“Gli altri bambini gattonavano, io a nove mesi mi sono alzata in piedi e via come un treno. Mia madre dice che sembrava che me lo sentissi, che dovevo correre subito, finché potevo, perché avevo poco tempo”. Altri nove mesi. Poi un camion le schiacciò le gambe, le spezzò il midollo osseo, la rese paraplegica.
Francesca Porcellato, 50 anni, “la rossa volante”. Atletica, sci, ciclismo. Titoli e medaglie, primati e imprese. Una forza della natura. E’ una delle diciassette “Storie di sport, storie di donne” di Giovanni Malagò, il presidente del Coni, con Nicoletta Melone, giornalista, un libro Rizzoli del 2012 (donato alla Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza da Renato di Rocco), che ci ripropone Francesca mentre si prepara ai Giochi di Tokyo: la sua vicenda, i suoi valori, le sue virtù.
Il primo imbarazzo: “All’asilo, all’inizio. Credevano che non fossi capace di camminare. Ricordo un bimbo che insisteva: ‘T’insegno io, come si fa, guarda... Prima questo piede, poi quell’altro...’”.
La prima carrozzina: “L’ho avuta a sei anni: era grossa e brutta, lo schienale mi arrivava a metà testa, i braccioli poco sotto le ascelle. Il seggiolino era di tela a rigoni, una tristezza, allora non c’erano carrozzine per bambini belle e colorate come adesso. Ma per me è stata la gioia più grande. Finalmente potevo correre”.
La prima bicicletta: “Io la trattavo come gli altri ragazzini trattano una bicicletta: ci correvo, ci saltavo su e giù dai marciapiedi, era sempre rotta, mio padre non finiva mai di saldarla. Di tanto in tanto volavo giù”.
La prima volta: “Avevo sedici anni. Dal mio paese sono passati dei ragazzi disabili di una società sportiva. Mi hanno visto sfrecciare in strada e hanno voluto conoscermi. Giocavano a tennis tavolo. Mi andava di provare? Ma io non volevo saperne, di palline e racchette. ‘Io voglio fare atletica’, ho spiegato. ‘Troppo difficile, arriveresti sempre ultima’”.
Il perdono: “Io a quell’autista non porto rancore: anche lui è stato sfortunato, non si vive bene sapendo di aver reso disabile una bambina”.
Il ricordo: “Ero all’istituto, noi bambini eravamo parcheggiati in carrozzina davanti alla tv. Trasmettevano ‘Belfagor, il fantasma del Louvre’, uno sceneggiato che ci spaventava a morte. A un certo punto una ragazzina arrivata da poco, che non parlava mai, si è alzata dalla sua sedia a rotelle e ha fatto tre passi verso il televisore. Evidentemente non era paralizzata, aveva altri problemi, mai capito quali, lì c’era un po’ di tutto. Ma vallo a spiegare a dei bambini di cinque anni. Da allora, nonostante la paura, non ci siamo persi una puntata: stavamo lì, concentratissimi, le mani strette sui braccioli delle carrozzine, lo sguardo fisso, a vedere se anche noi, guardando Belfagor, ci saremmo alzati in piedi”.
La confessione: “Non mi sono mai sentita disabile, proprio non ci penso”.
Il segreto: “Mi piace il vento sulla faccia”.