di Carlo Malvestio
Non era facile coinvolgere così tanta gente per delle gare a chiusura della stagione, addirittura dopo Il Lombardia, ma Filippo Pozzato e la sua squadra, Jonny Moletta in primis, possono dire di avercela fatta. In pochi giorni abbiamo assistito al gradito ritorno del Giro del Veneto, alla Serenissima Gravel, prima gara gravel europea riservata ai professionisti, alla Granfondo VeneToGo e alla Veneto Classic, che punta ad entrare nel circuito WorldTour nel giro di 2-3 anni, come vuole il regolamento dell’UCI. In una frase: “Ride the Dreamland”, “corri nella terra dei sogni”. A giovarsene sono stati tutto il movimento ciclistico italiano e tutto il Veneto, che ormai aveva perso l’abitudine di avere le grandi classiche sul suo territorio. Pozzato e compagni infatti, dopo il Campionato Italiano del 2020 sono riusciti a coinvolgere buona parte delle province venete e i cittadini hanno risposto presente, facendosi trovare in strada ad applaudire il passaggio dei corridori. Il primo passo è stato fatto, la consapevolezza e le abilità crescono, e Pozzato non ha ovviamente intenzione di fermarsi qui, anche se non lo vedremo sull’ammiraglia azzurra come per un breve periodo si era pensato.
Pippo, il bilancio di questo primo “Ride the Dreamland”?
«Sono contento sicuramente, ma c’è sempre da migliorare. Qualche lacuna c’è stata, devo ammetterlo, anche se sono cose che da fuori non si vedono e dovute per lo più all’inesperienza di una squadra giovane. Sono piccole cose operative, alle quali metteremo mano. Sono un perfezionista e la speranza è quella di arrivare ad avere un evento perfetto».
Il pubblico come ha risposto?
«Ha risposto alla grande, lungo le strade c’era veramente tanta gente e questa è una delle cose più belle. In tanti ci hanno scritto per ringraziarci di aver riportato il grande ciclismo in Veneto, e anche i miei collaboratori, che sono quelli che veramente si fanno il mazzo fino a notte inoltrata, hanno ricevuto tanti complimenti e la cosa mi fa davvero piacere».
E gli atleti?
«Corridori e direttori sportivi mi hanno chiamato per compiacersi dell’organizzazione e questa forse è la cosa più importante perché sono loro, in fin dei conti, a trainare il movimento ciclistico. Se poi ci metti una bella cornice di pubblico, direi che non possiamo lamentarci. La ciliegina per il prossimo anno sarebbe il cambio data...».
A cosa stai pensando?
«Abbiamo avuto un buon richiamo di pubblico nonostante la stagione fosse ormai finita, ma posizionare l’evento in una fase più calda della stagione potrebbe creare ancor più spettacolo. Dopo Il Lombardia in tanti tirano comprensibilmente i remi in barca e per questo devo ringraziare tutti i corridori che sono venuti e non si sono risparmiati, dando vita a delle gare veramente entusiasmanti. La mia idea è quella di portare l’evento nella prima settimana di settembre, durante la Vuelta a España, così che chi non è in Spagna possa prepararsi per il Mondiale alle nostre corse. Marzo e aprile sono già pieni e andresti a scontrarti con le grandi classiche. Le terrei dopo il Lombardia solamente se venissero riconosciute come appuntamenti prestigiosi di fine stagione».
Avete intenzione di riproporre tutti gli eventi ravvicinati?
«Stiamo riflettendo, con l’AC Padovani, che organizza la Granfondo di Padova, si pensava magari di spostare il Giro del Veneto la domenica con la Granfondo il sabato, ma è tutto in divenire. Dovremo vedere le opportunità che ci verranno presentate. Tenere tutto insieme sarebbe la cosa migliore per una serie di motivi: canalizzerebbe l’attenzione di tutti sul Veneto per una settimana, gli amatori si mischierebbero ai professionisti creando una bella atmosfera, turisticamente qualcuno potrebbe decidere di farsi 5-6 giorni in giro per la Regione seguendo le gare, e i singoli eventi acquisiscono maggiore importanza. Scorporandoli credo che verrebbe a perdersi quell’attesa e attenzione sull’evento».
Come mai puntare soprattutto sulla Veneto Classic e non su una corsa di grande tradizione come il Giro del Veneto?
«La Veneto Classic è un’idea mia, la ritengo una mia creatura, perché avevo e ho la voglia di portare qualcosa di nuovo e prestigioso nella mia terra. La Regione, poi, mi ha chiesto di prendere in mano anche il Giro del Veneto; ho accettato volentieri, chiedendo di coinvolgere anche gli amici della Sc Padovani che da sempre organizzavano il Giro del Veneto e ai quali non volevo assolutamente fare un torto».
In ogni caso sono venute fuori due belle gare, incerte fino all’ultimo.
«La mia idea partiva proprio da quello: abbiamo un territorio fantastico, a mio parere uno dei più belli d’Italia, ma non siamo in grado di venderlo bene. Con questa settimana di eventi abbiamo attraversato alcuni dei luoghi più belli della Regione e tutti ce l’hanno riconosciuto. Poi non scopro di certo io che sono luoghi ideali per andare in bicicletta e credo che abbiamo disegnato dei bei percorsi, con gare aperte fino alla fine che hanno appassionato anche i tifosi davanti alla TV».
E l’innovativa Serenissima Gravel invece come è stata accolta?
«I partner tecnici e costruttori di biciclette erano tutti entusiasti dell’evento. La prova gravel ce l’avevamo in testa da un po’ di tempo, poi Jonny Moletta ha spinto per aprirla ai professionisti. Io, sinceramente, sono un po’ scettico e non ho ancora capito se possa avere futuro. Il Veneto è senz’altro pieno di percorsi per il gravel, ma chi lo pratica è un utente diverso da quello che guarda le gare o fa le granfondo. Al momento c’è molto entusiasmo attorno alla gara, ma voglio vedere se può avere realmente margine di crescita».
I corridori sembrano averla apprezzata.
«I corridori si sono divertiti. Messa a fine stagione era ideale perché potessero godersela appieno e l’hanno fatto. I miei dubbi riguardano più il pubblico: interessa veramente una gara così? Per questo vorrei unire a questa competizione anche una Granfondo gravel, coinvolgendo gli amatori. Credo che sarebbe la scelta ideale per spingere al meglio questo settore».
Visti i percorsi attraversati, quanto è stato difficile organizzare una gara come la Serenissima Gravel?
«Non nascondo che per questa gara ho perso notti di sonno, organizzarla è stata un bel casino, perché si passava in piste ciclabili sterrate in cui, fino a qualche settimana fa, era difficile pensare ci potesse transitare una gara di professionisti. Monitorare tutto il percorso è stato molto complicato. Le altre gare, in termini di organizzazione, in confronto sono state una passeggiata. E anche questo è un elemento che andrà considerato per il futuro».
Capitolo Commissario Tecnico, eri in ballottaggio ma…
«Non mi sono tirato indietro. Avevo parlato con Cordiano Dagnoni che mi aveva presentato una serie di elementi su cui avevo espresso la mia opinione, dando massima disponibilità. Dopodiché non mi hanno detto più nulla. L’ho sentito recentemente, ma per altre cose. I vertici federali hanno fatto una scelta diversa e per me non è assolutamente un problema».
Daniele Bennati è una buona scelta?
«Non sta a me giudicare, ma credo che Bennati sia sicuramente meno scomodo di me...».
Credi di avere una personalità troppo ingombrante?
«Ho la mia personalità e i miei modi, mi piace lavorare alla mia maniera, spesso magari sbagliando, ma ci tengo a portare avanti un mio percorso. L’idea di diventare CT non mi era mai passata per la mente, poi Dagnoni mi aveva chiamato e ho cominciato a pensarci, ma si vede che non era convinto».
Ti vedresti come direttore sportivo?
«Non mi vedo in ammiraglia, però fare il CT è diverso, è più istituzionale. Il mio obiettivo resta fare qualcosa di bello e concreto per il ciclismo, far crescere questo sport stupendo e coinvolgere sempre più persone, compresi i bambini».
Hai altri progetti in mente?
«Mi piacerebbe fare qualcosa anche per il mondo femminile, che sta crescendo e secondo me ha bisogno di ancor più visibilità. Ma al momento sono solo idee, vediamo se ci sarà modo di concretizzarle. Per ora sono riuscito a dare forma ai vari progetti che avevo in mente e credo che, con la grande squadra che ho dietro, possiamo spingerci ancora oltre».