Giancarlo Cortese racconta: «Ho avuto un’esperienza analoga a quella che Nova ha raccontato ieri 15 giorni prima di lui al Giro del Canavese per Under 23. Dopo 80 km, io che sono anche direttore di organizzazione, mi sono ritrovato a dover mettere fuori corsa 42 corridori che aveva 8’30” di distacco dalla testa della corsa. All’arrivo mi sono ritrovato con solo 10 corridori, ho giusto fatto la top ten (sorride amareggiato, ndr). Per noi organizzatori, di questi tempi, costa già molta fatica trovare soldi per allestire una gara e non è ammissibile un atteggiamento di questo tipo. Come noi ci impegnamo per fare del nostro meglio, così devono fare gli atleti. Se non stanno bene fisicamente o hanno un problema meccanico nessuno gli dice nulla, ma non è accettabile vederli chiacchierare e scherzare come se fossero in un allenamento di scarico. Se io smetto di lavorare il mio datore di lavoro smette di pagarmi, non so se mi spiego. Se gli organizzatori si stufano di mettere in piedi le corse, a questi ragazzi toccherà cambiare mestiere. Devono avere più rispetto per le loro società e gli eventi a cui partecipano. Già quest’anno abbiamo perso tante corse, l’anno prima anche di più, il movimento dovrebbe incentivare chi crede ancora nel ciclismo e ha voglia di fare. Per motivi economici la corsa che organizzo da 22 anni da gara internazionale è dovuta diventare nazionale, fatte le dovute proporzioni ricordo come una volta partivano in 160 e arrivavano in 160. Oggi invece...».
Luigi Magri, organizzatore della Milano-Rapallo, dal canto suo aggiunge: «Per quanto riguarda la nostra manifestazione negli ultimi anni siamo stati abbastanza fortunati, ma il rischio sollevato dai miei colleghi c’è. Si tratta di un problema ormai generalizzato sulla gestione delle gare in cui la FCI fa orecchie da mercante o si copre dietro alle normative UCI. Nonostante la crisi economica, sul territorio abbiamo le potenzialità per creare un campionato nazionale fatto di più prove come fanno le altre federazioni, per dare un’uniformità e un valore a corse che spesso sono fine a se stesse. Se studiassimo una sorta di campionato con una classifica di merito penso farebbe del bene a tutti, soprattutto agli atleti ai quali spesso non viene lasciato il tempo di crescere. Questo pensiero lo porto avanti da anni, ricordo un’assemblea a Pesaro negli anni ’90, in occasione della quale segnalavo anche quanto fosse importante promuovere la realizzazione di circuiti protetti di 5/10 km per gare e allenamenti. Penso all’impianto di Misano, attorno alla pista delle moto è stato realizzato un circuito di 6 km, o a quanto ha fatto la città di Fano con un bellissimo percorso di 3 km. Un problema sempre più urgente per l’organizzatore è avere i permessi e le autorizzazioni, per l’italiano medio una gara di ciclismo è una rottura di scatole che provoca traffico stradale, e garantire la sicurezza dei partecipanti. Dobbiamo perciò pensare a soluzioni alternative, l’unica maniera per mantenere vivo il movimento è paradossalmente chiuderci in noi stessi soprattutto per avvicinare i più piccoli a questo sport che sulle strade è diventato troppo rischioso».
Giulia De Maio