Dalle mie parti si dice che dopo sei fette bisogna pur capire che è polenta. A forza di imprese, anche l’Italia si sta finalmente accorgendo di Vincenzo Nibali. Ha dovuto darci dentro, il messinese, si è dovuto spendere tutti i giorni su tutti i terreni, inventandosi una collezione di capolavori da imbucare negli Uffizi, ma a quanto pare, finalmente, se dio vuole, il suo Paese ha capito l’importanza e la grandezza del momento. Vincere un Tour de France, in questo modo, in questa congiuntura di fallimenti nazionali, è a tutti gli effetti una clamorosa botta di vita, qualcosa di memorabile e di ricostituente: vogliamo gradire, oppure aspettiamo Luna Rossa per scaldare un po’ gli animi?
Il grande freddo sembra ormai dissolto. Dopo Hautacam, dopo l’epica dei Pirenei, Nibali è ufficialmente sdoganato: finalmente ha libero accesso nel cuore della gente. Lo dicono le chiacchiere da spiaggia, le discussioni da bar, ma soprattutto gli ascolti tv: share al 30 per cento tra Raitrè e Raisport, più Eurosport, più le dirette streaming dei siti. Un dato davvero eccellente per questa fase depressa del ciclismo italiano, un dato eccezionale nonostante la storica debacle dei telecronisti Pancani e Martinello, capaci di commentare l’avvenimento più importante dell’anno con la stessa enfasi sfoderata al Trofeo Laigueglia, Nibali in fuga e loro a disquisire sul duello della serie chissenefrega tra Pinot e Valverde (chi può dirlo: è possibile che abbiano esaurito la verve nell’appassionante dibattito sull’orso a bordo strada del Tourmalet, tu che dici, è vivo o è imbalsamato?).
Al netto dei cantori ammosciati, l’Italia comunque nota e apprezza finalmente la grande bellezza. Sono tantissimi a scoprire Nibali, benchè Nibali non salti fuori improvvisamente come il coniglio dal cilindro. Fin da quando a cinque anni cominciò a sgambettare sulla prima bicicletta rossa, Vincenzino si è sempre piazzato nella galleria dei migliori. E quando la passione è diventata professione, si è piazzato stabilmente sul podio di tutti i grandi giri. Prima di questo Tour ha già vinto un Giro e una Vuelta (sono pochi a tenersi in salotto i tre trofei), ma non solo: ha pure un secondo posto alla Vuelta, un terzo al Giro e un terzo al Tour. Questo per dire che Nibali non nasce oggi: nonostante la giovane età, Nibali viene da molto lontano, un passo alla volta fino in vetta al successo. Sempre spendendosi, sempre provandoci. Lo si vede attaccare alla Milano-Sanremo, che non è proprio la sua gara, lo si vede vincere Tirreno-Adriatico e Giro del Trentino, lo si vede alla Liegi-Bastogne-Liegi, lo si vede nei grandi giri e lo si vede persino attaccare al Giro di Lombardia. E’ campione anomalo, è campione in rotta con il dogma moderno della specializzazione esasperata, questo seccante dogma che porta i vip del gruppo a correre sostanzialmente un mese all’anno.
Nibali piace per questo, perchè ripropone un modello antico e tradizionale di campione. Il campione che che non chiude gli ombrelloni a metà stagione. Il campione che c’è e che resta. Certo non colpisce per le stravaganze alla Balotelli e alla Cassano. Certo non irradia la simpatia bagnina e sbordellona di un Valentino Rossi. Nibali è Nibali. Magari non sconvolge per quello che dice, per come si atteggia, ma piace per quello che fa.
Il resto della storia è ancora tutto da scrivere. A 29 anni, Nibali raggiunge il massimo. La prova che lo aspetta nel suo domani non è la più difficile, certo è la più subdola: deve restare lì, a quei livelli, per altre annate, sapendo che da lunedì anche il secondo posto avrà sempre un retrogusto amaro. C’è tutto il tempo, però. Non è il caso di crearsi patemi con troppo anticipo. Adesso viene il bello di questo Tour, di questa magnifica estate italiana. Oggi la lunga cronometro che ha agitato il suo inverno, spettro dissolto grazie ai vantaggi mostruosi messi in cascina sulle più nobili montagne d’Europa. E poi finalmente Parigi, con quella cerimonia imperiale che soltanto la grandeur dei francesi può rendere tanto solenne ed emozionante. Solo in quel momento, nella tiepida sera dei Campi Elisi, finalmente Nibali realizzerà quello che ha combinato: nel suo piccolo, per tre settimane, ha sventolato un tricolore particolare, la bandiera dell’Italia che ha ancora voglia di pedalare.
di Cristiano Gatti, da Il Giornale