Ieri mattina, al foglio firme della terza tappa del Giro di Polonia, chi scrive ha rivolto una boutade a Jacopo Mosca: "Non ti faccio un'intervista adesso, la facciamo fra qualche ora su a Duszniki Zdroj con una maglia a pois indosso". Il suo "Speriamo, speriamo" in risposta faceva ben sperare, suonava poco di circostanza e tanto di sostanza. Detto, fatto: centrata l'iniziativa di giornata insieme ai signori Kron, Van Dijke e Tronchon, scollinati per primo Walim e passo Jugowska, 10 punti di vantaggio su Caruso e Hamilton che sono qui in supporto di Mohoric e Dunbar.
Siamo stati facili veggenti: il giorno prima sui Sudeti l'aveva già sfiorata, era chiaro che ci avrebbe ritentato con altri Gran Premi della Montagna in vista. Per cui ci siamo permessi questo incoraggiamento personale. Certo, scontato non c'è nulla o quasi: tra il dire e il fare ci può essere di mezzo il mare. Per fortuna ieri il mare non c'è stato (pure letteralmente: finalmente una giornata senza strade bagnate) e il piano è filato liscio.
Ma non è stato comunque semplice, come un raggiante e lucido Jacopo ha confidato nel post-gara a noi giornalisti italiani presenti sul posto: «Ci sono stati diversi tentativi nei primi chilometri, ma con un po' di gamba e intelligenza ci sono riuscito. Ora la differenza la farà la "tappa regina" di domani, che ha un GPM cat.2 e due cat.1 l'ultimo dei quali a 60 km dall'arrivo: sarà una bella battaglia, perché sarà potenzialmente l'ultima chiamata per gli attaccanti e tante squadre ancora non sono andate in fuga. Se per caso decidono di entrarci i corridori forti forti, per prendere i punti che mi servono dovrò far girare le gambe... e i neuroni! Sapete, col livello che c'è adesso in gruppo se non vai al 100% non vedi nemmeno la coda del plotone: in alcune giornate diventa davvero dura andare in fuga. E quelle volte che magari capita l'uomo classifica che ha perso terreno nei giorni precedenti e vuole entrarci per andare fino in fondo e rientrare nella generale, restiamo fregati.»
Subito dopo la maglia a pois rossi conquistata da Giulio Ciccone al Tour de France, un suo compagno e connazionale si veste di pois blu in Polonia. Similitudine carina a parte, Mosca evita ogni paragone: «Cicco era al Tour con le montagne vere, io cerco di prendermi qualche piccolo risultato. In corse a tappe brevi come questa è più difficile che le fughe finiscano in porto, ma a me piace correre all'attacco e mi sono creato questa finestra, questo obiettivo della classifica scalatori. La Lidl Trek è venuta qui per le volate di Edward Theuns, e oggi che è per velocisti lavoreremo per lui soprattutto io e Otto Vergaerde (Jon Aberasturi si è dovuto ritirare per una caduta l'altroieri nella seconda tappa, ndr) però ha lasciato anche uno spazio per chi lavora sempre durante l'anno.»
Uno spazio di cui il classe '93 piemontese sta usufruendo nella maniera giusta: «Sicuramente chi va spesso in fuga spende di più e deve dunque mangiare di più in corsa - spiega - ma ormai con tutte le applicazioni che ci sono e l'esperienza che acquisisci col tempo ti gestisci tranquillamente.»
Mentre Jacopo Mosca lotta per i pois polacchi, la sua futura sposa Elisa Longo Borghini è alle prese con l'infiammazione cutanea che l'ha costretta ad abbandonare il Tour de France femminile. Con l'occasione di un augurio di pronta ripresa, Jacopo parte da una battuta su Elisa per lasciarci la riflessione conclusiva: «Più che darmi lei i consigli su come andare in fuga, sono io a poterglieli dare perché lei è così forte che ci va puramente di gambe e non vale (ride, ndr) da par mio è stupendo vedere come lavora, come ragiona e affronta le gare da leader. Quando vedo lei e quando vedo i miei leader e capitani, mi rendo conto che non è che chi nasce più forte ha la vita più facile: fanno gli stessi sacrifici dei compagni. Così come chi tira in pianura non fa meno sacrifici di chi è in grado di farlo in salita: è tutto proporzionato al tipo di gambe che si ha.»
Oggi tipica frazione di trasferimento, 199 chilometri da Strzelin allo sprint in falsopiano di Opole.
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