Gatti & Misfatti
Crespi, Argentin e il virus Ecclestone
di Cristiano Gatti

Col gusto tutto italiano, diciamo pure levantino, dell’intrigo di corridoio, anche nel ciclismo si agitano insidiose correnti sotterranee. Come sempre, tutti sanno, tutti ne parlano, però guai a chi ne riferisce. È esattamente per questo che mi accingo a riferire.

Non voglio seviziare la gente con noiose e dettagliate ricostruzioni, spero basti sommariamente definire la sostanza della questione. Di fatto, si sta verificando un preoccupante caso di contagio: il ciclismo italiano, o la sua parte più fantasiosa, è assalita dal virus di Ecclestone, che non è il biondo scopritore della misteriosa malattia, ma il monarca assoluto e incontrastato della Formula Uno. Davanti al business multimiliardario e fantasmagorico dei motori, alcune anime belle della bicicletta si sono sedute un giorno attorno al tavolo e si sono praticamente dette: basta, anche il ciclismo deve diventare un affare, se non per tutti almeno per noi. Lavorando di cranio, i nuovi strateghi hanno subito individuato anche la prima zona in cui affondare il bisturi: i rapporti con gli organizzatori delle corse e con la televisione.

Il ragionamento, da un punto di vista puramente logico, sta in piedi: siccome noi gruppi sportivi paghiamo (molto) i corridori, non si capisce perché i guadagni dei diritti televisivi e della pubblicità debbano finire nelle tasche di chi organizza la corsa. Sarebbe come se in una stagione teatrale tutti i soldi degli incassi finissero nelle tasche degli enti, senza che questi si premurino di scritturare gli autori con ingaggi allettanti. Da qui, tutto un florilegio di idee: la lega dei gruppi sportivi che si organizza le corse in proprio; la stessa lega che va dalle televisioni a picchiare i pugni sul tavolo per farsi pagare salato il diritto di riprendere lo spettacolo; la stessa lega che fa pagare biglietti d’ingresso al pubblico; la stessa lega che raccoglie direttamente e incamera il denaro fresco degli spot e degli striscioni pubblicitari. Come si vede, ci aspetta un futuro di macerie (perché si tratta di far saltare col tritolo i tradizionali meccanismi e gli storici equilibri del sistema), ma anche (dicono loro) di prosperità, perché finalmente il vecchio ciclismo scende dalla pianta e fa fruttare le sue potenzialità. Viva l’Italia e viva la repubblica.

Al nuovo, alle idee, allo sviluppo non si deve mai dire no. Mi viene in mente la gestione pubblicitaria del Giro d’Italia, che nelle mani Rai fruttava un pugno di riso, poi in quelle della Fininvest è lievitata alla piena dignità di affare. Questo per dire che comunque le cose vanno fatte, soprattutto è indispensabile che il settore esca dalla sua compiaciuta gestione cotechina per passare a quella più aggiornata di un vero e proprio comparto economico. C’è molto da eccepire, invece, sul metodo scelto: con accordi sottoscritti nero su bianco (solo Gianluigi Stanga, uno che ha sempre preferito usare la testa sua, si è chiamato fuori), i gruppi sportivi hanno incaricato Alvaro Crespi e Moreno Argentin di inoltrare la dichiarazione di guerra. Basta, adesso si cambia, adesso facciamo noi.

Facciano loro, e come no. La fantasia non manca. Di fronte all’ipotesi (cercata) di rottura con gli organizzatori, sono già pronti a scavalcarli. Loro fanno la Milano-Sanremo? Va bene, noi e i nostri corridori faremo la Milano-La Spezia. Con quali mezzi, con quali strutture, con quali uomini, tutto questo ancora non si sa. L’importante è che siano convinti di avere tutti i coltelli dalla parte del manico, la certezza è che sfugga loro un dettaglio per niente marginale: e cioè che una Milano-La Spezia per diventare una Milano-Sanremo (dico a livello di prestigio), ha bisogno di cent’anni, e che proprio per questo una televisione e i relativi sponsor saranno sempre più attirati da una Sanremo che da una Milano-La Spezia.

Ovviamente io e i diffidenti alla Stanga possiamo benissimo sbagliare. Può darsi che fra due o tre anni i gruppi sportivi italiani gestiscano in proprio un colossale giro di miliardi. Può darsi tutto. Può darsi persino che Alvaro Crespi e Moreno Argentin diventino un giorno rispettivamente duca e marchese. Ma adesso, realisticamente, guardando un po’ in giro, a me sembra che sarebbe meglio sedersi al famoso tavolo della trattativa e avanzare una legittima richiesta: cari organizzatori, finora la torta ve la siete spazzolata tutta voi, da domani ne vogliamo una fetta anche noi. E via col resto: con una ripulitura del calendario, con una valorizzazione del Giro d’Italia (altro che mendicare col cappello in mano un posto al Tour), con l’acquisizione di grandi sponsor fissi. Forse non è molto, forse non è tutto quello che vorrebbero i Crespi e gli Argentin: però a me sembra già qualcosa. Anche perché, da quando frequento un po’ il ciclismo, ho sempre sentito parlare di grandi ribaltoni e ho sempre visto cambiare praticamente nulla. Forse l’esempio è banale, ma siamo ancora qui a discutere se il casco debba essere obbligatorio o no. Per la cronaca: Ecclestone non starebbe nemmeno a discutere. Lo farebbe mettere e basta.

Cristiano Gatti, 40anni,
bergamasco, inviato de “Il Giornale”
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