Enzo Ghigo: «Per l'Astana non staremo zitti. Ma ho fiducia»

PROFESSIONISTI | 21/03/2015 | 08:00
È stato un politico di livello, governatore della Regione Piemonte per un decennio, ma non per questo Enzo Ghigo guarda dall’alto in basso il mondo. È un uomo di sport. Un grande appassionato e praticante di ciclismo. Torinese, ma non torinista, visto la sua fede è per le maglie bianconere della Juventus. Classe ’53 è un ex senatore della repubblica. Dirigente del gruppo Publitalia-Fininvest, nel ’93 “scende in campo” con l’allora cavaliere Silvio Berlusconi come promotore di Forza Italia per il Piemonte. Dopo venti anni trascorsi nei palazzi della politica, oggi preferisce una pedalata in compagnia di amici, e con grande passione svolge il ruolo di vice-presidente della Lega Professionisti. Lo incontriamo dopo la Tirreno-Adriatico e con lui facciamo due parole sul ciclismo di ieri e di oggi. Un modo per conoscere meglio un personaggio pubblico che non ama però apparire eccessivamente e, soprattutto, farsi un’idea di quello che il nostro sport dovrà affrontare nei prossimi mesi.

Ghigo, come nasce la sua  passione per il ciclismo?
«Da ragazzino non si faceva altro che parlare di Coppi e Bartali. Mio padre era un coppiano e io mi sono schierato subito dalla parte di papà. Nei primi anni della tivù, negli anni Sessanta, ho iniziato a seguire il Giro d’Italia. Non mi perdevo una tappa e soprattutto facevo in modo di non perdermi  “Il Processo alla Tappa”, con quel fuoriclasse di giornalismo che risponde al nome di Sergio Zavoli, che poi in seguito, ho avuto anche la fortuna di conoscere. Per circa otto anni siamo stati colleghi in senato e appena c’erano situazioni di stallo, non esitavamo a parlare di ciclismo».

Questo per quanto riguarda il ciclismo didattico, ma la pratica quando inizia?
«Sono stati alcuni amici a mettermi in sella. Io non ho mai fatto ciclismo agonistico, solo canottaggio, ma dopo i venti anni ho preso in mano una Bianchi e da allora, non ho più smesso di pedalare. Pensi che un anno, con un mio caro amico, sono arrivato fino a Mont St. Michel: è uno dei ricordi più belli che mi porto nel cuore».

Dopo Coppi, chi sono stati i suoi campioni di riferimento?
«Merckx perché era impossibile non poter ammirare un corridore di quella caratura, ma io soffrivo e speravo in Felice Gimondi. Mi piaceva da pazzi, Felice. Per me è stata un figura immensa. Elvio Chiatellino, grande imprenditore e appassionato di ciclismo, che qualche anno fa seppe anche portare a Pinerolo il Tour de France, sostiene che ogni decennale ha un grande campione. Bene, con questa logica lui ha stilato una personalissima classifica che vede Coppi in cima a tutto, poi in sequenza Anquetil, Merckx, Hinault, Indurain, Armstrong e Contador. Io, in linea di massima sono d’accordo, se non fosse per il texano… ».

Moser o Saronni?
«Io ero per Moser tutta la vita. Mi piaceva il suo modo di interpretare il ciclismo. Sempre all’attacco, a costo anche di perdere».

Bugno o Chiappucci?
«Quando correvano preferivo Chiappucci, adesso che li ho conosciuti entrambi dico Bugno».

Pantani l’ha mai conquistato?
«Tantissimo. Uno dei ricordi più belli che ho è proprio legato a Marco. Con lui e grazie a lui ho vissuto un momento di fortissima esaltazione. Ricordo ancora quando in quel mese di luglio del 1998 Jean-Claude Killy, grandissimo sciatore, che all’epoca collaborava con il CIO e la Aso, invitò me ed Evelina Christillin - che avevamo già incominciato a lavorare al progetto di Torino 2006 -  alla tappa di Les des Alpes. Quel giorno Marco volò sul Galibier e andò a vestire quella maglia gialla che poi portò a Parigi, 33 anni dopo Felice Gimondi. Fu un’emozione che ancora oggi porto nel cuore come uno dei ricordi di sport più belli di sempre. Marco è stato l’essenza del ciclismo: il coraggio, la fantasia, la forza. Con lui le tappe non erano mai banali. Gli sportivi l’avevano imparato, dopo di lui tutto è stato molto più scontato e banale. Mi piace però ricordare solo il Pantani corridore, e un po’ egoisticamente rimuovo tutto il resto».

Chi sono i suoi amici di ciclismo, quelli che frequenta con maggiore assiduità?
«Avevo un rapporto fraterno con il “Cit”, Nino Defilippis. Ogni tanto mi vedo con Messina o Zilioli. In bicicletta vado però solo con i miei amici coetanei. Abbiamo un punto di riferimento in cui ci troviamo: chi c’è c’è».

Oggi si occupa ancora di politica?
«Attivamente no, ma è chiaro che dopo venti anni di frequentazione di quell’ambiente, seguo con attenzione le vicende dell’area moderata del centrodestra e soffro per lo stato di frammentarietà e carenza di proposta politica che si è venuta a creare. Ad oggi la mia posizione è quella di attesa. Non voglio escludere a priori di farmi nuovamente coinvolgere dalla politica, però penso che in futuro farò altro».

Magari il presidente della Federazione?
«No, quello è un ruolo molto ben ricoperto da Renato Di Rocco. Proprio qualche giorno fa mi sono incontrato con Renato per definire meglio i confini e i punti cardini della Lega e della propria autonomia. Tutti gli sport, dal più popolare a quello meno, devono oggi esplorare nuovi territori per trovare nuove risorse e nuove soluzioni per essere più appetibili. Occorre progettualità: noi ci stiamo provando. Ma dobbiamo avere le mani più libere».

Quali sono i punti di autonomia che la Lega deve avere?
«Nel modo più semplice e più esplicito deve essere quello del mondo professionistico. Sulla nazionale, che è il fiore all’occhiello del professionismo, e che è di competenza della Federazione, mi sembra che oggi qualcosa si stia muovendo e in futuro si possa collaborare con maggiore efficacia assieme».

Come vede la situazione dell’Astana, che è tornata “sub-judice”?
«Su questo argomento, per quanto ci è dato sapere, delle grossissime novità non ci sono. C’è da chiedersi perché e per quale specifico motivo strategico la vicenda Astana sia tornata di attualità. Per quanto è in nostro possesso, non ci sono assolutamente elementi nuovi. È un caso che ci lascia non poco perplessi. Noi chiaramente vogliamo difendere un team che non è italiano, ma ha un sacco di corridori italiani, parecchio del personale italiano, e due corridori di assoluto valore come Nibali e Aru che sono patrimonio del ciclismo italiano e non solo».

Però in questa vicenda la Federazione e la Lega non hanno ancora preso una posizione.
«La Federciclismo non l’ha presa per non farsi dire che è faziosa e non cadere nell’equivoco di un team che in ogni caso resta kazako. Per quanto ne so, Renato si sta muovendo politicamente. Noi come Lega lo faremo. Abbiamo deciso di non intervenire sulle ali dell’emotività, ma non appena ci saranno nuovi elementi ci faremo sentire».

Lei sulla vicenda è ottimista?
«Sì, vedo una conclusione positiva».

Uno dei grandi problemi del ciclismo, quindi della Lega, è dato dalle corse minori che faticano a restare in vita. Tanti, troppi gli organizzatori in affanno. Cosa si può fare?
«È un problema che stiamo affrontando. E per questo stiamo mettendo a punto una proposta da sottoporre agli organizzatori, per arrivare ad una soluzione che possa ridurre i costi di produzione, soprattutto in chiave messa in onda in tivù. Per fare questo abbiamo individuato “un service”, che farà capo alla Lega, e che deve garantire la messa in onda con un apporto più proficuo con la Rai. È chiaro che non è un momento facile, ma è necessario fare qualcosa per innovarci e cambiare. Gli organizzatori ci hanno dato un mandato e mi auguro che la proposta che faremo loro entro la fine di aprile possa convincerli ad abbracciare tutti assieme questo progetto. Ad oggi, ognuno pensa di avere in mano qualcosa di unico, ma non è così. Quello che serve è l’unità di intenti. Se restiamo nella logica di guardare solo nel proprio orticello è difficile cambiare qualcosa».

Cosa ne pensa della riforma del ciclismo?
«Al momento è tutto fermo. Tutto si è arenato. Dobbiamo però stare attenti e pronti per dare a nostra volta proposte e soluzioni. È un momento molto delicato, ma anche molto stimolante. Se sapremo giocare bene le nostre carte, il ciclismo italiano potrà tornare a sorridere».

Pier Augusto Stagi
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COMMENTI
Un plauso al Dir. Stagi!
22 marzo 2015 04:05 hammet
Complimenti Dir. Stagi per esser intervenuto su un tema così delicato con due personalità autorevoli e di grande spessore. Prima col Sig. Ivano Fanini,le cui parole scuotono l'opinione pubblica e riscuotono sempre grandi consensi fra gli appassionati di ciclismo e poi col vice-presidente Ghigo, uomo di sport e conoscitore profondo delle dinamiche che regolano sia il mondo civile che quello sportivo. Il Sig. Ghigo come il Sig. Fanini sono dalla parte dell'Astana e sinceramente credo che tutti debbano esserlo!
Come ho già letto e commentato nell'Arena, bisogna ripartire dal 2015! Sono d'accordo col Fanini mettiamo una pietra sul passato, scrolliamoci di dosso questo retaggio fatto di connivenza e collusione col "marcio" e affidiamoci alle nuove idee e alle giuste posizioni contro il doping prese dall'ottimo presidente UCI Cookson. Crediamo con convinzione nel ciclismo pulito, altrimenti se è vero quello che ho letto nel commento di wolf84 sull'intervista a Fanini nell'Arena, che le voci del gruppo da Sanremo parlano di uno stop dell'Astana, della Tinkoff e poi della Lampre, quale futuro ci sarà per il ciclismo? Di questo passo è la fine...

x hammet
22 marzo 2015 09:56 siluro1946
Il ciclismo, è già finito, soprattutto in Italia. Bastava contare i tifosi, questa mattina, alla partenza della Sanremo, e basterà contare quelli all'arrivo. Con questi dirigenti si può solo peggiorare, come avviene regolarmente da parecchi anni.

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