G come Ganna. Nel senso di Filippo, collezionista di crono. Al Giro ne ha vinte quattro su quattro, tutte da favorito: se punti su di lui, non ti inGanna. Prendendo la maglia rosa per due anni in fila ha eguagliato Moser, che fece altrettanto a metà anni Ottanta: adesso gli chiederanno di imitare il campione trentino anche nel vincere Rubè e Sanremo, nel battere il record dell’ora, nel conquistare il Giro, nel coltivare vigneti, nel produrre vino e magari nell’accompagnare comitive di amatori sulle strade rosa, tutto però entro un paio d’anni. Per vincere la crono d’apertura ha memorizzato il percorso: si è allenato imparando a memoria di tutto, dalle tabelline ai pin dei cellulari dei compagni, oltre alle cantiche del Paradiso, perché con questo Dante in Giro non si sa mai. Ha fatto bene, perché la squadra gli ha dato una radiolina che non funzionava: gliel’hanno sintonizzata su Radio Maria, gli inglesi sono noti per i loro scherzoni. A fine tappa ha detto che il pubblico molto numeroso (e poco mascherato) gli ha dato una grande spinta: c’è da augurarsi che non abbia dato una spinta anche alla curva dei contagi. Ora è pronto a tornare in modalità gregario, per aiutare Bernal: se il colombiano andrà forte, lo chiameremo EGanna Bernal. Intanto Pippo si gode questa maglia rosa che rende felice l’Italia e un po’ l’ha salvata: pare che mentre lui viaggiava a 59 orari nel cuore di Torino, il razzo cinese in caduta sulla terra abbia cambiato rotta, deviando sull’India, perché qui di razzi ce n’era già un altro.
T come Tesfatsion. Nel senso di Natnael, corridore africano dell’Androni. Per fare prima, lo chiamano Natalino: lo ha deciso lui, stanco di sentirsi proporre alternative come natante, naturino, National geographic. Col suo debutto al Giro terrà in allenamento i telecronisti, che pensavano di averla scampata visto che mancano Kruijswijk, Fuglsang e Geoghegan Hart. Gli darà una mano il suo amico e connazionale Gebrehigzabier, che vive con lui a Lucca: chissà come si divertono i postini. Compirà 22 anni fra pochi giorni e viene dall’Eritrea, che in greco significa rosso: deve essere per questo che ha scelto una squadra con quel colore di maglia. Ha una faccia simpatica e un casco di capelli che vengono definiti ricci, anche se sembrano la conseguenza di un esplosione. Parla poco l’inglese, meno ancora l’italiano, ma non si preoccupa: già così potrebbe condurre una trasmissione Rai del mattino. Dice di conoscere parole come catena, freno, manubrio, forcella e rapporti, oltre che scarpa e ciabatta: non avesse fatto il ciclista, sarebbe stato un calzolaio. Ama la pizza, anche se rimpiange il pane di cereali con lo spezzatino eritreo, ama la Toscana, anche se all’Asmara le strade sono più sicure, ama Pisa, perché l’aeroporto gli regala l’idea di poter tornare in patria quando vuole: ama l’Italia, ma sta meglio a casa sua. Da scalatore sogna di salire le vette del ciclismo e arrivare in cima al Tour, obiettivo per cui sarebbe disposto ad allenarsi anche alla domenica, giorno che abitualmente riserva al culto: anche lui sa che Parigi val bene una messa.
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