C'è già una prima certezza: il giorno più duro, il tappone crudele, è e resterà questo della presentazione. Sempre encomiabile tenere in piedi il rito a qualunque costo, come se niente fosse, ma stavolta è davvero fatica parlare della messa cantata di questo nuovo Giro 2021 come di una cosa bella ed emozionante.
A due mesi ormai dal via, senza pubblico e senza invitati, si faceva prima con un comunicato stampa e tanti saluti a casa, nella speranza di riconvocarci tutti quanti, come usava una volta, per il battesimo classico e sontuoso dell'edizione 2022, sperabilmente nell'autunno che arriverà.
Invece. Dopo 32 minuti (li ho cronometrati), sulla soglia del collassamento generale, il presentatore Antonello Orlando pronuncia finalmente queste storiche parole: “Stiamo entrando nel vivo della presentazione”. Prima, uno strazio memorabile, inflitto senza la minima compassione a una popolazione già di suo sulle ginocchia per i mille motivi che sappiamo.
Per risollevare il morale, questi genialoidi impongono a chi vuole conoscere il nuovo percorso una galleria completa di personalità più o meno necessarie, tutte con ampio diritto di parola, grosso modo per spiegarci che il Giro d'Italia serve a promuovere le bellezze del Paese nell'anno della rinascita. Nell'ordine, formazione tipo: Cairo, Bellino, Garavaglia, Dagnoni, Lanzetta, Foa, Bulbarelli, Barigelli, Ricca, Fontana, Sala, più la riesumazione di Gassman che recita Dante.
Che cosa abbiamo fatto noi tutti di male, di così atroce, per meritarci una simile espiazione, nessuno può onestamente dire. Resta il fatto che non c'è tappa, tra quelle illustrate velocemente dopo, non una che nemmeno lontanamente riuscirà a rivelarsi tanto dura e selettiva. Confronto impari.
Parlando delle tappe vere, vado subito all'essenziale, alla domanda che la grande famiglia si pone davanti al neonato: che tipo sarà, questo Giro 2021? Un tipo rude e cattivo, oppure un tipo umano e malleabile? Personalità forte o personalità light?
Riconoscendo subito ai pignoloni saccentoni che ogni Giro può essere difficile o facile a seconda di chi lo corre, perchè “la corsa la fanno i corridori”, ecco, pagato questo dazio al conformismo di maniera, giochiamo felicemente al gioco dello sbilanciamoci prima, perchè dopo sono capace anch'io.
Così, a occhio e croce, il giudizio preventivo è: Giro ruffiano, ascendente anonimo. Cioè duro non durissimo, facile non facilissimo. Una cosa di mezzo, per accontentare tutti, con il serio rischio di non accontentare nessuno. C'è montagna vera (Zoncolan, Cortina, Alpe Motta), ma neanche troppa. C'è cronometro (40 km), ma neanche troppa. Ci sono volate (6), ma neanche troppe. C'è un po' di tutto, non c'è niente di speciale. Niente altitudini da mozzare il fiato, da selezione naturale della specie. Tanto chilometraggio nervoso, con la chicca delle Strade bianche. Ma niente che possa davvero spaventare nessuno. La butto lì: persino un Ganna motivato potrebbe farci un pensiero neanche tanto stravagante.
Questa come analisi generale. Poi c'è il voto personale, che ciascuno spara in base ai suoi gusti, alla sua estetica, alle sue aspettative. Al suo ideale di Giro d'Italia. Io, che personalmente resto ancorato allo slogan sempre più rinnegato dagli organizzatori (glielo ricordo, perchè mi pare se lo siano perso per strada: “La corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo”), io che continuo a pensare stia in un certo sadismo e in una certa ferocia la ragione d'essere della nostra corsa, quanto meno per avere una sua anima e una sua identità internazionali, proprio per questo stavolta non posso essere di manica larga. Arrivo a fatica sul 6.
Chiaro che chi ha sposato la linea per cui il ciclismo moderno debba essere più equilibrato, più rispettoso dei corridori, più dolce e sopportabile, più da schermaglia che da Ko, chiaro che questo partito valuterà il percorso 2021 con un rotondo 10. Da questo punto di vista, è un capolavoro: non farà troppo male, sarà alla portata di tutti, senza alte quote e senza test di sopravvivenza.
Poi lo sappiamo: dipende da chi si iscrive. Di sicuro, su questo percorso, un favorito chiaro già alla partenza non c'è. Bernal? Evenepoel? Pinot? Bardet? Nibali? Nessuno di questi ha già in saccoccia un vantaggio tutto suo, in tappe disegnate su misura. Dovranno tutti lavorare tutti i giorni di fantasia, inventandosi qualcosa nelle giornate e nei momenti più impensabili.
Così è deciso, così hanno voluto gli architetti del nuovo tracciato. Ma non se ne facciano un cruccio, i nostri campioni. Più di loro, dovranno lavorare con la fantasia i creativi degli slogan, perchè ormai proprio non possiamo più presentarci davanti al mondo con “La corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo”. Cerchiamo di essere seri, almeno una volta. Passi per il Paese più bello, è opinabile eppure ci sta, ma vendere questa roba come la corsa più dura del mondo è da veri pataccari. Da soliti italiani. Evitiamo di farci riconoscere, se possibile. Lealmente, riconosciamo che negli ultimi tempi il Tour e la Vuelta sono più impegnativi.
Certo, a noi resta il primato assoluto delle presentazioni: dure come le nostre non riesce a disegnarle nessuno.