Una Bianchi da pista. Del 1946. Scatto fisso, misure 90x160, ruote a 32 raggi, gabbiette ai pedali. E quel colore, tra l’azzurro e il verde, acqua, seducente. Apparteneva a Fausto Coppi. Da Coppi in dono a un albergatore, dall’albergatore in vendita a Tarcisio Persegona, da Persegona in prestito al Museo dei campionissimi di Novi Ligure. E riprodotta sulla pagina 233 del volume “Il mito della velocità”, arte, motori e società nell’Italia del ‘900. L’unica bici fra auto e moto, aerei ed elicotteri.
Coppi era un fuoriclasse anche da pistard nella prova più da stradisti: l’inseguimento. Due titoli mondiali (1947 e 1951) e cinque italiani (1940, 1941, 1942, 1946 e 1947). Più il record dell’ora (45,798 il 7 novembre 1942 al Vigorelli). Più una Sei Giorni (a Buenos Aires, nel velodromo amico del suo compagno, l’argentino Jorge Batiz). Nell’inseguimento vanta un record straordinario: 84 sfide conquistate su 95 disputate, e 28 volte raggiungendo l’avversario prima della fine, come una vittoria per ko nel pugilato. Non solo li inseguiva, gli avversari, ma li ruminava e l’inghiottiva.
La velocità è un concetto relativo. C’è velocità e velocità. Trenta all’ora su strada è una velocità di sicurezza, anche per un’auto considerando le bici, trenta all’ora in garage è la scena di un film. La velocità di una Alfa Romeo Gran Premio Tipo 159 Alfetta del 1951 (pagina 51) è meno della metà di quella dell’idrovolante C29 Fiat del 1929 (pagina 163). La velocità della Ferrari 250 Testa Rossa del 1957, ma in versione modellino della Burago in scala 1:18, corrisponde a quella del braccio di chi la sposta o alla fantasia di chi la immagina.
La velocità è silenziosa, come canta Paolo Conte. La velocità è una forma di estasi, come filosofeggiava Milan Kundera. La velocità può essere perfino lenta. La velocità è una volata e un traguardo, una schiavitù e una dipendenza, un brivido di ebbrezza e un pericolo di vita. Nel libro pubblicato da Giunti nel 2008, curato da Eugenio Martera e Patrizia Pietrogrande, acquistabile (allora) a 48 euro, e donato da Giuseppe Castelnovi alla Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza, si approfondisce
il concetto di velocità anche nel cinema e nella moda, nel design e nella fisica nucleare.
Di ciclismo, oltre alla bici da pista di Coppi, compaiono anche due maglie: quella biancoceleste della Bianchi del 1946 e quella iridata di campione del mondo del 1953. Tutt’e due di Coppi. E tutt’e due patrimonio del Museo di Casa Coppi a Castellania. A differenza della bici da pista, queste due maglie di lana apparentemente infeltrita sembrano stare in surplace, immobili non solo in una cornice e sotto il vetro, ma anche nel tempo. A braccia aperte. Come nell’attimo in cui si supera la linea d’arrivo, istantaneamente fermi per la foto-ricordo, per quel momento di gloria, eterno e infinito.
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