Vorrei vincerle tutte, non so se sarà possibile. Non è una spacconata, se la dice Tadej Pogacar, 24 anni, sloveno di Komenda, cinquemila abitanti vicino a Lubiana e all’Adriatico. Tadej detto Pogi è il numero uno mondiale del ciclismo che sabato si metterà in bici per la Milano-Sanremo: la frase è di una settimana fa, vigilia della Parigi-Nizza che il fenomeno della UAE Team Emirates ha stradominato. Non le ha vinte tutte, ma ci è andato vicino: nelle tre frazioni più dure ha dimostrato a Vingegaard che non ce n’è per nessuno, e non sarà facile portargli via il terzo Tour come al danese riuscì un anno fa. Perché nulla è impossibile per questo ragazzo destinato a riscrivere le regole, i numeri, i record, tra i più giovani ad aver raggiunto le le 50 vittorie da professionista, meglio di lui Merckx e Maertens, tanto per dire. Da inizio stagione ha vinto 9 volte in 13 giorni di corsa: cose mai viste. La Sanremo potrebbe essere l’unica sua apparizione italiana in stagione: così ha accettato il nostro invito a raccontarsi dalla Francia, tra una prova di forza e l’altra.
Tadej, ha già vinto la Liegi e due volte il Lombardia. Cosa rappresenta la Milano-Sanremo e qual è il primo ricordo di questa classica?
«Purtroppo in Slovenia non trasmettevano la Sanremo, quando ero ragazzo, e non ho troppi ricordi. Ma ora posso dire di conoscerla bene, è una corsa che mi piace molto anche se penso che sia probabilmente la gara più difficile da vincere».
Abitando a Montecarlo, immaginiamo che sia andato a rivedere il finale del percorso.
«Sì, non vivo molto lontano e qualche volta durante l’allenamento mi allungo verso il Poggio. Non nego di aver immaginato nella mia testa vari scenari possibili su come possa svolgersi la corsa».
È il numero uno del mondo secondo il ranking mondiale. Ma nella sua testa, si sente davvero il numero uno?
«Non proprio, faccio sempre del mio meglio, ma nel ciclismo perdi sempre più gare di quante ne vinci (non quest’anno però, ndr), quindi penso che non puoi mai ragionare in questo modo perché ne rimarresti facilmente deluso».
A parte Pogacar: chi sono i tre corridori più forti del mondo in questo momento?
«Difficile da dire. Ci sono così tanti ciclisti forti per tanti terreni diversi. Questo è ciò che rende il ciclismo uno sport differente da tutti gli altri».
Le altre classiche-monumento, Fiandre, Roubaix, e poi il Mondiale: le considera sullo stesso piano o c’è un appuntamento che la affascina di più e che vorrebbe vincere prima degli altri?
«Tutte e tre sono corse enormi. L’anno scorso nelle Fiandre è stata una delle giornate più divertenti che abbia mai trascorso in bici. La Parigi-Roubaix mi piacerebbe viverla, un giorno. E ovviamente anche i Mondiali sono molto prestigiosi. Sicuramente sono obiettivi per il futuro, anche se vincerli potrebbe risultare molto difficile».
Quando può, si prende tutto. Nel ciclismo lo faceva Merckx, per dire. Da dove nasce questa fame?
«Sono sempre stato ambizioso e mi diverto a correre, quindi il desiderio di vincere viene naturale. Come penso che sia per la maggior parte dei corridori del gruppo».
Qual è l’ambito in cui ritiene di dover migliorare di più?
«Sono concentrato su tutti gli aspetti della mia vita e della mia attività: allenamento, alimentazione, riposo. Con l’attuale livello di concorrenza non puoi tralasciare nulla. Nel team lavoriamo molto duramente su questi dettagli insieme allo staff per cercare di fare bene tutte le cose importanti».
Recentemente ha detto di non considerare possibile la combinazione Giro-Tour, l’ultimo a riuscirsi fu Pantani nel 1998: crede che in futuro magari ci proverà?
«Non lo so. Per il momento sono concentrato sul Tour. Ma come ho sempre detto, un giorno mi piacerebbe correre anche il Giro. È una prospettiva entusiasmante per gli anni a venire, ma quando accadrà esattamente non lo so. Lo stesso vale per la Vuelta, è un’altra gara in cui mi piacerebbe tornare un giorno (si è piazzato terzo al debutto, aveva 20 anni)».
C’è qualcuno nel passato che amava veder correre?
«Quando ho iniziato a guardare il Tour era il periodo in cui Schleck e Contador lottavano per il giallo. Ma non avevo davvero un idolo nel ciclismo».
C’è un corridore che non vorrebbe trovarsi a fianco in una volata a due?
«In un duro arrivo in salita, se mi sento bene, mi gioco le mie possibilità contro la maggior parte dei corridori, ma ovviamente sul piano è più complicato. Preferisco non trovarmi con un velocista in un arrivo in pianura, ma dopo una lunga gara ci sono molti fattori che incidono oltre alla velocità, come le gambe e la fatica».
Ha detto che il successo non l’ha cambiata. Come gestisce la pressione?
«Vivo una vita abbastanza normale al di fuori del ciclismo. Mi piacciono le cose semplici come passare il tempo con la mia ragazza, cucinare, andare in bicicletta. Amo trascorrere giornate tranquille».
È un corridore per tutte le stagioni, come non ce ne sono tanti. Ma ha confessato che ad agosto comincia a sentire il peso degli sforzi. Come si concilia?
«Sì, in effetti l’ultima è stata una lunga stagione. Ma è stato anche uno degli anni di maggior successo con alcune delle mie vittorie più belle. Quest’anno sarà diverso dai precedenti, con un inizio più graduale. Non posso dire se è meglio o peggio, solo diverso e che ci sia qualcosa di nuovo è anche un buon aspetto».
Quando non corre, guarda comunque le corse o stacca del tutto?
«Adoro guardare le gare quando sono a casa. Ciclismo sia maschile che femminile. Per fare il tifo per i miei compagni di squadra e anche per la mia ragazza Urska che corre nel circuito femminile».
Si allena insieme alla sua compagna?
«Sì, quando siamo entrambi a casa ci piace andare in bici insieme».
È lo sportivo più celebre della Slovenia: come lo vive? Cosa significa portare un piccolo Stato in vetta al mondo con la sua bici?
«Non ne sono sicuro di essere il più famoso... ci sono tanti atleti di vertice nel nostro Paese. Ma sono orgoglioso di rappresentare la Slovenia e insieme a tutti gli altri sloveni nel World Tour. Penso che sia un periodo bellissimo per il nostro Paese e per il ciclismo».
Vince, guadagna, si diverte. Ma cosa è la felicità per Tadej Pogacar?
«La felicità è un concetto abbastanza semplice: la buona salute dei miei amici e della mia famiglia e poter continuare a fare ciò che amo. Dopodiché, se posso essere di ispirazione per i ragazzi che magari iniziano a fare ciclismo o lo sport in generale, allora è qualcosa di cui posso essere felice».
Il ciclismo è uno sport duro. Come lo vive, come affronta i momenti in cui magari diventa una sofferenza più che un piacere?
«Cerco di stare calmo. Il ciclismo è uno sport di squadra, in cui fai affidamento sui tuoi compagni di squadra. Se riesci ad agire con calma anche in situazioni stressanti è meglio. Non è sempre facile nella foga del momento, ma faccio del mio meglio».
Quali sono le passione di Tadej al di fuori della bici?
«Sono un fan della musica rap, soprattutto rap sloveno ma anche americano. Guardo Netflix quando sono a casa. A volte leggo anche dei libri per esercitare un po’ il mio inglese».
Dove si vede dopo il ciclismo?
«Non ho ancora guardato così lontano. Spero di avere ancora qualche anno in bicicletta!»
da Il Messaggero a firma di Pietro Cabras