In punta di penna sapeva scrivere, fino a diventare direttore di Tuttosport, e disegnare, fino a rivelarsi il più geniale dei caricaturisti. In punta di pennello sapeva perfino dipingere. E pensare che invece il primo lavoro fu quello di aiutare uno zio a progettare lapidi e tombe. Si firmava Carlin, così come lo chiamavano familiari e amici. Ma all’anagrafe risultava Carlo Bergoglio, e chissà se esiste una lontana parentela con l’attuale pontefice.
Una mostra dedicata a Carlin (1895-1959), con quadri, disegni e caricature dalla Galleria d’arte moderna e contemporanea del Canavese, e un’esposizione di storiche biciclette da corsa dalla collezione privata di Paolo Ghiggio illuminano il Castello Malgrà a Rivarolo Canavese (Torino), sede di tappa del Giro d’Italia 2022. Ingresso libero in via Farina 57 (parco Dante Meaglia), ogni domenica ore 15-19, fino al 17 luglio. In programma le aperture straordinarie, sempre nello stesso orario, sabato 7, 14, 21, 28 maggio, sabato 4 giugno e sabato 2 luglio (per informazioni: Biblioteca Comunale di Rivarolo Canavese, tel. 0124/26377 e Associazione Amici Castello Malgrà, tel. 333/1301516.
Carlin era un fuoriclasse. Fu il primo a identificare le squadre di calcio con un simbolo grafico, una mascotte, traendo ispirazione dagli animali. Fu il primo a disegnare e scrivere, una volta la settimana, l’intera prima pagina (e non solo quella) di un numero del giornale. Fu il più bravo vignettista, o quasi, del giornalismo (e non solo sportivo). Aveva le sue belle manie: come ricorda Gianfranco Colasante in “Miti e storie del giornalismo sportivo” (Garage Group), “indossare, con sussiego, una bombetta d’altri tempi o quell’intercalare con una pipetta serrata tra i denti, accessorio dal quale non si separava mai”. Ma aveva anche grande umiltà: già celebre e celebrato, frequentò un corso serale di ragioneria per raggiungere il diploma che gli mancava. Gianni Brera lo apprezzava sia come giornalista sia come disegnatore, molto meno come pittore: “Dipingeva mediocremente, con oltre mezzo secolo di ritardo sugli impressionisti”.
Invece i ritratti a parole erano affilati. Da “Vita segreta dei Giri d’Italia” (Editoriale Sportiva, 1946), ecco tre perle di Carlin. La prima: “Belloni e Bottecchia avevano la civetteria degli stuzzicadenti. Masticavano stecchini in tutte le corse. Bottecchia, quando lo notai la prima volta, aveva sulla maglia, sotto il nastrino azzurro di decorato al valore, sei stecchini infilati come tanti punti esclamativi. Spiegò che avrebbe più volentieri infilato dei polli, ma che ciò, tuttavia, ‘dava già un’aria da signore’. Correva allora da isolato la sua prima corsa a tappe e si vedeva chiaro che digeriva bene anche i chilometri. Uno stecchino basta per trentadue denti così come un umorista basta per tutta una compagnia; e io credo che uno stecchino sia una compagnia, come una cicca di gomma”. La seconda: “Certi corridori – ricordo per esempio Di Paco, ma sopra tutti Saletta, l’eterno isolato – avevano nei taschini, e persino sulle orecchie, infilate invece delle sigarette. Si sa che i corridori ciclisti al contrario dei calciatori non fumano mai essendo, per essi, assai più prezioso il fiato. Ma qui arriviamo ai fantasisti”. E la terza, definitiva: “Ricordo di un corridore che aveva, per mutandine, un fazzoletto ingegnosamente annodato a cocche: guai se se ne snodava una. Era un isolato e gli isolati non hanno lo slip”.
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