Cancellata dalla pandemia due anni fa, spostata in autunno l’edizione scorsa, la Parigi-Roubaix ritrova la sua tradizionale collocazione primaverile. A regalarle un tocco di nobiltà in più è che si corra a Pasqua, dopo lo scambio di date gentilmente concesso dall’Amstel per non incrociare le elezioni in Francia. Spartito classico, da Compiegne al velodromo della città del carbone, in tutto 257 chilometri, un quinto dei quali (55) distribuiti in trenta tratti di pavé: a parte qualche piccola novità, come il chilometro di pietre risistemato dagli studenti di un liceo a Saulzoir, i settori storici ci sono tutti, con la Foresta di Aremberg, il passaggio da Mons en Pevele e il Carrefour de l’Arbre considerati per lunghezza e difficoltà i punti chiave della corsa. Gara di forza e resistenza, adatta a fisici potenti, la Roubaix non avrà al via l’ultimo vincitore, Sonny Colbrelli, che lo scorso ottobre si impose davanti al bimbo belga Vermeersch e a Van der Poel, entrambi come lui al debutto: fermato da guai cardiaci, l’azzurro non avrà la soddisfazione di indossare quel numero uno che avrebbe voluto mettere in quadro. Ecco le dieci facce che potrebbero aggiungersi a Colbrelli nell’albo d’oro.
Mathieu Van der Poel. Vince perché sulle pietre si sente a casa, perché quest’anno fra Sanremo Fiandre e Amstel ha ballato fra primo e quarto posto, perché è perfetto per una fatica di questo tipo. Non vince perché in una classica come questa non basta essere il più forte, ma serve anche avere buona sorte.
Wout Van Aert. Vince perché è un altro di quelli che va forte su tutti i terreni, perché quando si presenta al via difficilmente lo fa da comprimario, perché in questa stagione gli manca ancora il grande bersaglio. Non vince perché lo stop per il covid gli ha tolto energie e ritmo per essere là davanti.
Filippo Ganna. Vince perché è la classica su cui ha puntato con decisione, perché già da dilettante è arrivato primo nel velodromo, perché ha accanto compagni come Van Baarle e il baby Sheffield in grado di dargli una bella mano. Non vince perché fin qui ha avuto qualche guaio di troppo e la preparazione in pista potrebbe non bastargli.
Stefan Küng. Vince perché è uno degli uomini più in forma, perché questa classica gli sta come un vestito di misura, perché se davvero è l’erede di Cancellara non c’è miglior occasione di questa per dimostrarlo. Non vince perché sulle pietre francesi in passato o è arrivato indietro o non è arrivato affatto.
Mads Pedersen. Vince perché sta benone anche lui, perché non teme i pericoli dell’Inferno del Nord, perché a 27 anni è pronto per firmare un grande risultato da aggiungere al Mondiale. Non vince perché andare forte sulle pietre fiamminghe non significa poterlo fare anche sui sassi francesi.
Yves Lampaert. Vince perché questa è la classica che gli piace di più, perché al traguardo arriva sempre e in tre occasioni ha chiuso nei primi sette, perché senza Alaphilippe e Evenepoel tocca a quelli come lui e Asgreen. Non vince perché esser bravi in corse come questa non basta per poterle anche conquistare.
Alexander Kristoff. Vince perché è una corsa che gli manca, perché aver cambiato squadra sembra averlo fatto rinascere, perché a 34 anni ha ritrovato il gusto di correre in prima linea. Non vince perché sulle pietre francesi è rimasto spesso davanti senza mai lasciare un segno.
Nils Politt. Vince perché si è preparato apposta per questa occasione, perché il secondo posto di tre anni fa non è stato un caso, perché è uno di quelli che se esce bene dalla Foresta può andare fino in fondo. Non vince perchè classiche di questo livello si consegnano a chi è più abituato di lui al successo.
Christophe Laporte. Vince perché l’aria di casa è uno stimolo in più, perché aiutare Van Aert potrebbe diventare un vantaggio da sfruttare, perché dopo tutte le promesse di inizio stagione qualcosa deve mantenere. Non vince perché anche lui dopo un marzo all’attacco ha iniziato la discesa.
Matej Mohoric. Vince perché ha fisico e qualità per riuscirci, perché senza Colbrelli ha il peso della squadra sulle spalle, perché la Sanremo gli ha regalato la sicurezza di poter correre da protagonista. Non vince perché il top della forma l’ha raggiunto nelle scorse settimane e non dura in eterno.
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