Trovò finalmente un lavoro. Grazie a due motivi. Il primo, la poca voglia, per non dire la nessuna voglia, di alzarsi prima dell’alba e poi andare per mare a pescare. E questo era un motivo banale. Il secondo, “il possesso di un’allegra bicicletta marca Legnano”. E questo era il motivo fortunato.
Ho ripensato al postino di Neruda – il libro di Antonio Skàrmeta (Garzanti, 1989), il film di Michael Radford (1994) – quando mi hanno ricordato della giornata dedicata, una decina di giorni fa, a Legnano e alla Legnano. Una bicicletta, una marca di biciclette, che sa di storia e geografia, di corse e corridori, di acciaio e polvere.
Su quella Legnano, Mario Jiménez “lasciava ogni giorno il limitato orizzonte della caletta dei pescatori diretto al villaggio di San Antonio, infimo, ma che a paragone del suo casale gli dava un’impressione di fasto babilonico”. Durante uno di questi vagabondaggi, scoprì un avviso all’ufficio postale. “La bicicletta ce l’hai?”, domandò annoiato il funzionario. E a uno squillante sì, Jiménez fu assunto. E fu anche avvisato: “Lo stipendio è di merda. Gli altri postini si arrangiano con le mance”.
Lavoro: poco. Un solo cliente: Pablo Neruda, il poeta. Ma attenzione: “Riceve chili di corrispondenza ogni giorno. Pedalare con la borsa sulla schiena è come portarsi un elefante in spalla. Il postino che lo serviva è andato in pensione gobbo come un cammello”.
Il postino cinematografico era Massimo Troisi. Rendeva bene l’idea del libro. “L’intricata chioma che superava con diramazioni proletarie il taglio dei Beatles”, “i blue-jeans infetti da macchie d’olio colate dall’ingranaggio della bicicletta”, “la giacca scolorita da contadino”, “la sua abitudine di frugarsi il naso con il mignolo””.
Anche il postino aveva una sua vena poetica. Sarà stata la sua natura, sarà stato anche Neruda, o forse sarà stata la bicicletta. La bicicletta è quanto di più poetico e letterario si possa immaginare in movimento. Luigi Compagnone: “Ebbi una bicicletta da ragazzo / con una ruota bianca e l’altra nera, era una povera bici da strapazzo / ma volava d’inverno e primavera”. E Giorgio Caproni: “La terra come dolcemente geme / ancora, se fra l’erba un delicato / suono di biciclette umide preme / quasi un’arpa al mattino!”.
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