BONIFAZIO, IL TALENTO VOLANTE

PROFESSIONISTI | 27/10/2014 | 07:55
Se il campione del mondo si mette al tuo servizio, con piacere, devi essere un corridore speciale. Se il numero uno al mondo ti porta le borracce, ti asciuga il sudore, ti pilota nel finale e tu finalizzi il suo lavoro con una volata da manuale, sei un atleta di talento, dal sangue freddo e dal futuro assicurato.
Se esulti, ma neanche troppo. «Provo un’emozione fantastica. Dallo scorso inverno mi sto allenando bene, sto crescendo un gradino per volta, in volata riesco a dire la mia, non sono sorpreso dei risultati che sto raccogliendo».
Se ringrazi Rui Costa, ma ci tieni a ringraziare ogni componente del tuo team. «Alla Coppa Agostoni tutta la squadra ha lavorato per me. Io ho cercato di te­nere duro in salita, in discesa mi sono giocato ogni chance per rientrare, poi Cattaneo e Dodi hanno chiuso sul­la fuga e Rui mi ha dato una mano fino ai 500 metri. Oltre ad essere un campione del mondo in bici è una grande persona, sono onorato che si sia messo al mio servizio. I miei compagni hanno svolto un lavoro eccezionale, mi hanno portato benissmo in volata e sono riuscito a vincere».
Se a inizio stagione ti eri fatto no­ta­re per essere il più giovane neopro’ italiano e il terzo più piccolo nel World Tour, essendo nato il 29 ottobre 1993, e a fine 2014 ti sei meritato spazio sui giornali per le tue indubbie qualità. Se a Lissone hai firmato una vittoria da record proprio per la tua giovane età, 20 anni e 10 mesi (per ritrovare un successo altrettanto precoce in una gara di questo livello dobbiamo tornare ai tempi di Giu­seppe Saronni, suo attuale team manager alla Lampre Merida, 1° al Pantalica ’77 a 19 anni e 6 mesi e a Moreno Ar­gentin, tappa al Giro d’I­ta­lia 1981 a 20 anni e 5 mesi, ndr). Se rispondi a tutti questi requisiti ti chiami Niccolò Bo­ni­fazio, Bonny per gli amici, e il mese scor­so con una volata sfrontata, imperiosa, esplosiva ti sei aggiudicato la 68a Coppa Agostoni, scrivendo il tuo nome nel prestigioso albo d’oro della seconda prova del Trittico Lom­bar­do. Nien­te male per un pischello con tutta una carriera davanti.

Partiamo da questa tua prima vittoria in Italia.
«Non conoscevo le salite in programma, sul Lissolo ho faticato, ma ho stretto i denti e cercato di risparmiare energie per la volata. Dedico questa vittoria alla mia ragazza Giorgia (era al traguardo di via Matteotti e non smetteva più di piangere per la gioia, ndr), alla mia famiglia, alla squadra e agli sponsor che credono in me».

Il ghiaccio nella massima categoria l’avevi però già rotto in Giappone a fine maggio.
«Sì, vincendo la prima (Criterium di Sakai) e l’ultima tappa del Tour of Ja­pan a Tokyo. Pensate, alle mie spalle anche lì era finito Grega Bole... I primi due sono stati successi importanti per sbloccarmi dopo i numerosi piazzamenti ottenuti fino ad allora. Vittorie centrate lontano da casa ma comunque importanti per me e la squadra che conta su tanti sponsor asiatici come Merida, Champion System, Kabuto e Shukoh».

Come valuti il tuo primo anno tra i professionisti?
«Nel complesso sono soddisfatto. Non penso proprio di essere passato nella massima categoria troppo presto, come qualcuno mi ha fatto notare. Da dilettante ho corso due stagioni con la Viris Maserati, centrando in ognuna sette vittorie. Quando è arrivata l’offerta della Lampre Merida non ci ho pensato due volte ad accettare, non volevo tirarla per le lunghe tra gli Under 23. Ho trovato un bel gruppo, vado d’accordo con tutti. In squadra, come è giusto che sia, devo aiutare i miei compagni più affermati e imparare, ma quando mi viene data la possibilità di buttarmi in vo­­lata sfrutto l’occasione al meglio. Vo­glio crescere piano piano, senza assilli, ma vincere mi piace».

Ti alleni spesso con Pippo Pozzato, vero?
«Sì, non abitiamo lontani. Io da Im­peria vado verso Sanremo, lui da Mon­tecarlo fa la strada opposta così ci troviamo per pedalare assieme. Dopo l’allenamento, ci prendiamo un caffè e poi ognuno torna a casa sua».

Hai un campione di riferimento?
«Non ho idoli, se è quello che vuoi sa­pere. Quelli che avevo si sono rivelati tutti falsi. La maggior parte delle corse che ho visto non erano veritiere. Quando le guardavo in tv da bambino sembravano reali, ma dopo qualche an­no si è scoperto che non lo erano per niente. Ci sono però molti corridori che ammiro e che mi piacerebbe emulare. Tra tutti Oscar Freire perché oltre ad avere una classe sopraffina, aveva la testa tra le nuvole come me. Alcuni massaggiatori mi hanno raccontato che giù dalla bici era un disastro, nel senso che dimenticava qualsiasi cosa, e che si allenava il giusto ma non troppo. Io in questo gli assomiglio, ma in sella ho ancora tutto da dimostrare. Lui ha avu­to una carriera esemplare, a me basterebbe vincere la metà di lui. Qualche mondiale, qualche Sanremo... Ci metterei subito la firma. Ah, dicono anche che assomiglio a Fausto Coppi. Per il naso, ovviamente».

Chi ti ha messo in bici la prima volta?
«Mio padre Marco, che fa il bidello e ha corso fino alla categoria dilettanti. Ho provato da G1, ma in realtà ho iniziato a correre a tutti gli effetti da G3 con l’A.S. Andora. In famiglia pedalavano anche mio nonno e mio fratello Leo­nar­do, che ora porta avanti un ne­gozio di bici. Lui ha smesso dopo il primo anno da dilettante, nel 2009, dopo aver visto da vicino l’incidente che è costato la vita allo junior An­tho­ny Orsini. Si stavano allenando insieme in Toscana, quando è successo quel terribile incidente. A completare la fa­miglia c’è mamma Cecilia, che è infermiera. Quando ho iniziato a correre tra i dilettanti, i miei si erano appena separati. Andai a vivere da solo, diciamo che sono diventato grande all’improvviso, facendo cose che non mi sarei mai immaginato di fare. Per fortuna c’era e c’è nonna Carla, la mia prima tifosa, che insieme a mio fratello mi ha aiutato molto. Di recente le ho regalato tutte le mie foto e i ritagli di giornali degli ultimi quattro anni, con cui ha confezionato un bellissimo album. Non ha internet, si tiene aggiornata così».

A scuola come te la cavavi?
«Fino all’ultimo anno abbastanza bene. Frequentavo l’Ipsia e riuscivo a trovare il tempo per allenarmi, studiare e vedere gli amici, poi passando tra i dilettanti il tempo è diminuito drasticamente mentre si allungavano gli allenamenti. Non ho mai avuto problemi di voti, me­die o assenze. Cercavo di conciliare il tutto ma in quinta ho avuto qualche discussione coi professori e nel mo­mento topico ho dovuto decidere se scri­vere la tesi o firmare il contratto da professionista. Ho scelto la bici.
I professori non hanno mai provato ad assecondare le mie scelte, cercando di propormi e trovare un punto di incontro e lo dico con rammarico. Mi piacerebbe che qui da noi venisse usato lo stesso metodo adottato in Belgio e in altri paesi con le scuole di ciclismo: al mattino i ragazzi studiano e al pomeriggio si allenano, il tutto sponsorizzato dalla scuola stessa. Ci sono tanti ragazzi che affrontano molti sacrifici e non trovo giusto che un ambiente in cui le persone devono crescere coltivando i propri sogni ti ponga spesso dei limiti causati dall’ottusità di alcuni. Con il “metodo Bel­gio” si invoglierebbe lo studio incre­men­tando il numero di ragazzi che si avvicinano allo sport».

Come trascorri il tempo libero?
«Come un qualunque ragazzo di 20 an­ni, preferibilmente con la mia fidanzata e gli amici di sempre. Mi piacciono mol­­to le macchine d’epoca, le moto da cross e le macchine da rally, ma ho la­sciato da parte queste passioni per dare priorità alla bici. Stimo però grandi campioni dei mondo dei motori come Michael Schumacher e Valentino Rossi, due numeri 1».

Ti ricordi il tuo primo autografo?
«Sì, risale al 2012. Stavo per correre gli Europei dilettanti e avevo appena firmato con la Lampre, la notizia evidentemente aveva fatto già il giro tra gli appassionati. Mi si avvicinò un tifoso olandese che porgendomi una mia foto presa dai social network mi fece segno di firmarla col pennarello. Lì per lì ero un pochino imbarazzato ma poi firmai velocemente perché stava per iniziare la corsa».

Che rapporto hai con i tifosi?
«Buono, direi. Quando posso e non ho ordini precisi dal team mi fermo e cerco di accontentare tutti. A Diano Marina mi fermano molti ragazzini. Molti mi ri­conoscono, magari sarà solo per la divisa ma io sono contento ugualmente».

La tua corsa del cuore?
«La Milano-Sanremo, senza dubbio. Pas­­sa a un chilometro da casa, fin da quan­do ero bambino (ma anche quest’anno) sono sempre andato a vederla sui Capi. Le Classiche del Nord che ho avuto modo di testare nei primi me­si dell’anno sono fantastiche, ma la Clas­­sicissima per me resta la numero uno. Per di più sulla carta è adatta alle mie caratteristiche, ho un buono spunto ve­­loce e tengo abbastanza bene in salita. Sogno di vincerla? Un giorno, cer­to».

Come ti immagini da grande?
«Non so proprio come diventerò, per me parlerà la strada. Finchè sono il più piccolo in gruppo questa domanda può aspettare ancora un po’ una risposta. Sei d’accordo?».

Ok, allora limitiamoci al programma a breve termine. A quali corse ti vedremo prossimamente?
«Dopo il Giro dell’Emilia e il GP Be­ghelli in Emilia, concluderò la mia stagione in Cina con il Giro di Hainan. A seguire mi concederò una breve vacanza prima di rimettermi al lavoro per il 2015. Sarò un pischello come dici, ma non ho intenzione di perdere tempo».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di ottobre
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