Il Mito di Guerra a Napoli
di Gian Paolo Porreca
Da Il Giro racconta di Gian Paolo Porreca, pag. 272, LeVarie edizioni. Per gentile concessione dell’ Editore.
Non è colpa totale dell’infanzia smarrita, e delle fazioni che ci venivano di allora raccontate, fra una madre repubblicana che aveva tifato Guerra e uno zio sabaudo che era stato invece supporter di Binda, se ci intriga tanto il chiederci perché mai il pubblico di Napoli, mica solo gli appassionati di ciclismo che allora poi erano la totalità degli sportivi, abbia tanto amato Learco Guerra.
Perché, poniamo applaudire più Guerra, che a Napoli vinse tre tappe del Giro (’32, ’34, ’37), come Giuseppe Di Paco, e in assoluto una in meno di Gaetano Belloni, la cui memoria è parsa invece scivolare via.
Certo, la figura generosa di questo muratore mantovano che solo a 26 anni, già sposato e con un figlio, si attrezza a fare il ciclista, e poi quel temerario andare prima a cercare la gloria in Francia, dove sarebbe stato due volte secondo al Tour, nel ’30 e nel ’33, con sette tappe vinte, può in assoluto essere congeniale alla passione partenopea per i padri di famiglia che cercano altrove fortuna, quasi da emigranti...
Ma il Learco Guerra da San Nicolò Po, Learco Antenore Giuseppe all’anagrafe, primo al Giro del ’34 e in 31 frazioni, è stato a nostro avviso così adorato dagli appassionati di Napoli, perché a Napoli, capiteci, non era arrivato “dall’alto”, come un attore imposto dalla corsa maggiore alla stregua di una divinità olimpica, una alternativa umana creata a fronte di un primate vagamente onnipotente come Alfredo Binda.
No, Guerra Napoli l’aveva fatta sua guarnigione dal basso, l’aveva conquistata mano a mano, come quel capomastro che era in lui edificava il muro maestro.
Già, vedete, all’esordio, nel ’29 era stato, proprio quel Guerra lì, appena secondo nella cronometro dei Campi Flegrei e poi quarto in un Giro di Campania che si disputava a tappe.
E successivamente, un altro piano, eccolo alfine primo, si sarebbe imposto nel ’30 nella Coppa Caivano, la classica del Centro Sud che per tanto ciclismo del Nord non era necessaria.
Ma per Guerra, quel Guerra lì, in maglia Maino, la Coppa Caivano, non i Pirenei, non le Alpi, fu al contrario determinante per la conquista del regno di Napoli. Ci sarebbero poi stati, a carezzare le folle, i “Campania” del ’32, ’34 e ’35, certo, oltre le già citate frazioni del Giro d’Italia vinte, una più clamorosa gloria.
E però le fondamenta di quel Duomo di amore per lui, in Napoli, Guerra le aveva edificate da semplice con l’umiltà di un bracciante, smussando gli angoli dei traguardi, imparando le traiettorie delle strade, per renderle più sue, carezzando in volata per non far loro del male le pietre bianche di una smarrita solare Caivano.
Di Guerra, a Napoli, si disse che per la folla in tripudio, un giorno, fosse stato spostato addirittura l’orario di un funerale. E noi ci crediamo. C’è sempre tempo, sapete, per andare altrove.