Il Giro che verrà
di Gian Paolo Porreca
E di questi tempi si accende più febbrilmente, prima che tramonti l’ora legale, la corsa a conoscere in anticipo il percorso del Giro d’Italia che verrà. Fra sussurri e ufficialità istituzionali, fra rumors, si dice così? invece di chiamarle comediocomanda indiscrezioni, e dichiarazioni tronfie di assessori, quelli sì che si chiameranno sempre così, per un mandato o giù di lì.
E di questi giorni, allora, dalle parti nostre, in Campania, dove l’ora solare resta più tenace dell’ora legale e della sua scadenza, oggi che è acclarato l’arrivo di una frazione del Giro a Potenza, venerdì 13 maggio, salendo da un Sud più estremo, eccoci a chiederci e a proporre un arrivo in Campania che sia della Campania, e del suo certo molto relativo affetto per il ciclismo, degno.
Il Giro scorso il traguardo fu a Guardia Sanframondi, provincia di Benevento, tempio del vino, Falanghina ottimale per l’inatteso francese Victor Lafay, senza esigenza affatto di centellinare un Bordeaux. Ma dal Giro che verrà, sfioriamo l’impopolarità, vorremmo di più.
Auspichiamo francamente, da Mauro Vegni, che non sentiamo da troppo, un approdo simbolo. E non occasionale, al mozzo di proposte doviziose. Il Giro del 2022 ce lo aspettiamo in Campania nella chiave di lettura di un riferimento forte, che sia del ciclismo in proprio o della civiltà in corso. E così, sbaglieremo puntualmente l’assist, di fronte al trionfo ubiquitario del ciclismo su pista italiano, dalle Olimpiadi di Tokyo ai Mondiali di Roubaix, perché non investire meritoriamente su un arrivo in pista? Poniamo, all’antico «Albricci», l’«Arenaccia» popolare di Napoli, o al moderno impianto «Capone» di Marcianise?
Da quanti anni, fra l’altro, il Giro d’Italia non saluta un arrivo di giornata in pista? Non sarebbe, di grazia, il tempo di ripopolarli di spettatori, complice il Giro, gli spalti dei velodromi? Ci sia Ganna, o non ci sia, ci sarà almeno Viviani...
E se così non fosse, evitando cortesemente l’hinterland partenopeo schiacciato dal traffico e dal suo doloroso luogo comune, affacciamoci con il Giro del 2022 al diritto/dovere di una storia condivisa.
Già, perché non eleggere un arrivo a Monte di Procida, su quello sperone incantevole a strapiombo che guarda ad un palmo, una striscia placata di mare, Procida, l’isola prescelta come Capitale della Cultura italiana per il 2022? Cultura e ciclismo? Mica siete spocchiosi, il/letterati dall’altra parte del mare?
Monte di Procida, mica a caso, due volte non a caso, quella roccia di cuore, lo zenit dei Campi Flegrei, da dove il Giro salpò nel 1977. Oh, yes, 35 anni fa, nel mezzo del cammin di nostra vita... Una crono di apertura indimenticabile, c’era scirocco quel giorno, primo Freddy Maertens, davanti a Moser e a Knudsen, a De Muynck e a Baronchelli.
Monte di Procida, non a caso, per il Giro che verrà, come fosse quello già venuto. Il quartiertappa in un ristorante che si chiamava «Romantica». E non una crono ci figuriamo stavolta, ma un garbato traguardo in media salita, con il mare e Procida, salendo da Bacoli, sulla sinistra: ci fosse ancora Maertens, in maglia iridata allora, vincerebbe lui senza alcun dubbio.
In volata dunque a Marcianise, o in solitudine a Monte di Procida, ma non dateci ad ogni modo e non diteci altro. E niente di più debole, di minore per l’amore. In nome di un ciclismo maggiore che in Campania invoca da anni un segno forte, il suo ritorno ad un meditato ruolo classico. E non un effimero transito, in fuga dalla vittoria di giornata, per 364 altri giorni l’anno.