Non siamo in Inghilterra, anche se il 5 settembre prossimo Beppe Saronni sarà là, ma per la sua fucilata, per quello sparo nel cielo, quel botto che si tramutò in tuono e si fece inno di Mameli, il campione di Goodwood ha scelto la Val Camonica dell’amico Ezio Maffi, che qui organizzerà i tricolori esordienti e allievi, e qui ha voluto che si innalzassero i calici per un quarantesimo che ha fatto storia, con una fucilata che è restata nella memoria collettiva, non solo di chi ama il ciclismo e che ieri sera si è fatto botto, a suon di tappi di spumante, rigorosamente 51.151, quello di Francesco Moser.
Si sono ritrovati qui, nel salone delle feste di Boario Terme per festeggiare Beppe Saronni e chi ha permesso al ragazzo di Parabiago quel giorno di vincere un mondiale che forse poteva già aver vinto sul traguardo di Praga (vittoria di Maertens, ndr). C’erano tutti i “ragazzi” di Alfredo Martini, meno Marino Amadori, impegnato in Portogallo negli Europei, e Bruno Leali. Poi da Francesco Moser a Pierino Gavazzi, passando per Alfredo Chinetti, Giambattista Baronchelli, Palmiro Masciarelli, Roberto Ceruti, Moreno Argentin, Claudio Torelli e Silvano Contini. C’era anche Ernesto Colnago, che Saronni è padre, zio, cugino e fratello, confessore e motivatore, per l’occasione accompagnato dal genero Vanni Brambilla. C’era anche il presidente della Federciclismo Cordiano Dagnoni, il primo cittadino Dario Colossi.
Saronni accompagnato dalla signora Laura e dai figli Gloria e Carlo, ha accolto tutti con timida risolutezza, tra battute e pacche sulle spalle, tra aneddoti e tanti sfottò e evviva, per una serata dolce e calda, non solo per questa estate afosa, ma per il clima di affetto e amicizia che si è venuto a creare.
Il ricordo è l’ospite d’onore. Le immagini sono storia. Mani basse sul manubrio e via. Come si fa a dimenticarlo? Come si fa a dire di amare il ciclismo e non conoscere quell’arrivo micidiale, quella volata che non c’è stata, perché il volo di Saronni si è fatto fuga, per un arrivo solitario e per distacco. Non si volta nemmeno, il Beppe. Lui sa, come direbbe Riccardo Magrini. Era talmente sicuro di sé, che la sua accelerazione è uno sparo ad alzo zero che conduce su altri pianeti. Goodwood è un augurio di buone cose. Goodwood è un bel posto. Goodwood è il poligono di tiro che Beppe ha scelto per lasciare il segno, manco fosse Robin Hood.
Su quello sconosciuto puntino della cartina, posizionato a Sud di Londra, in una Gran Bretagna che il ciclismo lo conosce appena e che ha pianto un fratello di prima grandezza come Tommy Simpson, lì, su quei continui saliscendi condotti a velocità esasperante, il Beppe costruisce il suo capolavoro. E all’ultimo giro, come da aspettative, restano i migliori a giocarsi il titolo iridato. Eppure, quando lo statunitense Jonathan Boyer ha attaccato all’ultimo chilometro, un brivido è corso lungo la schiena di molti. Nel gruppo era rimasta gente tosta, dal pedigree nobile: c’era Greg Lemond, l’uomo capace di vincere un Tour de France per soli 8 secondi; C’erano l’irlandese Sean Kelly, l’olandese Joop Zoetemelk, due mostri sacri del ciclismo mondiale. Ma c’era anche lui, un ragazzo di soli 25 anni che, non appena viene ripreso Boyer, attacca in contropiede. È una fucilata, una rasoiata pazzesca, che toglie respiro e anche Saronni quello sprint lo fa tutto d’un fiato, in apnea. Una volata con un rapporto lunghissimo (per l’epoca). Nessuno ha la forza di tenere la velocità di Beppe. Dopo il “Mundial” dell’11 luglio conquistato dai ragazzi di Bearzot ecco l’affondo di Beppe Saronni. Battuti Lemond e Kelly, distanti 5 e 6 secondi: una vita. E per la vita. Goodwood Boario Terme, un tratto di strada che unisce una storia iniziata bene ad un posto dove raccontarla. Un brindisi che ha fatto notte e poi note, con chi ha cantato, con chi ha brindato e raccontato, ancora per un po’. Ancora per un po’.
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