di Francesca Monzone
Nato a Voorburg nell’Olanda Meridionale Dylan Van Baarle in pochi mesi - alla soglia dei 29 anni che compirà il 21 maggio - ha fatto vedere tutto il suo valore, dimostrando di essere un autentico corridore da classiche, capace di scrivere il proprio nome nella storia delle corse più importanti. A Lovanio in Belgio, nello scorso mese di settembre, l’olandese è arrivato secondo ai Mondiali, alle spalle di Alaphilippe e, dopo il secondo posto al Giro delle Fiandre, lo scorso 17 aprile ha firmato il suo capolavoro più bello vincendo la Parigi-Roubaix.
Van Baarle aveva detto di aver bisogno di credere di più in se stesso per ottenere un successo importante e quella fiducia l’ha trovata a Lovanio, quando il responsabile della nazionale olandese gli aveva detto che era arrivato il suo momento e che anche lui avrebbe potuto correre puntando ad una vittoria veramente importante. Quell’argento vinto in Belgio, in Francia si è trasformato nell’oro della vittoria conquistata nell’Inferno del Nord, un successo che non è arrivato per caso, ma costruito metro dopo metro.
«Tutti sanno quanto sia stato difficile per me correre ai Mondiali, dopo che mi ero rotto il bacino durante una caduta alla Vuelta a España - ha detto Van Baarle durante la conferenza stampa a Roubaix -. Prima del mondiale non potevo nemmeno camminare. Il nostro commissario tecnico Koos Moerenhout continuava a farmi sentire la sua fiducia e quando sono andato da lui con la medaglia al collo mi ha sussurrato all'orecchio: “Ora devi credere in te stesso più di prima”. Ho ascoltato le sue parole e il risultato è arrivato».
Per Van Baarle il ciclismo è stato quasi una scelta obbligata, perché nella sua famiglia questo sport è sempre stato di casa.
Già quando era nella categoria junior aveva lasciato intravedere le sue doti straordinarie e per questo venne ingaggiato immediatamente dalla Rabobank, la squadra in cui tutti i giovani ciclisti olandesi sognano di correre.
«Nei primi anni in cui correvo, potevo fare un po’ di tutto, tranne le lunghe salite. Sono sempre stato bravo perché arrivavo tra i primi cinque, ma senza vincere uno sprint o una tappa di montagna. In realtà, non avevo mai vinto nulla di importante».
Questa mancanza di grandi risultati gli ha sempre creato un po’ di delusione e mancanza di fiducia in se stesso ed è forse uno dei motivi per i quali il risultato importante ha tardato ad arrivare.
Van Baarle non voleva accontentarsi di un risultato tout court e non gli bastava una vittoria di tappa, perché in un Paese come il suo, l’Olanda, sapeva che sarebbe passato quasi inosservato.
«È normale che gli olandesi non fossero mai stati molto interessati a me. Mathieu van der Poel è un gradino sopra di me, poi ci sono corridori veloci come Fabio Jakobsen, ma anche vincitori di grandi giri come Tom Dumoulin. Rispetto a loro sono sempre stato un po’ indietro, facevo le cose nel mio angolo e questo mi bastava».
Anche alla Parigi-Roubaix, l’olandese non si sentiva tra i favoriti perché aveva la consapevolezza che con corridori come Van der Poel o, in altre corse, Van Aert e Alaphilippe, bisogna essere veramente forti, oltre che fortunati. Ma di sicuro aveva studiato per bene cosa fare per arrivare al massimo risultato.
«Sapevo che dovevo trovare un modo diverso per vincere - ha detto Van Baarle dopo la vittoria -. Se fossi rimasto sempre nel gruppo di testa, la gente avrebbe pensato che io sono uno che pedalava bene, ma che non sarei andato oltre. Ma ho capito che se avessi cercato di sorprendere i miei avversari al Carrefour de l’Arbre, avrei potuto giocarmi una carta importante».
Van Baarle ha scelto di attaccare quel giorno e proprio in quel tratto di pavé che non ha mai amato perché, come lui stesso dice, non ci sono corridori che preferiscono gareggiare sul pavè invece che sull’asfalto.
«Stranamente alla fine la mia vittoria più bella l’ho conquistata su quei sassi che tanto odio. Penso che sia così per tutti, preferiamo correre sull’asfalto. Ma quando ero su quelle pietre ho provato una nuova soddisfazione, quella di vedere che proprio lì ero io il più veloce e che era quello il terreno su cui potevo battere tutti gli altri».
Alla Roubaix c’erano Filippo Ganna e il polacco Michal Kwiatkowski, che partivano da favoriti: erano loro i capitani della Ineos-Grenadiers e questo sicuramente ha tolto l’attenzione da Van Baarle, che nelle previsioni di tutti era destinato ad avere un ruolo di supporto e non da protagonista.
La Ineos-Grenadiers è la squadra che ha sempre inseguito la vittoria nei grandi giri, li ha dominati per anni e ora, superate le difficoltà, è tornata ai vertici del ciclismo mondiale, vincendo anche nelle classiche in linea. In questa stagione, nella quale dovrà fare a meno di Egan Bernal, il team di Sir Dave Brailsford ha fatto un salto di qualità sia con i giovani che con i ciciclisti più esperti
«Questa per noi è una stagione molto speciale. Abbiamo già vinto il Tour sette volte, ma adesso stiamo dimostrando di essere forti anche su altri terreni. Io ho vinto la Parigi-Roubaix ed è incredibile, poi all’Amstel Gold Race abbiamo avuto il successo di Michal Kwiatkowski, mentre alla Freccia del Brabante abbiamo vinto con Magnus Sheffield. Tutto questo è stato straordinario».
Il campione olandese della Ineos-Grenadiers adesso pensa al futuro. Deve ancora riprendersi da tutta l’attenzione che è ricaduta su di lui, abituato a stare nell’ombra perché a vincere erano sempre gli altri, ma adesso le cose sono cambiate.
«Già dopo il mio argento ai Mondiali e quello al Giro delle Fiandre tanta gente mi scriveva, ma ora tutto è diverso e non ho trovato il tempo di rispondere a tutti. Mi hanno chiesto di andare in televisione per raccontare la mia storia, ancora non ho deciso di farlo ma ci sto pensando. La gente può rivedere la gara in televisione, ma penso che raccontarla dal mio punto di vista sia molto importante».
Le Classiche di Primavera sono finite e maggio aprirà la stagione dei grandi giri. Dylan Van Baarle non correrà il Giro d’Italia e lo rivedremo al Tour de France.
«A maggio farò un ritiro con la squadra e poi andrò al Delfinato per preparare il Tour de France. Io voglio esserci e spero di riuscire a conquistarmi un posto».
Quest’anno alla Grande Boucle ci sarà una tappa che in parte riprenderà il percorso della Parigi-Roubaix, transitando su ben undici settori di pavè . Si tratta della frazione numero cinque, che da Lille porta ad Aremberg e Van Baarle potrebbe essere il logico favorito della corsa.
«Saranno importanti le decisioni prese dalla squadra, ma è bello sapere di essere tra i favoriti di una delle tappe più belle del Tour».