Idea: trasformare le grandi vetrine del centro in piccoli musei del ciclismo. Da idea a proposta, da proposta a progetto, da progetto a ricerca, da ricerca ad allestimento, da allestimento a esposizione. E le grandi vetrine del centro a Reggio Emilia sono diventate piccoli musei del ciclismo al Giro d’Italia.
Il Giro d’Italia è arrivato a Reggio Emilia una decina di giorni prima dei corridori e ne ripartirà una ventina di giorni dopo. Arrivo e partenza, quartiertappa e villaggio, bus e carovana, ammiraglie e garibaldi, il meglio di collezioni più o meno private è stato concentrato nelle vetrine di una quarantina fra librerie e oreficerie, boutique e botteghe, perfino spazi sfitti o dismessi del centro della città.
Le biciclette del patrimonio di Giannetto Cimurri, il “masseur” di Reggio Emilia che aveva prestato le sue mani, ma anche il suo cuore, a Coppi e Bartali fino a Moser in nazionale, ad Astrua e Barozzi nell’Atala, e poi a tutti i reggiani, come Sforacchi e Becchi, Partesotti e Grazioli, e a tutti quelli dei dintorni, da Adorni a Chiodini, che da lui andavano in pellegrinaggio. Poi le borracce di Marcello Murgia, il Monsieur Bidon da tutti conosciuto nei mercatini del ciclismo d’epoca o nell’aste internet e internazionali, da quelle di alluminio a quelle compostabili. Poi le maglie di Alessandro Oleari, che si è specializzato nel ciclismo reggiano, la più antica è quella del Velo Club Reggio Emilia, impreziosita dal colletto a camicia, acquistata e tenuta incorniciata; la più costosa è quella della Giglio, vivaio dei più forti corridori locali; la più colorata è quella della Smeg, gialla con le scritte azzurre, e con le eroiche tasche anteriori. Poi le maglie di Fausto Delmonte, riprodotte esattamente come le originali: il primo studio l’ha dedicato alla propria maglia, Ciclo Piave 1950; il più recente lo sta eseguendo su richiesta di un museo del ciclismo di Varsavia, che lo ha pregato di riprodurre la maglia (Molteni) di Eddy Merckx quando conquistò la prima tappa della Parigi-Nizza 1974 davanti al polacco Ryszard Szurkowski. Poi le maglie raccolte dal Comitato provinciale della Federazione ciclistica italiana fra le società locali, valorose nel ribadire le proprie tradizioni e soprattutto per promuovere l’attività in bici, agonistica o turistica, in tutte le discipline e in tutte le categorie. E poi le ciclostoriche della zona, dalla Lambrustorica di Carpi alla Gonzaghesca di Soave di Porto Mantovano, con maglie, pantaloncini, borracce, pompe, frecce, manifesti... E ancora “i ciclistini” di Corrado Monfardini, corridori in miniatura, dal tocco artistico, dall’ispirazione letteraria, dalla mano artigianale. Infine i libri e le riviste della Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza per ricordare che si può pedalare anche sulle pagine di un romanzo o di una biografia, di una poesia o di un manuale.
Il Giro va e viene, sale e scende, tocca e scappa. Ma Reggio Emilia ha dimostrato che quegli attimi fuggenti si possono allungare. Una borraccia può diventare fonte o sorgente o luce, un cappellino può essere visione o sogno o folgorazione, “un ciclistino” può trasformarsi in campione o capitano o capolavoro. E una bici da corsa può servire da bici in città tutti i giorni.
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