Era Pasqua anche trent’anni fa, quando Gianni Bugno tirò fuori dall’uovo una volata pazzesca al Giro delle Fiandre, la corsa meno “bugnana” di tutte, meno adatta al talento monzese, che seppe però mettere in fila gente che di nome faceva Johan Museeuw, Andrei Tchmil e Franco Ballerini. Una volata folle, al cardiopalmo, con quel gesto delle bracca al cielo sulla riga, proprio mentre il fuoriclasse belga trovava il colpo di reni. Avrà vinto? Ce l’avrà fatta a restare davanti? L’attesa è tanta, poi nonostante si sia in Belgio e il beniamino di casa sia Museeuw, la vittoria al fotofinish va al nostro Gianni nazionale.
«Cosa ricordo? Che mi sarei volentieri fermato subito quel giorno – incomincia in perfetto stile Bugno il Gianni, quello che Gianni Mura ribattezzò “vedremo” -. Non l’avrei voluta correre, per mille e più motivi. Troppo pericolosa, troppo dura, troppo distante dal mio modo di intendere in ciclismo. Su quelle mulattiere non è proprio indicando correre in bicicletta, quei muri, poi, sono davvero qualcosa di micidiale. Poi il tempo: sempre brutto, con pioggia e neve, io che pioggia e neve ho sempre rifuggito».
Però ha vinto.
«Perché il mio allora team-manager (Gian Luigi Stanga, ndr) mi convinse e mi spinse. “Provaci, vedrai che con il tuo talento farai bene”… ».
E lei?
«Vedremo… gli dicevo».
Aveva ragione Mura.
«(sorride) Ha sempre avuto ragione».
Anche Stanga, però.
«Chiaro. Spesso con me hanno sempre avuto ragione gli altri, perché il primo a non essere convinto di quello che facevo ero io, forse perché l’agonismo non mi solleticava più di tanto. Sa a me è sempre dispiaciuto battere gli altri».
Come a Benidorm, nel ’92, dopo aver battuto il beniamino di casa Miguel Indurain gli chiese scusa…
«Un caro amico, un grande corridore, un galantuomo in tutto e per tutto. Sì, sul palco delle premiazioni mi scusai con lui, che davanti alla sua gente aveva subito l’onta della sconfitta. Mi spiacque per davvero, non fu un modo di dire».
Sa che ho sempre ritenuto che lei fosse “campione suo malgrado”?
«Forse è vero anche questo. Io mi sono trovato a correre in bicicletta perché lo facevano i miei amici, perché a detta di tutti mi risultava facile ed era davvero così visto che vincevo facile e con una certa frequenza, non posso dire però che ho corso per passione».
Torniamo a quel Fiandre’94: era una Pasqua freddissima.
«Pensi che all’inizio nevicava. Entrai davanti nel primo tratto di pavé, uscii per ultimo. Mi dissi: cosa ci faccio qui? vedi che ho ragione a dire che non è la mia corsa. Poi però più si procedeva e più il gruppo si assottigliava. Più si facevano i muri e più io mi sentivo bene».
Primo Bugno, quarto Ballerini, sesto Baldato, poi Bontempi. Un ordine d’arrivo oggi improponibile.
«Oggi il ciclismo è davvero mondializzato, negli Anni Novanta erano cinque nazioni che la facevano da padrone».
Cosa le piace della vittoria?
«Il momento, l’attimo in cui si taglia il traguardo. Un secondo dopo vorrei già scomparire, per non bearmi, per non mettermi in mostra, per non ostentare in pubblico».
Il giorno di San Valentino ha tagliato il traguardo dei sessant’anni, come si sente?
«Bene, anche se non me li sento».
Dal 2020, per colpa di un malore post-Covid, l’Enac (l’ente dell’aviazione civile) le impedisce di volare.
«Questo mi manca un sacco, ma non ho ancora perso la speranza: sto aspettando alcune risposte per tornare a volare».
Ha voglia di parlare di ciclismo?
«Perché no? mi dica».
Come vede il ciclismo attuale?
«Molto bene, perché ci sono cinque sei interpreti di assoluto valore. Pogacar mi piace un sacco: è il più completo, il più forte, il più universale di tutti».
E il ciclismo italiano?
«Sta soffrendo, ma qualcosa si sta muovendo. Filippo Ganna è chiaramente il nostro portabandiera, Jonathan Milan è un ragazzo che sta crescendo bene e sta dimostrando di avere non solo uno spunto veloce, ma anche la tempra da cacciatore di classiche. Al Fiandre sono certo che farà bene».
Ecco, il Fiandre: Mathieu Van der Poel è il grande favorito, Wout Van Aert sarà il grande assente.
«Wout è stato davvero sfortunatissimo. La caduta di mercoledì che gli ha procurato nove fratture, compresa clavicola e sterno, è stata davvero una iattura. Non solo perdiamo un campione, ma a perderci è la corsa».
Noi italiani abbiamo anche Alberto Bettiol, che è l’ultimo italiano ad aver vinto il Fiandre e sta andando forte, anche se ha dovuto fare i conti anche lui con una caduta…
«Se non gli succede niente può lottare per il podio. A questo punto vedo solo un vincitore: Van der Poel».
Sa che Alberto ha deciso di correre anche la Roubaix.
«Fa bene, prima o poi uno come lui la doveva fare: ha quella follia giusta e quella capacità di guida necessari per correre una corsa così».
Fa bene Ganna a non correrla?
«Sì. È l’anno olimpico e la Roubaix è una corsa che ti massacra il fisico e può anche far molto male. Fa bene a pensare alla crono e anche al quartetto».
Van der Poel può vincere tutte le Monumento?
«Per il Lombardia non lo vedo».
E Pogacar?
«Lui può vincere tutto».
Lei cosa farà da grande?
«Vedremo…».