Anche quest’anno un’ombra scura è scesa sul Tour de France: è quella dei sospetti, degli incastri e degli affari loschi legati all’uso di sostanze illecite. Si parla dei famosi ingredienti proibiti che ingannano la corsa e ti fanno andare più veloce degli altri. Il suo nome è doping e i sospetti in questo Tour sono caduti sulla Bahrain-Victorious che, come un fulmine a ciel sereno, si è trovata la polizia in albergo la scorsa settimana.
Tre sono stati i corridori sui quali si sono concentrati i poliziotti inviati da Marsiglia: il belga Dylan Teuns, l’olandese Wouter Poels e l’italiano Sonny Colbrelli. Con loro si devono aggiungere il medico della squadra e l’allenatore. Anche a questi ultimi era stato chiesto di consegnare telefoni e computer del lavoro, ma si sono opposti e alle autorità hanno dato il permesso per scaricare tutti i dati che servivano agli agenti.
Il primo a raccontare cosa fosse accaduto quel mercoledì sera è stato Teuns che ha spiegato di essere stato trattato da criminale, poi si sono aggiunte le parole di Mohoric e Poels che, come il belga, hanno dato la loro versione dei fatti. Domenica sera a Parigi ha voluto raccontare la sua storia anche Sonny Colbrelli, il campione italiano che in questo Tour ha dato il massimo ogni giorno inseguendo la vittoria che sognava.
«Ho finito questo Tour con l’amaro in bocca – ha detto Colbrelli a Parigi -. Quello che oggi mi ha reso felice, è stato salire sul podio di questa corsa sugli Champs-Elysees, perché siamo stati veramente bravi tutti».
Colbrelli ha raccontato quello che ha visto mercoledì sera, quando la polizia ha chiamato tutti e ognuno ha dovuto interrompere la propria attività. «Provate a mettervi nei nostri panni, eravamo in albergo dopo una giornata lunga perché la tappa era stata difficile. Ci stavamo rilassando quando all’improvviso sono arrivati tutti quei poliziotti che ci hanno trattato come se fossimo dei criminali. Nessuno di noi riusciva a capire cosa stesse accadendo e cosa volessero e l’unica cosa che abbiamo potuto fare era collaborare con loro, affinchè tutto finisse il prima possibile».
Sono stati momenti difficili quelli vissuti dalla squadra della Bahrain-Victorius e metabolizzare quanto accaduto non è stato facile per nessuno. «E’ difficile spiegare come ti senti in quei momenti, perché sai di essere accusato, ma non sai di cosa e vi garantisco che in quei momenti il mondo ti crolla sopra la testa».
Solo al termine della perquisizione si è saputo che la polizia, inviata da Marsiglia, perché è lì che è stato aperto un fascicolo sull’uso, stava indagando sull'ipotesi di detenzione e lo smercio di sostanze illecite. «Quando la polizia è entrata nel nostro albergo, è come se davanti a noi ci fosse stato un muro, perché alle nostre domande non veniva fornita nessuna risposta e questo è brutto, perché capisci che c’è qualcuno che ti riputa colpevole e tu non sai il perché. Veramente in una situazione così c’era da piangere».
A Colbrelli, Teuns e Poels, la polizia ha portato via i computer delle bici e anche i telefonini. «Avrei voluto scrivere sui social quello che è accaduto e abbiamo subito spiegato come ci si sente in quei momenti. Purtroppo non ho potuto farlo perché non ho più il mio telefono e non posso comunicare con nessuno. Quando tornerò a casa in Italia farò una nuova sim, ma è stato tutto molto brutto. Su quel telefono c’erano tante cose personali, che riguardano anche la mia famiglia, con i miei figli, momenti importanti e ora non li ho più e ho capito che quel telefono non lo rivedrò».
Il campione italiano dopo quello che era accaduto, si è confrontato con Nairo Quintana che, come lui, lo scorso anno aveva ricevuto la visita della polizia nel suo hotel. «Ho chiesto a Nairo se gli fosse stato restituito il telefono e mi ha detto che a distanza di un anno ancora non gli è stato dato nulla di quello che gli venne sequestrato dalla polizia. Quindi ho capito che anche io non riavrò più quel telefono sul quale c’erano memorizzate tante cose importanti per me».
Sonny a Parigi non ha voglia di sorridere, perché quanto accaduto a lui e a suoi compagni di squadra la considera una scorrettezza voluta da qualcuno. «Noi siamo puliti, non abbiamo nulla da nascondere ed è per questo che non ci siamo opposti quando hanno deciso di perquisire le nostre stanze e chiesto di consegnare i computer della bici e telefonini. Tutti lo sanno che noi siamo onesti e che non ci serviamo di mezzi illegali per andare in corsa. Abbiamo saputo, dopo la perquisizione, che ci sono sospetti per utilizzo, detenzione e diffusione di pratiche illegali legate al doping. Questa è follia pura, veniamo controllati costantemente, anche qui al Tour abbiamo fatto molti controlli e mai è uscito fuori qualcosa di strano. Anche se non meritavamo di essere trattati in quel modo, noi abbiamo deciso di collaborare e siamo a disposizione delle autorità, perché veramente, siamo una squadra che può camminare a testa alta, senza doversi vergognare di nulla».