Top Ganna: «Il tricolore per me ha grande importanza»

di Giulia De Maio

Nella sua bacheca ci sono una medaglia d’oro olimpica, 7 maglie iridate, 4 di campione europeo, 5 rosa e tanto altro. Nonostante tut­to quello che ha vinto e vincerà, un posto speciale però lo avrà sempre il tricolore che per Filippo Gan­na è una seconda pelle da quando fa girare le sue potenti gambe, quasi sempre più forte di tutti gli altri. Ha vestito la maglia verde-bianco-rossa per la prima volta da allievo a Caldonazzo (Trento) nel 2012, ovviamente, nella cronometro.
«L’emozione e l’orgoglio so­no sempre gli stessi. La felicità di oggi è la medesima di allora. Se penso ai colori della nostra bandiera, sai cosa mi viene in mente? La siepe ver­de che ho li­mato in discesa, il bianco della mia faccia al traguardo, il rosso che avrei visto se avessi beccato la siepe» racconta ri­dendo Pippo, ripensando a quando si è ripetuto nella stessa disciplina anche da junior nel 2014 e da Under 23 nel 2016, e si è laureato campione d’Italia nell’inseguimento a squadre su pista nel 2014 e 2015. Specialità nella quale sa­rebbe arrivato nel giro di poche stagioni sulla vetta del Monte Olimpo.
Nella massima categoria dopo i trionfi nel 2019 e 2020, il 22 giugno a San Gio­vanni al Natisone (Udine) il venticinquenne di Verbania si è confermato il numero 1 del Belpae­se contro il tempo tra gli Élite, volando a quasi 53 km/h di media i 35,6 km in programma. Top Ganna ha riconquistato la ma­glia di campione italiano della crono, che aveva ceduto lo scorso anno all’amico-cognato Matteo Sobrero, vincitore del­la tappa conclusiva del Giro d’Italia di quest’anno e fidanzato di Carlotta Ganna, sorella di Pippo. In Friuli il campione del mondo ha preceduto Mattia Cattaneo ed Edoardo Affini. Passato in testa già al punto di rilevamento intermedio, ha via via aumentato il suo vantaggio sul bergamasco del­la Quick Step Alpha Vynil e sul mantovano della Jumbo Visma, al traguardo staccati di 36”58 e 50”09. Al quarto posto ha chiuso il campione italiano uscente, penalizzato - lui di corporatura esile - rispetto ai rivali su un percorso per specialisti potenti. A chiudere la top five il giovane Filippo Baroncini della Trek Segafredo.
«La bandiera italiana a casa dei miei ge­nitori c’è da quando ho memoria, non l’abbiamo mai esposta né per i miei risultati né per i mondiali di calcio ma siamo patriottici - confida Pippo. - Io la vesto con fierezza, anche se co­per­ta dall’arcobaleno per il momento. In cosa mi sento tipicamente italiano? In fatto di cibo. Sclero in squadra quando provano a vendermi un piatto di pasta con prosciutto e panna per una carbonara. Da denuncia!».
Dei 21 successi in carriera da professionista Filippo ne ha conquistati 19 a cronometro. La prima il 14 febbraio 2019 al Tour de la Provence, l’ultima prima della sfida tricolore l’8 giugno 2022 al Delfinato. Superficialmente si potrebbe affermare che per un campione del mondo non dovrebbe essere una gran fatica vincere un tricolore, ma non è così. Soprattutto negli ultimi anni in cui siamo diventati un popolo di cronomen. Lo scorso anno a Faenza Pippo arrivò addirittura quarto. Certo, veniva da un periodo di scarico post Giro d’I­ta­lia e aveva nel mirino i Giochi Olim­pici, ma ormai il livello nazionale è talmente alto che per vincere devi essere in grande forma. E Filippo lo è. La maglia tricolore sarà coperta da quella iridata almeno fino a settembre, ma speriamo anche più a lungo...
Per il piemontese della Ineos Gre­na­diers è presto per pensare al tris mondiale che inseguirà a settembre in Au­stralia, dove lo attende un percorso adatto alle sue caratteristiche. La sfida nazionale contro le lancette rappresentava l’ultimo test prima del Tour de France, il suo obiettivo più imminente è la tappa di apertura a cronometro di Copenaghen.
«Volevo vincere. Ho dato tutto quello che avevo per capire effettivamente a che punto sono. È stata una bella conferma in vista della Grande Boucle. Siamo contenti, abbiamo lavorato bene - ha commentato a caldo, con al fianco l’allenatore Dario Cioni e il ds Matteo Tosatto che lo hanno seguito in ammiraglia. - Ho sofferto un po’ le alte temperature e l’umidità. Ero un po’ in af­fanno, non riuscivo a trovare il rapporto giusto. Ma lo sapevo, sono appena sceso dall’altura, era nei piani fare questa fatica. L’arrivo al velodromo? Si do­veva spingere soprattutto nei 35 km su strada prima. Abbiamo provato il 90% dei nuovi materiali, manca l’ultimo 10%».
Sotto gli occhi del costruttore Fausto Pinarello, non ha voluto svelare tutte le novità tecniche del mezzo con freni a disco e telaio “camouflage” per tenersi qualche asso nella manica in vista dell’appuntamento in giallo. Ogni dettaglio conterà, come è successo a Imo­la, nelle Fiandre, a Tokyo... Nel velodromo comunale scoperto di San Gio­vanni al Natisone Miguel Indurain pro­vò per la prima volta il prototipo della sua bici Espada nell’agosto 1994, due anni prima che Filippo nascesse dall’amore di mamma Daniela e papà Mar­co. Nella stessa pista a distanza di 28 anni Ganna ha usato il prototipo della nuova Bolide Pinarello già usata dal compagno di squadra Geraint Thomas al Giro di Svizzera, poi vinto dal corridore britannico. Già testata in allenamento, lui che è tanto attento ai materiali quanto scaramantico, ha fatto una ultima prova in gara prima di utilizzarla nella crono d’apertura del Tour in programma il 1° luglio. Per Super Pip­po sarà il debutto alla Grande Boucle. Riu­sci­rà a fare come quan­do ha preso il via per la prima volta al Giro d’Ita­lia? Era il 2020 e nella crono Monreale-Palermo si mise tutti dietro e sulle spalle la maglia rosa.
«La maglia tricolore è molto importante, va onorata. Per quella gialla... bisognerà essere al centodieci per cento. La condizione stavolta non era super e occorrerà rifinire il lavoro in questi ultimi giorni, dove sarà importante re­cuperare le energie. Dovrò arrivare fresco alla partenza, come al Giro negli ul­timi due anni. Con questo caldo toccherà muoversi in modalità “bradipo” per salvare la forza che servirà nei prossimi 20 giorni» ha raccontato con il tricolore indosso ancora bagnato di spumante, prima di concedersi del tempo in famiglia prima di partire per la Dani­mar­ca. Preoccupato per la nuo­va ondata di Covid, per precauzione ha evitato di prendere parte al campionato nazionale in linea di Alberobello, e non ha ab­bassato la guardia. A San Giovanni al Na­ti­sone ha usato spesso il gel per le mani, ha portato sempre la mascherina e ha raccomandato di metterla a chi si avvicinava per selfie e autografi. Cau­tele più che comprensibili dopo mesi di sacrifici in vista di un grande traguardo: «Basta guardarsi attorno, sappiamo che c’è ma in pratica nessuno por­ta la mascherina, invece bisognerebbe avere più ri­spetto per gli atleti. Prima si arrivava a correre con la broncopolmonite, è una iperbole sia chiaro, adesso si chiama Covid e magari do­po aver vinto una tappa ti mandano a casa, come è successo a Vlasov in Svizzera. È necessario fare attenzione. I primi rivali da battere sono i test Pcr».
193 cm per 83 kg, prof dal 2017 con la UAE Emirates, dal 2019 è passato a Sky, ora Ineos-Grenadiers, gruppo che di maglie gialle se ne intende parecchio. Pippo è molto concreto e non è tipo da voli pindarici.
«Non dovrò sbagliare neanche una virgola. Vorrei imitare Moser che nel 1975 prese la maglia gialla beffando Merckx. È un simbolo storico, ambito da tutti» è l’unica suggestione che concede pubblicamente. Venerdì primo luglio a Copenaghen, nel centro della capitale danese, lo attendono venti cur­ve tra il ponte della regina Luisa, la strada a più alta densità ciclistica del mondo dove passano 40mila persone al giorno in bici, i Giardini di Tivoli e la Sirenetta.
«Da ragazzino non seguivo il Tour, a luglio ero in vacanza. Il percorso non l’ho studiato: non lo faccio mai, mi ba­sterà vederlo il giorno prima perché ho una buona memoria visiva» confida. C’è stato un solo italiano in giallo, nel­la storia della Grande Boucle, dopo una crono inaugurale: Francesco Mo­ser. Il suo idolo. Nel 1975, debuttante al Tour proprio come Ganna, il trentino in maglia Filotex batte Merckx nel suo Belgio, a Charleroi, per appena 2”. Per imitare il suo modello ha lavorato con professionalità. Dopo aver fatto vedere la schiena a Van Aert, staccato di 2” nella crono del Delfinato, è salito nel suo rifugio, una stanzetta senza termosifoni, con una ventola per riscaldarsi e un letto su misura di due metri, a una piazza e mezzo. Rifugio Oberto Maroli, 2796 metri di quota sul passo Monte Moro, tra Italia e Svizzera, so­pra Macugnaga, uno dei valichi storici delle Alpi. A coccolare i suoi muscoli ci ha pensato Piero Baffi, figlio di Adria­no, ottimo velocista e adesso diesse alla Trek, e nipote di Pierino. Per qualche giorno hanno diviso con lui la fatica alcuni amici del quartetto azzurro: Liam Bertazzo, Francesco Lamon e Man­lio Moro, che il c.t. Marco Villa ha deciso di mandare in quota per fa­re un test in previsione dell’Olimpia­de di Parigi 2024. Davanti alla parete est del monte Rosa, il leader del gruppo azzurro ha cercato la concentrazione e l’ossigenazione prima della giornata che può rendere ancora più gloriosa la sua carriera. Ha accumulato tanto volume, anche sei ore con salite lunghe da 40-50’, senza esagerare con il passo. L’intensità l’ha ricercata sulla bicicletta da crono, a passo gara, nel piccolo circuito “privato” di 8 km disegnato tra i capannoni nella zona industriale di Macugnaga. Scarso traffico, un circuito con curve sempre destra-destra in mo­do da andare in direzione del traffico e non incrociare le macchine.
«Scende dal rifugio con gli scarponi, prende due funivie per arrivare in pae­se, si cambia. Iniziamo prima con la bici da strada, poi i lavori intensi con quella da crono e di nuovo la bici normale per finire l’allenamento. Ancora due funivie per tornare al rifugio: questa è la sua giornata» ha raccontato Cioni a La Gazzetta dello Sport esprimendo grande fiducia per la condizione atletica del suo pupillo. Scommette su di lui anche Bradley Wiggins, un altro dei riferimenti di Filippo.
«Per me è il favorito ogni volta che si presenta al via di una cronometro. Ogni anno diventa un po’ più forte, chi avrebbe il coraggio di scommettere contro di lui? Io no di certo. In giallo starebbe benissimo e, considerato il percorso con il pavè al quinto giorno, potrebbe mantenersi al comando della generale per quasi tutta la prima settimana» ha previsto il baronetto, vincitore della Grande Boucle di 10 anni fa.
Ha classe, potenza, capacità di concentrarsi e dare il massimo per regalarci la gioia di rivedere un italiano in testa alla corsa a tappe più importante al mondo. In pista, nell’inseguimento individuale, riesce a percorrere il secondo, terzo e quarto chilometro a quasi 62 orari (non il primo solo perché parte da fer­mo) e su strada ha una capacità straordinaria di erogare potenze elevate an­che per 60 minuti. Rie­sce sem­pre a da­re il me­glio nella seconda metà della prova, sia su pista che su strada. In una crono di 13 km come quella che assegna la prima tappa al Tour, un Ganna in forma è difficile batterlo ma la sfida è tutt’altro che scontata. Il rivale più temibile è Wout Van Aert, ma sia nei due mondiali che nella recente crono al Delfinato il belga della Jumbo Visma è sempre stato dietro, anche se di poco. Nelle Fiandre l’azzurro fu fischiato per aver battuto l’idolo nazionale, in Fran­cia che accoglienza si aspetta?
«Non so come sia nata la storica diatriba con i cugini francesi però alla fine fondamentalmente pace&amore, no? Non so che atmosfera troverò in Da­nimarca, di sicuro io affronterò il Tour come ho fatto fino ad ora: a testa bassa e concentrato».
Non ci sarà Rohan Dennis, l’unico in attività ad aver vinto più crono (21, ma ha 6 anni di più) di Filippo, arrivato a 19 su 21 centri da professionista. Più del 90%. Se si sarà rimesso dal covid che lo ha colpito al Giro di Svizzera, occhio allo svizzero Stefan Bissegger (EF EasyPost), l’ultimo a battere Gan­na a crono a febbraio all’UAE Tour. Tra i pretendenti alla prima tappa della Grande Boucle vanno inseriti anche Stefan Küng (Groupama Fdj), 5° all’ultimo Europeo a Trento, i danesi Mads Pe­dersen (Trek-Segafredo) e Mikkel Bjerg (UAE Emirates) che corrono in ca­sa e conoscono il percorso come le lo­ro tasche, lo sloveno Primoz Roglic, campione olimpico in carica su un percorso molto diverso, che arriverà al 100% per sfidare il connazionale re in carica Tadej Pogacar nel corso delle tre settimane. A Pippo, per iniziare, ba­sterà una giornata. Se sarà perfetta alla sua collezione di maglie se ne aggiungerà una davvero speciale. Che porterà a casa volentieri, anche se non è del suo colore preferito.
«È il nero, che è sempre discriminato e nel ciclismo simboleggia l’ultimo arrivato. Il giallo? Mi fa pensare al caldo sole di luglio, che spero questa volta non mi farà diventare troppo rosso e mi regalerà una grande soddisfazione».

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