Mathieu VAN DER POEL. 10 e lode. Mai maglia iridata è stata più meritata, mai corridore aveva così tanto le stimmate del campione del mondo prima ancora di vestire questa maglia. Corre un Tour sornione Mathieu, dove si concede solo delle trenate per tirare qualche volata a Jasper Philipsen. In testa ha solo i mondiali: sia su strada che di mtb. Il fenomeno olandese si porta a casa la maglia arcobaleno in una stagione che lo vede primeggiare sia sulle strade della Sanremo e della Roubaix (scusate se è poco). Fenomeno assoluto, capace di puntare gli obiettivi come nessuno e in 6 ore e 7 minuti di annichilire e di ridurre a nani dei giganti del pedale. Si regala l’ennesimo titolo mondiale, il primo su strada (già iridato a Firenze da juniores), che si va ad aggiungere ai cinque nel ciclocross. Su strada, è bene ricordarlo, ha anche due Fiandre, un’Amstel e una Strade Bianche. Regala il titolo mondiale all’Olanda trentotto anni dopo Joop Zoetemelk, una delle leggende del ciclismo mondiale. Ma ora la leggenda è lui. È il nipote di Poulidor, l’eterno secondo: da lassù Poupou può essere contento, ha un nipote che è già nell’eternità.
Wout VAN AERT. 6. È chiaro che sarebbe da otto, perché un argento è sempre un argento, ma lui ne ha troppi. Anche oggi, ancora una volta è secondo. Perde l’ennesimo scontro diretto con il rivale di sempre, che prende il largo, sia su strada che nel palmares. Se le vittorie si pesano, quelle dell’olandese sono chiaramente di piombo.
Tadej POGACAR. 8. È un corridore universale, pazzesco. Fai una corsa e lui c’è, sempre. Non è chiaramente brillantissimo, ma il Tour che lo sloveno ha fatto, non è minimamente paragonabile con quanto fatto da Van der Poel che di fatto si è preparato per oggi. Tadej è uno che si fa vedere a prescindere, ma oggi con quella maglia color ramarro fluorescente disegnata e prodotta dalla Alé, era davvero bellissimo.
Mads PEDERSEN. 7. È ormai chiaro che il danese sia uno dei punti di riferimento più chiari del ciclismo mondiale. Vinse un mondiale quasi per caso, ma non è un caso che sia sempre qui, nelle prime posizioni.
Matthew DINHAM. 9. Il 23enne australiano della DSM entra fin dal mattino nella fuga di giornata ed è l’unico che resta là davanti fino alla fine. Chiude 7°: per me è come se avesse vinto.
Matteo TRENTIN. 7. Entra nell’azione giusta, quando al traguardo mancano 90 km. Troppi? Se lo sono per lui, lo sono anche per tutti i migliori, che sono lì a battagliare. Matteo poi resta vittima di una caduta che lo toglie di mezzo e per noi non è chiaramente una buona notizia.
Alberto BETTIOL. 7. Ricopre alla perfezione il ruolo di “underdog”. Cosa poteva fare di più? Ci prova, sapendo che con quei quattro la c’è poco da fare. Ah se avesse atteso… Se avesse atteso, l’avremmo atteso arrivare. Ha provato a fare quello che doveva fare e lo fa bene.
Filippo BARONCINI. 6. L’iridato under 23 di due anni fa si butta nella mischia, poi viene bloccato da una caduta.
Andrea BAGIOLI. 6. Deve lavorare, deve stare attento e fa tutto con attenzione.
Daniel OSS. 6. Ha il compito di muoversi subito all’inizio e il trentino non si fa pregare.
Loreno ROTA. 6. Fa una corsa di attenzione e di contenimento. Quello che era nelle corde.
Kristian SBARAGLI. 6. Gli dicono di sacrificarsi e lui lo fa.
Simone VELASCO. 6. Anche il campione d’Italia era al debutto e ha dovuto mettersi al servizio, cosa che fa con grande intelligenza tattica.
Remco EVENEPOEL. 4. È il grande battuto, ma anche il suo Belgio non è da meno. Hanno una squadra spaziale, e vengono spazzati via. Remco è la copia di se stesso. Subisce la corsa, fatica a rilanciare la bicicletta, finisce sempre là in fondo. A picco ci finisce tutta la squadra belga, che disponeva oltre che di Remco anche di Van Aert, Philipsen, Stuyven, Benoot, Campenaerts, Lampaert, Van Hooydonck e Frison. Erano in nove, ma nessuno se ne è accorto.
Michal KWITKOWSKI. 1. È stato in cima al mondo, nove anni fa, vestendo la maglia iridata. Oggi era il numero uno della Polonia, nel senso che era da solo, contro tutti. Grande Michal.
Owain DOULL. 9. Al km 27 si forma un gruppetto che resterà in avanscoperta per almeno quattro ore. Nove uomini al comando. Con il 30enne gallesse ci sono Matthew Dinham (Australia), Harold Tejada (Colombia), Kevin Vermaerke (USA), Patrick Gamper (Austria), Rory Townsend (Irlanda), Ryan Christensen (Nuova Zelanda), Krists Neilands (Lettonia) e Petr Kelemen (Repubblica Ceca).
Corridori e PAESI. 58. Un colpo di pedale alla volta e oggi, a Glasgow il ciclismo ha fatto un ulteriore passo – pardon – pedalata in avanti verso la mondializzazione: 195 corridori al via in rappresentanza di ben 58 Stati, record assoluto. Questa si che è una mondializzazione.
CIRCUITO. 9. Per cosa dovrebbe essere giudicato un tracciato degno di un mondiale: dal numero delle curve? Non credo. Dai metri di dislivello? Anche. Dalla lunghezza del percorso? Sicuro. Dal cast partecipante? Certamente. Una cosa è certa: un tracciato degno di un mondiale deve avere tutto questo e deve avere la forza di esaltare i talenti. I corridori più forti. Oggi è stata una corsa pazzesca, bella come poche, con tutti i pezzi da novanta lì a battagliare. Altro che kermesse.
Gli attivisti AMBIENTALI. 55. Sono i minuti di sospensione del mondiale. Una neutralizzazione eterna che è già storia, anche se la storia è tutt’altro che piacevole. Un gesto che va a danneggiare forse lo sport più ecologico al mondo, ma questi eco-attivisti non guardano in faccia nessuno. Forse avrebbero dovuto guardarli gli organizzatori, che a più riprese hanno dimostrato in questa rassegna iridata la loro approssimazione. Gli attivisti per cinquanta minuti si sono attaccati al suolo, ma l’Uci dovrebbe attaccare alle loro responsabilità gli organizzatori.