Il mese di maggio, i giorni del Giro d’Italia, gli anni di Dino Zandegù. Da corridore, poi da direttore sportivo, poi da capocarovana del Giro, poi da ospite più o meno cantante.
Vi ricordate dell’ultima corsa di Dino Zandegù? Fu il Giro di Lombardia del 1972. Il popolare gigante di Rubano (come già tramandato su Tuttobiciweb il 28 febbraio 2022) andò in fuga da solo, poi si fermò, scese di bici e, dopo la spiegazione fornita a Vincenzo Torriani, patron sorpreso e incredulo della Corsa delle foglie morte, fu festeggiato dai fotografi, complici, quindi dai giornalisti, riconoscenti, infine dal gruppo, divertito. Ma la storia non terminava qui. Ecco la seconda puntata con il suo degno finale.
Quel Giro di Lombardia sarebbe entrato nel vivo più tardi, il gruppo spezzato in due tronconi, davanti Merckx, Gimondi e De Vlaeminck, dietro Guimard, Poulidor e Zoetemelk, poi il ricongiungimento favorito da un blocco stradale per le troppe macchine parcheggiate lungo il Lago di Como, quindi la fuga di Dancelli, Simonetti, In’t Ven e Van Neste, la rimonta solitaria di Merckx che staccò tutti, primo lui, a quasi un minuto e mezzo secondo Guimard e terzo Gimondi. All’arrivo solo diciassette corridori superstiti.
E Zandegù? “Trovai un conoscente, saltai sulla sua macchina, mi portò all’arrivo, a Como, parlai con il presidente dell’antidoping, gli spiegai che non potevo aspettare la fine della corsa per fare il test, o subito o niente, lui decise per il niente, allora ritrovai il conoscente, risaltai sulla sua macchina, stavolta mi portò a casa, a Rosate, tanto che con il conoscente fui molto riconoscente, mi cambiai al volo – indossai un abito di circostanza - e volai in chiesa. C’era il battesimo in corso del mio primogenito Cristiano. Non potevo proprio mancare. E non mancai. Ero arrivato ancora una volta in ritardo, ma tranquillamente dentro il tempo massimo”.
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