di Francesca Monzone
I sorrisi e gli abbracci tra collaboratori e amici che lo hanno sempre sostenuto, hanno scandito i primi momenti di Cordiano Dagnoni, subito dopo l’elezione alla carica di presidente della FCI. La sua avventura è iniziata così il 21 febbraio, dopo 16 anni di presidenza di Renato Di Rocco: Dagnoni si è tolto la cravatta, dando il via al suo mandato con un gesto simbolico. Sorrisi ma anche occhi lucidi per il dirigente lombardo, con lo sguardo rivolto al cielo nel ricordare l’amico Mauro Valentini, figlio di Mario responsabile del settore paralimpico, scomparso la sera prima delle elezioni dopo una lunga malattia. Imprenditore, dirigente sportivo e un passato da pistard, Dagnoni come pilota di derny ha conquistato dieci titoli italiani e tre europei. Questo è il profilo del cinquantaseienne dirigente che per i prossimi quattro anni sarà al timone della Federazione Ciclistica Italia.
Questo per lei un sogno che si è realizzato?
«Più che un sogno, questa è la realizzazione di un lungo lavoro fatto con tanta umiltà e pazienza partendo dalla base, dove ho toccato tutti i settori, perché io sono stato atleta, tecnico, organizzatore e pilota di derny, ruolo al quale adesso dovrò rinunciare. Anche all’interno del comitato regionale lombardo ho fatto tutti i passaggi, da tecnico della pista a consigliere, poi a vicepresidente fino a fare il presidente di una regione faro per il nostro movimento. So che potrò contare in consiglio federale su dei collaboratori preziosi, cercheremo insieme le persone giuste per le varie commissioni. Mio padre Mario mi ha sempre insegnato un motto: “delega tutto tranne il controllo”. Penso che questo sarà ciò che farò, cercando collaboratori competenti che vogliano fare il bene al ciclismo».
Per lei oggi è un giorno di gioia, nel quale purtroppo c‘è anche del dolore.
«Nel nostro Consiglio Federale ci sarà anche un elemento in più, Mauro Valentini, appena volato in cielo. Da lassù sarà il mio consigliere speciale ed è a lui che voglio dedicare un pensiero con il cuore».
Che rapporto aveva con Mauro?
«Mauro era una persona speciale, era quello che tirava su il morale a tutti e anche negli ultimi giorni, nonostante la malattia, riusciva ad essere sempre il ragazzo spiritoso e vivace di sempre. Mi ha dato grandi emozioni e mi piace pensare che sia stato il destino a scegliere che lui volasse in cielo la sera prima della mia elezione, quasi a voler dire: da quì ti proteggo io».
Appena salito sul palco si è tolto la cravatta e ha detto: “adesso è ora di lavorare”. Come sarà la sua Federazione?
«La campagna elettorale che ha portato alla mia nomina è stata durissima, intensa e faticosa. Il lavoro impegnativo dovrà ancora iniziare e ho voluto togliere la cravatta, ripetendo lo stesso gesto che feci quando fui eletto presidente del Comitato Regionale della Lombardia. Un gesto che era piaciuto e che ha portato bene e che in questo contesto mi è sembrato opportuno ripetere».
Lei in queste elezioni ha ottenuto dei consensi importanti, superando una donna, Daniela Isetti, vicepresidente vicario uscente e un ex campione oggi opinionista come Silvio Martinello. A suo avviso cosa ha avuto in più dei suoi avversari?
«Credo che non esista una strategia particolare, ma che con il tempo siano emersi i valori veri e le competenze, nonché le esperienze personali. Penso che per ricoprire un ruolo come questo, bisognava aver affrontato una campagna elettorale con serietà e sobrietà senza mai andare fuori dalle righe o farsi indispettire dagli attacchi e naturalmente avere delle competenze personali importanti, supportate da esperienze concrete. Devo dire grazie a tante persone che hanno lavorato con me a questo progetto, pensato per arrivare alla presidenza senza preoccuparci di andare “contro” qualcuno».
In questa sua presidenza vuole coinvolgere il presidente uscente di Rocco e i suoi avversari, Martinello e Isetti?
«Per adesso non voglio pensare a possibili squadre perché devo confrontarmi con un consiglio appena nato. Sono sempre stato abituato a coinvolgere tutti, se si analizzano i verbali del mio precedente incarico è possibile vedere come tutte le decisioni siano state prese all’unanimità».
Durante la campagna elettorale ci sono state delle polemiche riguardo le sue dichiarazioni sul ruolo delle donne nel ciclismo. Può chiarirci la sua posizione a riguardo?
«Penso che ci siano stati degli errori nella scelta dei titoli, facendo nascere dei fraintendimenti, perché se poi andiamo a leggere, le mie parole erano diverse. Ci sono tre punti importanti per quanto riguarda le donne. Prima di tutto le donne non hanno bisogno delle quote rosa, perché hanno ottime capacità imprenditoriali. Le nostre ragazze vanno valorizzate dal punto di vista mediatico, perché abbiamo delle ottime atlete che sono forti e sono anche molto belle. Per tanto se dal punto di vista mediatico ci viene chiesta la presenza di atlete brave e belle, noi senza ombra di dubbio le abbiamo. Infine, quando ho detto che una candidata aveva chiesto del tempo per decidere se accettare o meno la mia proposta perché voleva confrontarsi a casa, penso che sia normale per chiunque, uomini e donne, discutere in famiglia se assumersi compiti così importanti. Quindi voglio ripeterlo per evitare ulteriori fraintendimenti: non c’è nessuna preclusione nei confronti delle donne e personalmente posso dire di aver avuto, nel corso degli anni, delle collaboratrici molto valide, alle quali ho affidato compiti di responsabilità».
Che cosa cambierà nel ciclismo italiano dopo la sua elezione?
«Non ci sarà nessun stravolgimento radicale. Io non sono uno che lancia i polli per aria per rimetterli poi in ordine. Se ci sono delle cose buone, io tendo a mantenerle e a continuare con quella squadra. Più che altro andremo ad intervenire in quei settori dove ci sono delle carenze. La mia idea è quella di seguire un po’ la legge di Darwin, ovvero che non vince il più forte, ma chi si adatta più velocemente al cambiamento e noi dobbiamo essere pronti a recepire quello che ci viene chiesto».
A quale settore del ciclismo darà più spazio?
«La pista è il mio mondo e in quel settore non vorrei entrare. Darò più spazio sicuramente al fuoristrada, perché il 56% dei tesserati viene da questo settore ed è una grandissima risorsa, anche per quanto riguarda la promozione del ciclismo femminile. Se devo fare un discorso da padre, basandomi sulla sicurezza, per mio figlio sceglierei i prati e i boschi del fuoristrada piuttosto che i pericoli della strada. Poi darò risalto al paraciclismo, che non è solo la handbike: vorrei dare spazio a tutte le altre specialità che abbiamo nel paraciclismo. Per questo ho proposto nel mio consiglio anche un paratleta, per valorizzare questa disciplina che troppo spesso viene vista come di serie B».
Per quanto riguarda il settore tecnico fino a Tokyo nessun ruolo verrà cambiato. Dopo cosa succederà?
«Abbiamo l’opportunità di valutare tutto con molta calma, per capire chi abbia davvero intenzione di collaborare con la nazionale. Parlo di persone che adesso potrebbero essere impegnate con team o ruoli di alto livello. Davide Cassani c’è e ci sarà sempre, perché è una risorsa insostituibile anche a livello di promozione del ciclismo. Probabilmente ha sfruttato anche l’esperienza che ha maturato come commentatore televisivo, riuscendo in questo modo a rapportarsi con chiunque in un modo incredibile. Penso che Cassani sia per noi una risorsa di cui non possiamo fare a meno».
Quanto questa nuova Federazione punterà sulla comunicazione?
«La comunicazione e i media rientrano in uno di quei punti che voglio migliorare. Sappiamo che i social media hanno un’importanza notevole e quindi dobbiamo pensare a tutti i possibili follower, per aumentare la nostra visibilità e dare la maggiore diffusione possibile al nostro brand».
Lei è lombardo e la Federciclismo si trova a Roma: pensa di trasferirsi nella capitale?
«Nella storia della Federazione il presidente è sempre stato lombardo, Di Rocco e Carlesso sono stati un’eccezione. Io onestamente non ho mai visto un presidente di federazione trasferirsi e prendere una casa a Roma. Penso che sia più importante trovare la squadra giusta e delegare, per gestire nel migliore dei modi anche a distanza».
La Federciclismo è un’azienda con 100 dipendenti: ha già pensato a come gestirla?
«Nella mia esperienza lavorativa ho sempre cercato di trarre il meglio da tutti. Il mio intento è quello di incontrare tutti i dipendenti, uno a uno e capire se la mansione che hanno è adatta alle loro capacità e caratteristiche. Voglio un gruppo coeso, che sia stimolato nel modo giusto e possa avere gratificazioni dal proprio lavoro».
Qual è stato il suo primo pensiero subito dopo il risultato delle elezioni?
«Ho pensato che c’è un grande lavoro da fare, per fortuna so che non sarò solo».
Si parla molto di sicurezza in bici: come intende affrontare questo argomento?
«La sicurezza è un tema grande. Siamo convinti di dover lavorare sull’impiantistica e incentivare le amministrazioni locali a costruire strutture per praticare ciclismo in sicurezza, comprese le piste per il fuoristrada, da far utilizzare anche agli atleti professionisti. È importante che ragazzi e genitori possano essere tranquilli. Guardiamo per esempio la Gran Bretagna, che ha deciso di investire nei velodromi, facendo uscire crescere dei campioni che poi hanno iniziato a vincere su strada. Sono tanti i corridori britannici che hanno cominciato a correre in pista per passare poi alla strada, dove hanno continuato ad ottenere risultati importanti».
Punterà quindi sul velodromo di Spresiano?
«Spresiano è già avviato, ma sarà un impianto che avrà senso se intorno verranno costruite attività commerciali, sinergiche all’attività sportiva, come una foresteria e un centro di medicina dello sport e fisioterapia».
Quasi tutto il ciclismo che conta si trova nel Centro-Nord: ci sono dei progetti anche per il Sud del Paese?
«Tra i nostri progetti c’è quello di creare dei tecnici regionali pagati dalla Federazione ma a disposizione dei Comitati Regionali, per fare un’operazione di reclutamento, che andrebbe ad elevare il livello qualitativo, un’operazione che entri nel progetto dell’Academy che ho condiviso con il sindaco di Montichiari. Se questo progetto dovesse funzionare, allora ci saranno le possibilità di replicarlo anche nel Centro-Sud. Questi progetti potrebbero anche essere usati durante l’estate quando le scuole sono chiuse e c’è bisogno di punti di riferimento per i ragazzi».
A candidarsi c’era anche Fabio Perego. Cosa è successo tra voi?
«Lui mi aveva detto che si sarebbe candidato contro di me, e dissi che avrei accettato sportivamente sia la sfida che il risultato finale. L’ha sfida io l’ho accettata, spero che adesso accetti lui il verdetto finale».
Favorita tra i sondaggi c’era Daniela Isetti, uscita al primo turno. Che tipo di avversaria è stata?
«È stata un’avversaria che ha dimostrato sempre grande competenza, in particolare negli aspetti relazionali. L’esperienza maturata in questi anni di lavoro in Cnsiglio Federale sicuramente le è servita molto. È sempre stata molto pacata, anche di fronte alle sollecitazioni che le venivano fatte per cercare di disturbarla, in questo lei ha sempre mantenuto uno stile impeccabile. Veramente una grande persona».
Lei nel suo programma ha sempre parlato di un approccio più manageriale nella gestione della Federazione. Porterà avanti questa modalità?
«Sicuramente. Spesso ho sentito dire che avrei voluto trasformare la Federazione in una azienda, ma in reatà io voglio creare efficienza e dei risultati sia in termini di partecipazione che di visibilità, sfruttando al meglio le risorse che abbiamo».
Ci sono dei comitati regionali, come il Veneto e la Toscana e Lombardia, che si erano schierati apertamente a favore di altri candidati. Come pensa di ripartire in queste regioni?
«Anche io, quando stavo in regione, ho avuto delle provincie che in modo diretto hanno detto che non mi avrebbero appoggiato. Durante il mio quadriennio non le ho ignorate, ma al contrario ho avuto molta attenzione nei loro riguardi e questo poi mi è stato riconosciuto. Penso che anche adesso possa essere valido lo stesso discorso: il mio intento è quello di ricompattare le regioni per ricompattare il movimento».
Abbiamo sicuramente una Federazione a maggioranza lombarda e questo può far sorgere delle preoccupazioni nel movimento. C’è veramente bisogno di preoccuparsi?
«Assolutamente no. È vero c’è una maggioranza nordista e in particolare lombarda, ma voglio chiarire, che non ci occuperemo solo del Nord. Sarò io stesso a stimolare tutti per dedicarsi a quelle regioni che hanno maggior bisogno di aiuto. Noi dobbiamo dimostrare di saper fare il bene del ciclismo di tutta Italia».