Prima annullata e poi posticipata per via della pandemia Covid, la Parigi-Roubaix si ripresenta dopo due anni e mezzo in una data inedita, anche se con la sua veste tradizionale: di 257 chilometri, 55 sono in pavé, distribuiti in trenta settori, un esame come sempre severo che potrebbe diventar ancor più duro se il meteo confermerà la tendenza al brutto. Rispetto al 2019, quando il belga Philippe Gilbert a 37 anni la aggiunse alla sua ricca collezione di classiche, la Regina non ha certo perso fascino, né qualità di pretendenti: dallo straordinario Mondiale in Belgio arriverà una pattuglia numerosa di favoriti, sui quali graverà però un’incognita che in altre edizioni non c’è stata, il peso di una stagione intera. Meravigliosamente anacronistica, la sfida sulle pietre non premierà chi avrà i materiali più evoluti, ma soprattutto forza, resistenza e anche buona sorte. Assente dall’albo d’oro dal secolo scorso (Tafi, anno di grazia 1999), l’Italia spera in un manipolo di uomini, augurandosi di vedere presto fra i favoriti quel Ganna che già comanda in pista e nelle crono. Ecco le dieci facce che potrebbero far festa nel velodromo della città del carbone.
Wout Van Aert. Vince perché ha un Mondiale da riscattare, perché va forte su ogni tipo di terreno, perché quando gli va male una corsa difficilmente sbaglia quella successiva. Non vince perché è da una stagione intera che corre all’assalto e alla fine il serbatoio si vuota.
Mathieu Van der Poel. Vince perché è una delle classiche fatte su misura per lui, perchè al Mondiale ha mostrato di aver ritrovato salute, perché è di quelli che la prima volta non partecipano solo per studiare il percorso. Non vince perché per guarire i guai alla schiena ha avuto bisogno di un programma più leggero.
Peter Sagan. Vince perché è uno di quelli che nell’albo d’oro c’è già entrato, perché le corse dure sono quelle che preferisce, perché vuol lasciare un segno su una stagione in cui si è visto poco. Non vince perché da tre anni in qua nelle classiche del Nord sembra più comprimario che protagonista.
Nils Politt. Vince perché c’è andato vicinissimo due anni e mezzo fa, perché ha stazza fisica e qualità per fare centro, perché viene da una stagione in cui si è tolto belle soddisfazioni. Non vince perché la tattica di squadra potrebbe costringerlo a dare una mano al suo compagno Sagan.
Zdenek Stybar. Vince perché di tutte le classiche questa è la prediletta, perché in sette partecipazioni ha chiuso sei volte nei primi dieci, perché a 35 anni è reduce da un Mondiale corso alla grande. Non vince perché gli manca sempre quel guizzo per completare l’opera.
Davide Ballerini. Vince perché è una corsa che gli sta come un vestito, perché ha accanto un team specializzato come la Deceuninck, perché vuole rifarsi dopo un mondiale sfortunato. Non vince perché la concorrenza in squadra (oltre a Stybar ci sono Senechal e Asgreen) può giocare a suo sfavore.
Dylan Van Baarle. Vince perché non fai secondo in un Mondiale così bello se non stai benone, perché nella sua Ineos è tra i più adatti alle classiche dure, perchè questa corsa premia il più forte e non i più vincenti. Non vince perché sulle pietre è sempre andato bene ma non benissimo.
Jasper Stuyven. Vince perché è uomo da corse del Nord, perché nel mondiale in casa è stato quello che ha tenuto alto l’onore del Belgio, perché sul pavé francese è finito due volte nei primi cinque. Non vince perché l’effetto sorpresa non sempre va a buon fine.
Sonny Colbrelli. Vince perché ha l’entusiasmo dei debuttanti, perché è vuole sfruttare fino all’ultimo il suo ottimo momento, perché ha la consapevolezza che con i migliori può starci anche lui. Non vince perché è andato forte tutta l’estate e la spia della riserva comincia a lampeggiare.
Arnaud Demare. Vince perché prima o poi una corsa così l’azzecca, perchè dopo un anno in cui non gliene è andata dritta una può riscattarsi, perché qualcuno che prende in contropiede i bookmakers c’è sempre. Non vince perché quando si infila una stagione dalla porta sbagliata l’unico buon risultato è uscirne.