Colbrelli, il sogno di primavera

di Giulia De Maio

Non berrà 7.000 caffè come Alex Britti, ma ne beve ab­bastanza da far venire ai più i Brividi di cui canta il suo vicino di casa Blanco con Mahmood. Per sbancare Sanremo Sonny Col­brelli sarebbe disposto a rinunciare alla sua bevanda preferita. Questa è solo una delle cu­riosità che ci ha raccontato il campione d’Europa e d’Italia che ha iniziato il 2022 lo scorso fine settimana con il secondo posto (dietro Van Aert!) alla Om­loop Het Nieuw­s­blad, non lontano da Roubaix, dove pochi mesi fa ha esaudito uno dei sogni che aveva fin da bambino. Un altro di quei sogni ri­guarda proprio la Classicissima, il mo­numento che ha da sempre nel cuore e nella testa. Se quello con l’Inferno del Nord per lui è stato un colpo di fulmine, è riuscito infatti ad andare a segno alla prima partecipazione, il corteggiamento del 31enne bresciano alla Clas­sica di Primavera va avanti da una vita. Da quando sui banchi di scuola non eccelleva e veniva preso in giro dai bulli ma sognava di imitare i professionisti che ammirava in tv al 12° posto ottenuto al debutto nel 2013 «nell’indimenticabile edizione sotto la neve». Sesto un anno più tardi, quindi 18°, 9°, 13°, ancora 9°, 43°, 63° nella inedita e «be­stiale» versione agostana del 2020 e 8° l’anno scorso. Anche se spesso riguarda l’impresa che gli è riuscita sul pavè più iconico al mondo, il Cobra sa che non ha senso restare rivolti verso il passato ma bisogna lavorare sodo nel presente per conquistare ciò che si de­sidera nel futuro. Sperando di riuscirci il prima possibile. Per la precisione, il prossimo 19 marzo.
Quante volte hai rivisto il finale della Roubaix?
«Ho perso il conto. Mi capita ancora spesso, ultimamente riguardare cosa ho fatto mi è servito per riprendere il feeling in vista delle prime corse. Alla sera mentre Tomaso si gusta il suo bi­beron, rivediamo gli ultimi chilometri e quando taglio il traguardo al velodromo Vittoria ormai ripete “papà, hai vin­to la Roubaix”. Le prime volte ve­den­domi per terra e che gridavo i bim­bi pensavano che fossi caduto, ora pe­rò hanno capito che erano urla di gioia e mi riconoscono bene in gruppo. Tra me e Adelina la trattativa su dove ri­porre il trofeo è ancora aperta. Per ora è sul tavolo del salotto, ma continua a ripetermi che dobbiamo trovargli una collocazione adeguata. Sicuramen­te non sarà in giardino, come ipotizzato da lei. È tutt’altro che una semplice pietra».
Sai che di recente ho incontrato gli studenti di un liceo e alla mia domanda: “Chi ha vinto il quartetto olimpico?” dopo Ganna hanno risposto Colbrelli?
«Bella questa (ride di gusto, ndr). Ho ricevuto tanti messaggi di persone che non conosco che si sono avvicinate al ciclismo vedendo la mia gara, mi fa immensamente piacere sapere che giovani e meno giovani che non seguivano il nostro sport si siano appassionati, per me è un riconoscimento im­portante. Ov­via­mente mi ha stupito ricevere i complimenti di tanti politici e finire tra le notizie del telegiornale, ma la cosa più bella è aver trasmesso emozioni».
Tu da piccolo a quali sportivi ti ispiravi?
«Mi è sempre piaciuto il basket, adoravo Michael Jordan. Di recente ho provato un’invidia pazzesca per Tamberi, l’oro olimpico nel salto in alto ai Giochi di To­kyo2020, che ha partecipato al Celebrity Game, evento parte del­l’All-Star Game NBA 2022. A Gian­marco ho scritto “beato te” perché ha vissuto un’esperienza fighissima tra i grandi campioni della pallacanestro, un’avventura indimenticabile per chi ama la palla a spicchi. Ho praticato e seguo il calcio, i miei idoli sono Alessandro Del Piero e Roberto Bag­­gio. Mi fa strano che qualche bambino oggi possa fare riferimento a me, se è così sono onorato e mi impegnerò per essere un esempio positivo».
Da bambino non eri il primo della classe e non avevi ancora il fisico da sportivo, anzi venivi preso in giro per qualche chilo di troppo e gli occhiali da vista che ti in­corniciavano il viso. Cosa ti senti di dire a chi ora si trova nella stessa tua situazione di allora?
«Con i social oggi temo sia ancora più dura essere adolescenti... Il bullismo è una brutta bestia e dobbiamo lavorare per debellarlo. Suggerirei di fare quello che ho fatto io: non smettere mai di credere di poter arrivare dove si vuole. I sogni possono diventare realtà, basta impegnarsi fino in fondo per realizzare ciò che si ha nella testa e non scoraggiarsi davanti a chi prova a sminuirci per farsi grande davanti agli altri. So che non è facile, ma avendo fiducia in se stessi si possono cambiare le cose».
Come stai vivendo la popolarità?
«Mi fa piacere, anche se può essere fa­ticosa. Il mese dopo la Roubaix mi so­no sentito come in un frullatore. Io cerco di essere disponibile con tutti, ma per la prima volta ho dovuto dire qualche no perché fisicamente non po­tevo stare dietro a tutti. Ho fatto quasi più fatica a non mancare alle premiazioni e cerimonie a cui so­no stato invitato, che a vin­cere la corsa. È un prezzo da pagare che sostengo vo­lentieri. Il nostro sport è bello anche per questo: non siamo come gli inarrivabili calciatori. I tifosi possono vederci da vicino, strapparci facilmente un autografo o una stretta di mano, siamo all’aperto, disponibili».
E Sonny ci sembra sempre lo stesso.
«È quello di prima, anche se un po’ gli è cambiata la vita. La gente mi vede diverso. Ho amici che prima mi scrivevano ogni giorno e ora aspettano prima di mandarmi un messaggino pensando di disturbarmi, ma non è così e non do­vrebbero farsi scrupoli, anche se effettivamente il mio telefono continua a suonare. In questo senso mi hanno aiutato e continuano ad aiutarmi molto Simona Mazzoleni, addetta stampa del team Bahrain Victorious, e il mio procuratore Luca Mazzanti. In più mi so­no affidato ad un’agenzia specializzata per valorizzare la mia immagine e valutare le tante richieste di sponsorizzazione che ho ricevuto».
Che regalo ti sei concesso?
«Un Rolex perché sono appassionato di orologi, una mania di tanti ciclisti, abituati fin da subito a guardare i tempi. Da dilettante mi ero promesso di comprarmi un orologio alla prima vittoria da prof e così ho fatto. Era il 2014 e anche allora mi comprai un Ro­lex. In futuro cercheremo di allargare la collezione... Inoltre mi sono riservato delle giornate per pedalare con ami­ci e tifosi. Quando ci fermiamo al bar in molti, senza sapere cosa ordino io, si rivolgono al barista e dicono: “Lo stesso di Colbrelli”. In estate capita loro un bicchierone di acqua e menta, in in­verno un cappuccino d’orzo e soia. Per ridere sono stati ribattezzati “la kriptonite del campione”».
La mental coach Paola Pagani ti ha da­to dei suggerimenti per abituarti al­la nuova dimensione in cui la Roubaix ti ha catapultato?
«Sì, le sue competenze mi so­no utili più adesso che mai, infatti ci sentiamo spesso. Non bisogna mai commettere l’errore di sentirsi arrivati, ci sono sempre cose nuove da scoprire dentro e fuori di noi. È ora che nella testa si affollano pensieri del tipo: potrò ri­confermarmi a quei livelli? Sarò competitivo come mi aspetto? Riuscirò a non deludere le aspettative? Non devo mettermi addosso pressioni inutili. Negli ultimi due anni mi ha aiutato a superare gli ostacoli mentali che avevo ma non vedevo. Forse non è un caso che la svolta nel mio 2021 ci sia stata quando ho vinto il campionato italiano: li ho cominciato a credere di più nei miei mezzi, mi sono reso conto di poter vincere anche da lontano, senza aspettare la volata».
A livello di preparazione hai cambiato qualcosa?
«Stravolgere tutto dopo un’annata così buona sarebbe stato da pazzi. L’unica cosa è che mi sono presentato al via della stagione un po’ più magro. Ci ho dato dentro fin da subito con la bici e ho resistito a qualche pizza. Ho dovuto saltare un ritiro di 10 giorni con la squadra perché ero stato a contatto con un familiare risultato positivo al Covid, ma nel complesso sono stato via da casa parecchio per allenarmi al cal­do e sono riuscito a pedalare al me­glio, soprattutto in altura a Tenerife, in cima al vulcano Teide a 2200 metri».
Nelson Mandela disse che lo “sport ha il potere di cambiare il mondo”. Sei d’accordo?
«Sì, il mio mondo di certo lo ha cambiato. Il ciclismo mi ha insegnato tanto: a rispettare gli altri, a comportarmi bene con tutti, mi ha donato tanti amici. Mi ha fatto capire che lo spirito di squadra conta più di una vittoria: oggi tocca a me, domani a un mio compagno e se io darò il 110% per lui, so che farà altrettanto alla prossima occasione. Se non fossi diventato ciclista, probabilmente sarei rimasto a lavorare in fabbrica, quella sì che è una vita dura. Anche se giocavo a calcio e sciavo, fin da piccolo ho sempre avuto in mente questa professione».
Berrettini che è 6° nel ranking mondiale del tennis è stato super ospite al Festival di Sanremo, tu hai chiuso il 2021 come 6° ciclista al mondo. Come mai non ti ab­biamo visto all’Ariston?
«Non sono stato invitato, mi sarebbe piaciuto, non è una cosa che capita tutti i giorni. So che in passato c’era andato Vincenzo (Nibali nel 2015 dopo aver vinto il Tour de France 2014, ndr), questa volta mi ha fatto piacere che sia andata Elisa Balsamo, a riprova che il ciclismo femminile sta crescendo molto».
In Italia il cislimo è ancora uno sport di Serie B, secondo te?
«Beh, il calcio e il tennis sono più valorizzati. L’anno scorso come ospite sportivo c’era stato Ibra­hi­mo­vic, quest’anno Ber­ret­tini. Il ciclismo non sarà amato da tutti ma ha comunque tanto se­guito. Nel periodo della pandemia in tanti si sono avvicinati alla bicicletta. An­dando avanti spero di vedere che La Gazzetta dello Sport ci dedichi 2-3 pagine invece che solo una mezza pagina, per dare più importanza a tutto il movimento. Abbiamo corse che ci invidiano nel mondo, campionesse di tutto ri­spetto e il settore giovanile da far rifiorire».
Restiamo a Sanremo, qual era la tua canzone preferita?
«Quella che ha vinto, al primo ascolto ho pensato che meritasse il primo po­sto. Blanco lo ricordo come calciatore della Feralpi Salò, è cresciuto a pochi chilometri da dove vivo io (il cantante a Calvagese della Riviera, Colbrelli a Casto, ndr). L’ho visto giocare un paio di partite e poi sui quotidiani di Bre­scia, qualche pagina prima di dove scrivevano di me. Incredibile come la vita possa stravolgersi in poco tempo».
Tu sai suonare qualche strumento?
«No, al massimo la pianola di mio fi­glio che ha già delle melodie preimpostate (ride, ndr). A Sanremo ci posso arrivare in bici, non di certo per meriti musicali. Ascolto un po’ di tutto, non ho un genere preferito, vado dalla commerciale ai classici italiani. Vasco è il top. Di tempo libero ne ho sempre me­no, cerco di trascorrerlo con i miei fi­gli, con la famiglia e gli amici. Stare lon­tano da casa 2-3 mesi per lavoro è il sacrificio più grande di questo fantastico lavoro».
C’è un altro bresciano che va forte: il campione olimpico dei 100 metri e della 4x100 Marcell Jacobs. Cosa mangiate da quelle parti?
«Il piatto tipico è lo spiedo bresciano, ma è talmente buono che bisogna stare attenti perché a esagerare si rischia di ingrassare, soprattutto per una buona forchetta come il sottoscritto. Ammiro Marcell per i due ori che si è messo al collo a Tokyo e per essere ripartito con il piede giusto dal meeting di Berlino. Speriamo di imitarlo. Ci sentiamo via social e ci siamo visti a varie premiazioni».
Cos’ha di speciale la Classicissima?
«È la prima delle classiche monumento della stagione, la più lunga di tutte, si corre in Italia, ha un palmares di tutto rispetto, è imprevedibile e aperta a più soluzioni. Per me rappresenta un so­gno e il mio primo grande obiettivo di quest’anno. L’ho sempre seguita, ricordo quelle vinte da Pozzato, Pe­tacchi, Freire. Delle partecipazioni passate non potrò mai dimenticare la neve del 2013 e quando nel 2014 in maglia Bar­diani CSF ho attaccato sotto il Poggio e sono stato ri­preso a 1 km e mezzo dal traguardo, quando mi sono piazzato sesto in volata. A posteriori avrei potuto restare in gruppo e allo sprint ottenere un podio che a 24 anni non sa­rebbe stato niente male, ma è meglio pensare che è stata una utile esperienza. L’edi­zione in cui ho sofferto di più è quella dell’8 agosto di due anni fa che ha vinto Van Aert. Soffro il caldo e quel giorno fu bestiale spararsi 300 km nell’afa».
Il finale da incubo?
«Se arriviamo tutti in volata. Il ritorno del Turchino nel percorso può essere un vantaggio: fatto a buona andatura, può lasciare strascichi. Per me l’ideale sarebbe trovarmi nel finale con 5-6 ri­vali a giocare le mie carte. Anche se tra loro ci fossero Peter Sagan, il campione del mondo Julian Alaphilippe, Ma­thieu Van der Poel, che avrà problemi a un ginocchio ma ha una classe im­men­sa quindi non lo sottovaluto, Wout Van Aert o il veloce Caleb Ewan fino alla linea del traguardo non si può mai sapere. Dopo 6 ore e mezza si è tutti stanchi morti, le forze sono livellate e non si può prevedere chi avrà salvato più energie. Alla Roubaix sembrava scontato che vincesse Van der Poel e invece quasi quasi la spunta Ver­meersch che non veniva calcolato da nessuno».
Il Covid non fa più paura come un paio di anni fa, ma rischia di essere un avversario che può sparigliare le carte all’ultimo. È una preoccupazione?
«Sì. Cerco di stare attento, prendendo tutte le precauzioni del caso, di non pensarci troppo, convinto che siamo tutti sulla stessa barca. Spero di non inciampare come sta succedendo a tanti, è vero che con i vaccini non è più così pericoloso ma questo virus continua ad essere nell’aria e se ti colpisce rischi di mandare all’aria mesi di preparazione».
Concludiamo con un fioretto. Per vincere la Milano-Sanremo Sonny Colbrelli è disposto a...
«Smettere di bere il caffè o almeno li­mitarmi. Sono un fanatico dell’espresso, ne bevo una valanga. Sarebbe un bel fioretto per il mio fisico. Diciamo che dai 10 che bevevo abitualmente, mi sto “allenando” a berne meno e nell’ultimo periodo sono arrivato a 4-5, ma per la Sanremo sono disposto a limitarmi a uno al giorno».

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