ARMSTRONG | 17/01/2014 | 09:41
Lance Armstrong continua a sperare. La scorsa settimana ha corso più di 18 miglia ad una velocità di quattro minuti per chilometro. È pronto a competere ad un anno dalla sua confessione televisiva nella quale ammise di aver fatto uso di sostanze dopanti. Armstrong ha 42 anni, gioca a golf, passa il tempo con la sua famiglia, ma soprattutto continua a sperare in un'amnistia per poter ricominciare a gareggiare, almeno nel triathlon: «Ho pagato un prezzo alto per quanto riguarda la carriera, la mia reputazione e le sanzioni economiche», ha dichiarato di recente alla Bbc. L'ex campione continua a sostenere di meritare la punizione, ma la sua è considerata una 'pena di morte', mentre molti altri hanno ricevuto un 'biglietto per la libertà'. Sulla sfondo del suo account di Twitter campeggia una frase emblematica: 'Sono un tipo imperfetto in un mondo imperfetto'. L'unica cosa di cui veramente si pente è l'aver usato la sua malattia come difesa per la sua carriera: «Il mio più grande errore? Quando ho legato la diagnosi della mia malattia (il cancro) con la negazione dell'uso del doping», ha dichiarato a novembre. Il texano non ha fornito i dettagli su ciò che l'Usada (Agenzia antidoping degli Stati Uniti) definisce come 'il programma più sofisticato della storia del doping': «Per ciò che riguarda me io accetto. Dico solo che il fatto che l'Usada stia cercando di pulire il ciclismo non è vero», dichiarava Armstrong, parlando di una vendetta da parte del direttore esecutivo dell'associazione, Travis Tygart.
Armstrong, tramite Twitter, si dimostra aperto alla collaborazione: «Sono disposto a cooperare apertamente e onestamente con qualsiasi Commissione dell'Uci disposta a parlare con me», scriveva il 7 gennaio dopo aver letto una relazione sul quotidiano britannico The Telegraph riguardante la nascita di una commissione indipendente creata dall'Unione Ciclistica Internazionale (Uci) per indagare sul doping negli anni '90 e 2000.
La nuova commissione Uci non ha il potere di revocare l'inibizione a vita inflittagli dalla Usada o di concedere un'amnistia. A novembre, il presidente del Ama (Agenzia mondiale antidoping) John Fahey si dimostrava intransigente nei confronti dell'ex campione americano: «Ciò che è chiuso, è chiuso». Tuttavia Armstrong non si è ancora rassegnato: «Spero ancora di essere parte della soluzione, il mio telefono è acceso, ma non mi chiamano».
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