CRISTIANO GATTI. Quel Nibali sempre più giallo

TOUR DE FRANCE | 24/07/2014 | 12:33
E per fortuna che domenica lo fermano, altrimenti rischia di diventare una noia. Vincenzo Nibali continua la sua scalata in solitaria al grande sogno della vita, questo Tour de France che ogni ciclista mitizza e che pochissimi italiani portano a casa.

Anche nel secondo tappone pirenaico la solita musica, un inno di Mameli prolungato sulle vette della storia.

Ci sono gli altri che si giocano la tappa con fughe da lontano (bis per il giovane polacco Maika, ottimo secondo l'altro siculo del gruppo Giovanni Visconti), ci sono quelli che si attaccano per strapparsi manciate di secondi e posizioni in classifica. Sostanzialmente c'è tutta un'umanità sfinita che si contende i resti al gran banchetto del Tour. Poi c'è lui, tutta un'altra cosa e tutta un'altra corsa. Tutto un altro mondo.

Sull'ultima salita, a cinque chilometri dal traguardo, decide di aver pazientato anche troppo, così innesta i superpoteri e pedala ancora da Nibalik. Neanche a farlo apposta, alle volte le coincidenze, nella gara che conta dell'alta classifica è di nuovo il vincitore schiacciante. Vedere i distacchi, per comprendere che strazio stia diventando questo Tour: Valverde perde di nuovo e passa a 5'26'', il terzo è Pinot nella lontananza infinita dei 6'. Proprio Valverde, idolo di Spagna, merita due parole personalizzate. Sulle Alpi, dove regolarmente prendeva sberle, aveva avvertito Nibali e compagnia: «Preparatevi, sui Pirenei scatenerò l'inferno». Effettivamente gli va dato atto di non aver precisato subito per chi fosse questo inferno. Visto all'opera, è tutto più chiaro: lo preparava per se stesso. Ogni salita, un tormento indicibile per salvare la carcassa. Nibali ormai lo vede solo di retro. Ma anche la difesa del secondo posto dall'assalto della nouvelle vague francese si sta trasformando in un autentico calvario. Diciamolo: va mandato cordialmente all'inferno.

Facezie. Dettagli. Tutte cosucce di retroguardia e di retrobottega che non sfiorano nemmeno il gigante della corsa, questo Nibali sempre presente, sempre attento, sempre forte nei momenti decisivi. Con un particolare tutto suo, senza prezzo e senza aggettivi: anche se potrebbe vivere piacevolmente di rendita, anche se potrebbe ragionevolmente mettersi comodo in difesa, nemmeno ci pensa. Nato attaccante, nato con tanta fame di Tour, Nibalik si amministra da campione per evitare follie imperdonabili, ma contemporaneamente non soffoca l'ancestrale vocazione all'attacco e allo spettacolo. E' così che anche questa volta, come in tutte le grandi corse a tappe dominate da un leader vero, la storia dell'estate si trasforma in un monologo senza stecche e senza imprevisti. L'assolo indisturbato e indisturbabile del campione.

A questo punto può cominciare il conto alla rovescia. Realisticamente, al netto delle solite iatture tipo Tir contromano e guttalax nell'insalata, Nibali è a un Passo dal Tour. Un Passo mica da niente, si chiama Tourmalet. Sarà questo totem dell'epica sportiva, che nella pratica non è certo la più tremenda delle salite, a consegnare oggi la maglia gialla definitiva. Tappa corta, 145 chilometri partendo da Pau: il gigante dei Pireni a metà strada, l'arrivo ad Hautacam. Poi, basta. Domani giornata facile, quindi sabato la famosa megacrono di 54 chilometri, autentico terrore per un Nibali ipoteticamente ancora alla portata di un Contador o di un Froome, cioè di due grandi specialisti, ma che senza quei due, e con l'attuale vantaggio in classifica, rischia seriamente di trasformarsi in una simpatica sagra del sauternes.

Infine sarà la tappa della vita, la sfilata sui Campi Elisi, un'indimenticabile domenica italiana con il tricolore che sventola e Mameli che rimbomba nelle orecchie dei francesi invidiosi. Stavolta, per la verità, non solo nelle loro. Fischieranno le orecchie a molta belle gente, a quelli che da giorni e giorni negano a Nibali la dignità della sua impresa, evocando il fantasma di Contador sicuro vincitore, senza la famigerata caduta. Li capeggia il nababbo russo Tinkoff, suo sponsor. Dimentica, il rosicone, che comunque Contador stava già due minuti e mezzo dietro, prima di cadere. E comunque: a Tinkoff e ai rosiconi l'augurio di vincere tanti Tour così, i Tour dei ma, dei se, dei però. A noi ne basta uno, quello vero.

di Cristiano Gatti, da Il Giornale
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