Le prime corse risalgono al 1887: Trento-Gardolo e Trento-Lavis, brevi, piatte, ma bisogna considerare la novità rivoluzionaria. La prima corsa tipo pista è del 1888: a Trento, con 36 concorrenti, neanche pochi, sempre considerando i tempi. E del 1890 è la prima pista ciclabile: a Rovereto, oggi crocevia di una ragnatela di strade dedicate a chi pedala, corre o cammina. Oggi il Trentino è un regno della bicicletta. Attraversato, percorso, abitato. Da corsa, da montagna, da viaggio. Per turismo, per allenamento, per agonismo. Non c’è stagione in cui non offra proposte, occasioni, appuntamenti. E per avere un quadro storico e geografico, anche artistico e sociale, esiste una mostra ambulante, s’intitola “Il cavallo d’acciaio”, il libro-catalogo è stato curato da Alessandro de Bertolini per la Fondazione Museo storico del Trentino.
Ho conosciuto Alessandro lo scorso settembre, quando Trento ha ospitato gli Europei di ciclismo. Invitato sul palco di “Viva la bici”, uno spazio aperto (al cielo, e a tutti) in piazza Cesare Battisti, per raccontare i suoi lavori e i suoi viaggi, è arrivato in bicicletta. E nel rimorchio agganciato alla ruota posteriore si era portato un figlio. L’aria del Trentino, ma anche quella della strada, della piazza e dei racconti, meglio viverle presto, subito, fin da piccoli. E Alessandro ci ha coinvolti e affascinati con parole che diventavano affreschi, fotografie, film, trasmettendoci perfino clima e temperatura.
Quarantadue anni, ricercatore, giornalista, autore, regista, de Bertolini da Trento ha traslocato a Ruffrè vicino al Passo della Mendola, ma quando neppure l’aria sottile e i larghi orizzonti della montagna gli sono sufficienti, prende la bici e va. Per il mondo. Corsica, Islanda, Alaska. Alpi, Pirenei, Montagne Rocciose. Per respirare e esplorare, dentro e fuori di sé, per imparare e raccontare, a parole e a immagini, per ricordare e documentare, con libri e film. La sua produzione, spesso legata alla Fondazione Museo storico del Trentino, è prodigiosa.
“Il cavallo d’acciaio” (120 pagine, 12 euro) recupera antiche storie (come quella dell’Inno dei ciclisti trentini, del 1910: “Dal monte alla valle, discende la ruota. Ricurve le spalle, è gaia la nota. Divora la pista, impavido e fiero...”), frugando negli archivi fotografici (come per quel gruppo di ufficiali volontari trentini in divisa da alpino, 1915-1916) e cartacei (“E’ la volta di Gaul che transita sotto lo striscione – nella cronaca della “Stampa” -. E’ stravolto, un agente e il suo meccanico lo sorreggono. Il lussemburghese non parla, ha gli occhi spalancati, fissi nel vuoto...”). E se c’è spazio per la dinastia dei Moser (da Aldo a Francesco, qui assurto a “campionissimo”), c’è gloria
anche per Ermanno Moser (“Nel secondo dopoguerra si fece carico personalmente delle spese di costruzione di una pista ciclabile allo Stadio Briamasco di Trento. La pista servì generazioni di giovani e ospitò in città l’arrivo di grandi competizioni, tra cui alcune tappe del Giro d’Italia”). L’ultimo capitolo è riservato ai percorsi ciclopedonali, undici, partenze e arrivi più tappe intermedie, con lunghezze, dislivelli, tempi di percorrenza. Perché per de Bertolini e il Trentino la bicicletta non è più “sconosciuta, derisa e avversata”, come quando apparve sulle strade, né guardata con “un misto di curiosità, paura e diffidenza”, ma è il simbolo itinerante della “alleanza tra turismo, cultura e storia”.
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