisfatto, perché è stato battuto da un corridore che ha meritato la vittoria e questo gli offre spunti diversi dai quali ripartire.
«Vincere la mia terza maglia bianca alla Grande Boucle non era ovviamente il mio obiettivo iniziale, ma alla fine sono molto contento di come è andato questo Tour de France. Sono orgoglioso di essere arrivato secondo e delle vittorie di tappa che ho conquistato. È il sogno di tutti i bambini, quello di correre un giorno il Tour de France, di diventare un ciclista professionista. Il semplice fatto di partecipare al Tour è già di per sé qualcosa di incredibile, soprattutto quando vieni da un Paese come la Slovenia, che non ha una grande tradizione ciclistica. Per questo l’aver ottenuto un secondo posto per me resta comunque un risultato incredibile».
Lo sloveno è sereno e non si rimprovera nulla e nella sua analisi, fatta a fine gara, con estrema chiarezza ha detto che in questo Tour non è andato meno forte del precedente, perché i numeri al riguardo parlano chiaro: «Vingegaard ha vinto meritatamente perché ha avuto una crescita importante rispetto all’anno precedente».
Nonostante la sconfitta, Tadej continua ad essere considerato da molti il nuovo Eddy Merckx, anche se a lui non piace essere associato al campione belga, se non altro per una questione di rispetto. Di sicuro sappiamo che Tadej non è un corridore che si arrende facilmente e che, al contrario, riesce a ripartire dagli errori commessi.
Pogacar a Parigi ha fatto la sua promessa: tornerà al Tour per vincere, perché correre è la sua gioia più grande e vuole riassaporare presto l’emozione di tagliare per primo il traguardo della corsa a tappe più importante del mondo.