Marcato, l'ambasciatore

TUTTOBICI | 04/03/2013 | 08:58
Un modello. Marco Marcato sta diventando sempre più un modello da seguire. Con la pacatezza e la professionalità che lo hanno da sempre contraddistinto, a suon di risultati sta finalmente conquistando quella visibilità e attenzione che da sempre merita. E in questo sport che ricerca credibilità, aggiungiamo noi, può essere un buon modello anche per la sua storia (tra i dilettanti veste la maglia della Bata ed è tra i primi corridori in assoluto a sperimentare il passaporto biologico, ndr). Il ventinovenne padovano, che da bambino ha scelto la bici ai pattini, senza proclami e polemiche, seguendo la filosofia “testa bassa e pedalare” ha chiuso il 2012 con una vittoria prestigiosa come la Parigi-Tours e un’ottima prova al mondiale di Valkenburg, ricordandoci che per le corse di un giorno l’Italia non è messa così male, anzi abbiamo un combattente nato su cui puntare di cui troppo spesso ci dimentichiamo.
Alla sesta stagione da emigrato del pedale è anche il miglior rappresentante di un ciclismo italiano sempre più rivolto all’estero: quest’anno sarà infatti uno dei 45 azzurri (quasi due squadre, senza contare le Continental) che nel 2013 difenderanno i colori di team stranieri.
Passato professionista nel 2005 a soli 21 anni, dopo due stagioni all’Androni Gio­cat­toli e una alla LPR ha iniziato la sua avventura lontano dal bel paese, che dura (felicemente) tuttora.
«Dentifricio, due ricambi, un vocabolario d’inglese e via. Da quell’autunno ho co­minciato un’altra carriera, anzi proprio un’altra vita. Ho imparato a viaggiare, a stare tanto lontano da casa, a parlare in inglese. Ma soprattutto ho imparato a correre in Belgio, dove il ciclismo è religione. Sono approdato alla Collstrop, che l’anno seguente diventa l’olandese Vacansoleil. Inizial­men­te si tratta di un team molto piccolo, ma ben presto ho l’occasione di partecipare alle corse monumento ed io, che sei mesi prima non sapevo cosa sarebbe stato di me, mi ritrovo al via di Parigi-Roubaix e Giro delle Fiandre. Da allora sia io che la squadra siamo cresciuti molto, nel 2011 siamo entrati a far parte del World Tour, una grandissima soddisfazione per chi come me ha vissuto questo progetto dagli inizi».
Insomma non c’è verso di rivederti in una squadra italiana...
«Alla Vacansoleil mi trovo benissimo, anno dopo anno mi sono integrato più che bene e ormai ho trovato la mia dimensione. Dispiace dirlo ma il ciclismo di casa nostra non sta vivendo per niente una bella situazione: di squadre nuove non se ne vedono, quelle che resistono so­no costrette a ridimensionarsi o ad appoggiarsi a sponsor stranieri. Nel prossimo futuro sarei ben felice di tornare in Italia, ma per lasciare una squadra in cui sono davvero sereno come fossi a casa, obiettivamente dovrei trovare un progetto italiano almeno altrettanto importante e sicuro».
Analizziamo il tuo 2012.
«È stato l’anno migliore della mia carriera e della mia vita. Il momento più importante è stato sicuramente il matrimonio con Elisa a settembre, ma anche sulle due ruote ho raccolto grandi soddisfazioni che mi hanno ripagato dei sacrifici di tutti questi anni e mi hanno lanciato in una nuova dimensione. Mi resta il rammarico per il periodo delle Classiche compromesso da qualche malanno di stagione e per il Tour de France, in cui ho fatto una prova sottotono per lo stesso motivo e le conseguenze della caduta al Giro di Svizzera. Alla Grande Boucle non mi sono espresso come volevo, ma nel complesso non posso lamentarmi. Il finale di stagione con la convocazione in nazionale e la vittoria della Parigi-Tours, di gran lunga la mia vittoria più bella tra i professionisti, mi ha risollevato il morale. Quest’anno mi auguro di essere più costante, di partire bene fin da subito e di ottenere qualcosa in più nelle Classiche».
Come è andata la preparazione invernale?
«Ho trascorso un buon mese di dicembre in Spagna con la squadra. Durante le feste sono tornato a casa e ho rallentato un po’, da gennaio mi sono ritrovato ancora con i miei compagni in ritiro a Benidorm, nella zona in cui quasi tutte le squadre si riuniscono per allenarsi prima dell’inizio della stagione. Come è possibile che nessuno abbia ancora pensato di organizzare una granfondo ai primi di gennaio? Tanto siamo già tutti lì... (sorride, ndr). Il mio 2013 inizierà al Tour del Qatar e poi in Oman, al caldo».
Nel mirino anche quest’anno hai messo le Classiche?
«Certo, ma non solo. Correrò la Tirreno-Adriatico prima della Milano-Sanremo, a cui punto molto. Poi sarò al via di tutte le classiche del pavè, tranne la Roubaix. Con l’Amstel Gold Ra­ce, altra corsa che ho nel cuore, finirà la mia prima parte di stagione. Nella seconda, finalmente, prenderò parte al Giro d’Italia. La squa­dra ha deciso di premiarmi e di realizzare questo mio sogno. Da atleta italiano ho sempre amato la corsa rosa e voglio onorarla al meglio. Dopo il Giro se tutto andrà bene cercherò di mantenere la condizione fino al Campionato Italiano, un appuntamento a cui tengo in modo particolare ma che per un motivo o per l’altro negli anni scorsi non ho potuto disputare come volevo. Quest’anno vorrei essere protagonista della sfida tricolore».
Cosa ti aspetti dal tuo primo Giro d’Italia?
«Ci tengo così tanto che ho già studiato il percorso e ho già visto la tappa in cui mi piacerebbe lasciare il segno. Non so se è il caso di rivelarvi qual è, se mi sbilancio poi i miei rivali mi controllano troppo (sorride, ndr). A parte gli scherzi, mi riferisco alla tappa più vicina a casa, quella con arrivo a Vicenza. Conosco bene la salita dei Berici che è nel finale, e sull’altimetria non è stata quasi segnalata, ma vi assicuro è una salita vera e può fare la differenza. Il Giro quest’anno non passa per Padova ma tra Veneto e Trentino ci sono tante tappe nella mia zona quindi spero di mettermi in mostra e di trovare molti tifosi sulle strade a supportarmi».
Sicuramente ce ne saranno. Ultima­mente stai diventando famoso anche in Italia...
«Famoso è un parolone, ma è vero che anno dopo anno mi sto facendo conoscere anche grazie a voi di tuttoBICI che avete il merito di avermi dato spazio anche quando ero meno noto. Mi sono accorto di essere un pochino più popolare soprattutto dopo l’esperienza in nazionale, dopo il mondiale di Val­kenburg vedo che anche dalle mie parti quando mi alleno per strada la gente mi riconosce e mi saluta per nome. Sapete che non sono un personaggio che ricerca attenzioni a tutti i costi, ma se qualcosa in questo senso è cambiato agli occhi dei tifosi e dei media sono ben contento. Fa piacere avere gente che ti segue e ti considera un punto di riferimento. Comunque si svilupperà la mia carriera mi piacerebbe diventare un esempio, specialmente per i giovani, un modello per la grinta, la determinazione e la passionalità che metto nel mio lavoro».

di Giulia De Maio, da tuttoBICI di febbraio
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